Il cinema nasce muto, diventa narrativamente grande con un’opera di dubbio gusto come Nascita di una nazione, per poi raggiungere la massima potenza visiva con gli horror dell’espressionismo tedesco. Nonostante il silenzio, lo spettatore era terrorizzato dalle entità malvagie che lo guardavano dritto negli occhi. Era il cinema delle origini, essenziale più che semplice, ancora oggi d’impatto poiché interagisce direttamente sui sensi di chi guarda.
La forza di Terrifier 2, così come quella del suo prequel, sta proprio nel seguire il preludio della settima arte. Il suo protagonista non proferisce parola, piuttosto fa parlare il suo aspetto per lui; non emette un suono, preferisce far urlare le sue vittime. E il dubbio gusto del capolavoro griffithiano vive questa volta nell’eccesso di gore che ha sconvolto il pubblico statunitense: svenimenti, vomito, ambulanze fuori dalle sale. L’instant cult di Damien Leone ha di certo fatto parlare di sé, ed è finalmente arrivato anche in Italia sui canali Midnight Factory di Prime Video e Mediaset Infinity.
Art the Clown, il nuovo volto dello slasher
Prima di parlare di Terrifier 2 è necessario parlare del suo protagonista (interpretato prima da Mike Giannelli, poi da David Howard Thornton). Se nella storia degli slasher ogni film possedeva qualche caratteristica peculiare che lo rendeva iconico o di livello, qui non c’è il minimo dubbio sul fatto che il merito sia tutto di Art the Clown.
Nel 2008 una versione beta di Art fa il suo esordio cinematografico nel cortometraggio The 9th Circle; nel 2011 Damien Leone scrive, dirige, monta e cura gli effetti speciali di Terrifier, un cortometraggio di venti minuti dove questa nuova agghiacciante maschera slasher appare come protagonista. Entrambi i corti saranno presenti all’interno di un lungometraggio a episodi del 2013 diretto dallo stesso Damien Leone, ovvero All Hallows’ Eve. Tra i vari villain presenti spicca esclusivamente Art the Clown, che uscirà letteralmente dal suo episodio per creare caos macabro nel mondo reale.
Tre anni dopo esce il tanto meritato lungometraggio stand-alone Terrifier, un film destinato a entrare nell’immaginario collettivo degli appassionati del genere, tutti spaventati e al tempo stesso innamorati del nuovo volto del cinema slasher.
Un look iconico degno dei migliori personaggi di Rob Zombie dà ancora più potenza alla presenza scenica di un personaggio con la forza e la resistenza sovrumana di Michael Myers in Halloween; la violenza estrema ci rimanda al marciume splatter di Leatherface in The Texas Chain Saw Massacre (Non aprite quella porta), mentre l’ironia macabra richiama angoscianti echi di Freddy Krueger in Nightmare; l’elemento demoniaco può ricordare quello di Pinhead in Hellraiser, con un lontano sentore metacinematografico (in All Hallows’ Eve) che rimanda al Ghostface di Scream, e in un certo senso a Sadako di Ringu.
Per quanto riguarda le origini e la caratterizzazione del personaggio, pare che avremo piccole informazioni man mano che la saga andrà avanti, come fu per Jason Voorhees in Venerdì 13.
Art the Clown è quindi figlio delle più grandi maschere del genere slasher, ma riesce comunque a risultare originale e lontano da tutto ciò che si è già visto. È espressionismo, cinema muto, b-movie e j-horror. Feroce e beffardo – un mimo col sorriso stampato sulla faccia – con movenze ed espressioni degne dello Charlot di Charlie Chaplin, ma con il corpo ricoperto di sangue. Il black humor è l’arma fondamentale di Art, un mostro che uccide per divertimento, che tortura nei modi più assurdi le sue vittime, per poi mostrare ai loro cari i corpi dilaniati, ridendo di gusto attraverso le loro reazioni. Una tripla tortura: prima sulla vittima, poi sui cari, e infine sullo spettatore.
