fbpx
beanie bubble copertina

The Beanie Bubble, Apple TV racconta l’insolita febbre da peluche

10 minuti di lettura

Come può un gatto himalaiano di peluche dare inizio a una delle più grandi bolle speculative degli anni ’90? Ce lo racconta The Beanie Bubble: inflazione da peluche, il nuovo film original di Apple TV che, dal 28 luglio, lancia Zach Galifianakis, Elizabeth Banks, Geraldine Viswanathan e Sarah Snook nel ritratto della strana mania speculativa che ha fatto impazzire l’America. Alla regia troviamo Kristin Gore e Damian Kulash, che portano sul piccolo schermo la storia dell’imprenditore Ty Warner dal punto di vista delle tre donne che lui ha sfruttato per poi rubarne i meriti.

Le conosciamo con i nomi fittizi di Robbie, Maya e Shelia e sono le protagoniste di una storia vera, infarcita di elementi di finzione, tratta dal saggio “The Great Beanie Baby Bubble: Mass Delusion and the Dark Side of Cute” di Zac Bissonnette. Il film ritaglia un suo spazio nel luglio rosa di Barbie di Greta Gerwig, accogliendo l’eredità nostalgica di un paese dei balocchi soffice e patinato in cui i sogni infantili possono diventare realtà. I giocattoli diventano rappresentazione di un sogno americano che si gonfia all’inverosimile per poi scoppiare sotto il peso della sua stessa ambizione.

E se da un lato la carenza di informazioni biografiche su Ty Warner e le donne della sua vita rende apprezzabile l’interpretazione attoriale, dall’altro il film sembra una frenetica corsa drammaturgica verso il finale. Lo spettatore, disorientato tra teneri Beanie Babies, perde il fuoco di un racconto a cui, nonostante tutto, manca un cuore. 

The Beanie Bubble, è una questione di marketing

Beanie Bubble

Ma chi è Ty Warner? Classe 1944, Warner ha fondato la sua azienda, la Ty Inc., nel 1986, partendo dalla vendita di gatti himalaiani di peluche di diversi colori. Prima del suo arrivo, i giocattoli erano eccessivamente imbottiti, rigidi e di grandi dimensioni. La Ty Inc. ha cambiato strategia e, negli anni ’80 americani, imperversati da inflazione e disoccupazione, è riuscita a trovare uno spazio per la vendita di giocattoli. Come? Con peluche più morbidi, dove l’imbottitura di ovatta è sostituita da palline di plastica, in modo da rendere gli animali più malleabili per i bambini.

E se i primi Beanie Bubble conservano le grandi dimensioni, il nuovo decennio cambia ancora prospettiva. Il 1993, infatti, dà i natali ai Beanie Babies Bubbles, una nuova categoria di peluche di dimensioni più piccole. Inizialmente sottovalutati, gli animaletti conquistano rapidamente la loro posizione sul mercato, con un’innovativa strategia di posizionamento che non fa ricorso alla pubblicità, e non lo farà mai. Ciascun modello di Beanie Baby, infatti, viene venduto in edizione limitata, diventando immediatamente un feticcio da collezione e incrementando il suo valore. Non solo, ma i peluche della Ty Inc. si trovano solo nei negozi al dettaglio e non nelle grandi catene di distribuzione.

La bolla dei Beanie Baby Bubble

The Beanie Bubble

Questa scelta rende ancora più elitario il possesso di un Beanie Baby, innescando un fenomeno di isteria consumista fomentato dalla nascita di E-bay. Proprio il neonato sito di compravendita, infatti, permette ai collezionisti di rivendere i Beanie Baby a un prezzo sempre più alto, che si riflette anche sulle vendite in negozio. Le entrate dei collezionisti rispecchiano quindi, quintuplicate, le entrate della Ty Inc. ed è per questo che Warner, alla fine degli anni ’90, registra un fatturato di quasi 700 milioni di dollari. Tuttavia, la fiaba dei Beanie Bubble si adombra nel momento della sua massima espansione.

Le vendite si sgonfiano con la stessa velocità con cui si erano gonfiate, la bolla esplode e, d’un tratto, cataste di Beanie Bubble rimangono invenduti nei magazzini dei negozi. Il nuovo milennio si apre con una drastica diminuzione delle vendite e Warner, tra un lifting e l’altro, si lancia nel mercato degli hotel di lusso. Nel 2017 viene condannato per frode per aver nascosto milioni su un conto offshore in Svizzera, ma riesce a pagare facilmente l’onerosa multa e oggi si gode il suo buen retiro da miliardario.

Tre protagoniste poco valorizzate

The Beanie Bubble

La megalomania di un personaggio estroso come Ty Warner si regge però sull’indispensabile supporto fornitogli tra tre donne che sono state da lui oscurate tra il 1983 e il 1997. Stiamo parlando di Robbie, Maia e Shelia, alias Patricia Roche, Lina Trivedi e Faith McGavan, i cui nomi reali sono stati tutelati nel film. Sono rispettivamente la prima collaboratrice e amante di Ty, la sua più brillante esperta di marketing e informatica e la sua ultima fidanzata di quel folle decennio inflazionato. The Beanie Bubble punta su di loro i riflettori, raccontando una storia che usa Ty Warner solo come burattino egoriferito di uno show in cui non è lui a muovere i fili.

Sono infatti le tre protagoniste a dettare idee, strategie di mercato e di brand positioning in un’arena commerciale che, in quel periodo, teneva testa a realtà del calibro di Mattel. Eppure, nonostante The Beanie Bubble si presti a raccontare una storia d’intraprendenza al femminile, le sue protagoniste vengono messe sullo stesso piano di Ty Warner, in un’evoluzione piatta che non ne approfondisce le qualità. Tra le tre donne, quella che spicca per la sua genialità inventiva è Maia, interpretata da Geraldine Viswanathan, a cui viene dato uno spazio di crescita interessante.

L’ascesa e la caduta di Robbie, interpretata da Elizabeth Banks, passano invece dall’affiancamento della donna a uomini diversi prima di trovare la sua indipendenza e il suo valore, canalizzandone la crescita in un montage troppo frettoloso. Per quanto riguarda invece Shelia, nelle vesti di Sarah Snook, troviamo un personaggio all’inizio risoluto, che però poi si spegne accanto a Warner, in un universo favolistico in cui il valore aggiunto è dato dalle sue figlie.

Una storia a metà

The Beanie Bubble

The Beanie Bubble mette quindi sul piatto un’idea accattivante e briosa che perde il suo appeal in corso d’opera. L’assetto generale è quello di un film piacevole, dove però non viene appagata la fame di conoscenza di quello specifico momento storico in cui la follia da peluche è iniziata. Si punta così sulla spettacolarità del fatto, senza scavare a fondo sui suoi retroscena. C’è un anello mancante che sfugge allo spettatore, nel momento in cui non si sente pienamente integrato nella storia dei Beanie Bubble, non avverte quella pulsione a voler essere lì, in quel preciso attimo di follia collettiva, testimone di persone che si fanno la guerra in tribunale e che uccidono per un animaletto di peluche.

Il film offre quindi un ritratto unico nel suo genere e si fa portavoce di un’incredibile storia che altrimenti sarebbe stata sepolta dal tempo. Tuttavia, pur riuscendo a intrattenere fino alla fine, non riesce a coinvolgere lo spettatore nel vivo della vicenda e rimane sulla superficie, in una rappresentazione dalle fattezze teatrali che, come la Ty Inc. resta avvolta per tutto il tempo da un velo di scintillio, senza accogliere a pieno il lato più cupo di una storia che ha mobilitato un terremoto sociale.


Seguici su InstagramTikTokFacebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.