Terrifier 2, quando lo splatter diventa pop
Il primo Terrifier era il classico horror indipendente con tutti i limiti del basso budget e dell’inesperienza del suo autore. Un montaggio raffazzonato, una fotografia caratterizzata da una color correction invadente e gran parte degli interpreti chiaramente non all’altezza. Nonostante l’aspetto simil amatoriale Terrifier riesce a far successo diventando un piccolo cult. Un film sensoriale più che narrativo – un one monster show – 84 minuti di pura violenza.
In Terrifier 2 Leone aumenta smisuratamente la durata – ben 138 minuti, un’infinità per uno slasher – cercando di dare maggiore spessore ai nuovi personaggi umani. Vengono introdotte delle sequenze oniriche, viene accentuato il paranormale, e iniziano ad esserci degli indizi sulle possibili origini di Art. Ancora una volta le uccisioni sono macabre e disgustose, eppure affascinanti per l’inventiva del serial killer: scena dopo scena ci si chiede come verrà uccisa la prossima vittima, nonché fino a che punto può arrivare la brutalità di Art the Clown.
Anche qui il film si regge in piedi quasi esclusivamente sul carisma del suo protagonista, che tira a sé tutte le attenzioni dello spettatore rivelandosi un letale mix di magnetismo e angoscia. Quindi le qualità sono le stesse del primo capitolo, così come i su citati limiti, anche se attenuati da una produzione più ricca.
Il primo film costò solo 35.000 dollari e ne incassò 76.000 (diventando celebre solo successivamente con l’uscita in home video). Terrifier 2 invece costò 250.000 dollari (ottenuti tramite un crowdfunding), raggiungendo un incasso sconvolgente di 7,7 milioni di dollari. Il film di Damien Leone è a tutti gli effetti un successo che nasce dagli amanti dei b-movie, e che dalla nicchia si espande alla massa grazie all’effetto virale sui social.
In un certo periodo, in particolare su TikTok, era molto semplice imbattersi in brevi clip di Terrifier. È vero che non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina, ma se questa ha il look accattivante di Art the Clown può convincere tante persone a sfogliarlo. A questo si aggiungono le notizie di cronaca legate al film, e così nasce un piccolo grande evento cinematografico, con i più giovani istantaneamente interessati a far parte del fenomeno pop di cui tutti parlano.
Quale futuro per questa saga?
Il grande merito di Terrifier è quello di aver sdoganato la credenza popolare secondo cui non è possibile creare un nuovo franchise slasher che possa restare nell’immaginario collettivo. È ancora presto per dire cosa sarà di questa saga tra vent’anni, ma la presenza scenica di Art the Clown e il successo ottenuto da Terrifier 2 sicuramente non resteranno inosservati.
Sono almeno due decenni che il cinema slasher si regge sulla nostalgia e sulle celebri maschere degli anni ’70 e ’80: sequel, prequel, remake, requel. Damien Leone non sarà di certo Carpenter, Craven, Barker o Hooper, ma è stato abile nel creare un personaggio originale riconoscibilissimo in un’epoca di rifacimenti e repliche.
Quel che rende Terrifier una saga dal grande potenziale produttivo è che, al contrario dei grandi classici del passato, vive solo sull’icona della sua maschera, per cui i futuri film desteranno interesse finché il pubblico sarà ammaliato dalla follia macabra di Art the Clown. Non c’è il rischio di rovinare dei capolavori, solo un personaggio di cui si sa ancora troppo poco e che può essere approfondito, rimaneggiato, e perché no, migliorato nel tempo
Terrifier 2 non è un grande film, ma a modo suo è grande cinema. È cinema come esperienza collettiva, quel tipo di film che fa parlare prima e dopo la visione, con una portata talmente ampia e con una forma così divisiva da far discutere milioni di appassionati. È quel tipo di cinema che unisce gli spettatori sotto le stesse emozioni, tra disgusto, urla e forse risate.
Con un film come questo non è difficile immaginare proiezioni casalinghe tra amici, o proiezioni speciali in drive-in tipiche dello slasher d’exploitation. Quello che diverte, che fa saltare dal sedile, e che terrorizza fino a far abbracciare gli spettatori. Uniti dalla stessa passione, dalla stessa arte e dalle stesse paure.
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