La parola “fine” sulla band più grande e iconica della storia della musica è stata scritta ufficialmente nel 1970, ma l’odore della rottura che ha gettato nel caos milioni di fan si era cominciato ad annusare già da tempo intorno ai Beatles. L’odore, ma anche le immagini dei continui battibecchi dei cosiddetti Fab Four (John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr), degli occhi al cielo durante le registrazioni, di Yoko Ono, da molti accusata di aver fatto saltare il gruppo, e molto altro ancora. Immagini che nel 1969 erano state catturate dal regista statunitense Michael Lindsay-Hogg, creatore di uno dei documentari più importanti e ricercati di sempre.
Adesso Let it Be è finalmente presente nel catalogo di Disney+, in una versione completamente restaurata da Peter Jackson. Ecco, quindi, come è finita un’era…
I Beatles si sono sciolti, lunga vita ai Beatles. Il racconto della fine di un’era
Affermare che i Beatles sono (forse) la band più importante di sempre, per buona pace degli amanti dei Rolling Stones, risulterebbe quasi banale. Eppure, ora più che mai, non possiamo certo esimerci dal ripeterlo. Si tratta, forse, del gruppo che ha creato la parola popstar, o che perlomeno le ha dato le sembianze che conosciamo. Girare il mondo per suonare e cantare, ma sempre scortati dalle guardie del corpo perché le orde di fan, che strillano e si strappano i capelli alla visione dei quattro ragazzi di Liverpool e dintorni, potrebbero essere un serio problema.
I Beatles avevano già raccontato questa loro difficile situazione, sempre pedinati da sorveglianti, nel film A Hard Day’s Night – Tutti per uno del 1964; sì perché gli Scarafaggi non sono solo canzoni, ma anche cinema, di discreto successo pure. Comunque sia, il documentario Let it Be presente adesso, dall’8 maggio per essere precisi, sulla piattaforma streaming Disney+ non è certo l’ultima novità della settima arte. Il film, infatti, in origine era uscito nelle sale nel 1970, ma a quanto pare ebbe vita breve, e divenne immediatamente opera per collezionisti sfegatati; tant’è che era diventato difficile reperirlo anche sul web.
Si tratta di un vero e proprio oggetto di culto. Se i precedenti film che vedevano Lennon, McCartney, Harrison e Starr protagonisti erano delle sorte di sceneggiate realizzate per anticipare i nuovi album – film comici quasi da macchiette -, per Let it Be tutto è molto diverso. Sì, anche in questo caso, come suggerisce il titolo, il documentario è stato realizzato con l’obiettivo di preludere al lancio dell’omonimo disco, ma questa volta non c’era sceneggiatura, non c’erano dialoghi costruiti ad hoc, e soprattutto i Beatles non erano più i Beatles.
Durante tutta la visione del film, che riprende il gruppo nella sala prove fino ad arrivare al mitologico concerto sul tetto degli Abbey Road Studios, l’ultima performance dal vivo del gruppo, si percepisce un’aria quasi pesante. I rapporti tra i mitici Fab Four sono ormai deteriorati in modo irreversibile. La fine è vicina, e lo si avverte nel documentario. I sorrisi sono pochi, e il loro posto lo prendono le liti, brevi o meno che siano, i battibecchi e le antipatiche smorfie del viso.
Si potrebbe quasi redigere una sorta di referto personale per ogni componente della band. Paul è sempre Paul, l’unico che sembra intenzionato a tenere ancora in piedi la baracca (di recente, utilizzando parole simili, Ringo Starr ha confermato questa tesi: “Non andavamo d’accordo. Paul era workaholic, per questo abbiamo fatto tanti dischi”, fonte Rolling Stone). John, invece, sembra essere distratto dalla presenza di Yoko Ono, che segue il marito quasi avesse intenzione di diventare la sua ombra, con cui parla, si bacia e addirittura balla nel mezzo delle prove.
George, poi, più irritato che mai; è iconico lo scazzo con McCartney, che lo correggeva nello stile di suonare la chitarra. Ringo, infine, quasi distaccato dal gruppo per non rovinare il suo mood.
Sì, in alcuni punti sembrano divertirsi ancora come i primi anni, i primi dischi e i primi film. Eppure è tutto così diverso. Saranno le barbe (o i baffi, o le basette) incolte, sarà che conosciamo già cosa è successo in quell’anno; e soprattutto cosa accadrà gli anni successivi, e quel tragico 8 dicembre del 1980…
“Let It Be era pronto per essere pubblicato nell’ottobre/novembre 1969 – ha dichiarato il regista Michael Lindsay-Hogg -, ma non uscì fino all’aprile 1970. Un mese prima della sua uscita, i Beatles si sciolsero ufficialmente. E così la gente andò a vedere Let It Be con la tristezza nel cuore, pensando: ‘Non rivedrò mai più i Beatles insieme. Non avrò mai più quella gioia’, e questo ha molto oscurato la percezione del film“.
Il documentario in questione, a dire il vero, non sembrava proprio essere nato sotto una buona stella. Oltre alla rottura del gruppo, John Lennon riservò parole stizzite nei riguardi dell’opera di Lindsay-Hogg; innervosito dall’attenzione del regista riservata, a suo dire, quasi esclusivamente a McCartney. Comunque sia, oltre ai litigi in Let it Be è possibile assistere anche a momenti di alta musica, come le prove di Don’t Let Me Down o il già citato concerto all’aperto, che ha letteralmente gettato nel panico il traffico sottostante.
Quest’ultima scena diventa fondamentale, oltre che per la storia della musica, anche per la serie The Beatles: Get Back presente proprio su Disney+ con la regia di Peter Jackson. E anche in questo caso, il regista neozelandese della saga de Il Signore degli Anelli, è un grande protagonista.
Un restauro atteso da intere generazioni, grazie Mr. Jackson
La questione fondamentale riguardo la versione di Let it Be in streaming riguarda senza ombra di dubbio il suo restauro. Il film comincia con una conversazione tra Michael Lindsay-Hogg, creatore dell’opera originale del 1970, e Peter Jackson, l’uomo che ha curato la riqualificazione, se tale possiamo definirla, della pellicola da 16 mm (anche se poi è diventata da 35 mm) su cui per sedici giorni, per un totale di ben 56 ore di girato, sono stati ripresi i Fab Four nella loro sala di registrazione, e non solo.
L’uomo che ha portato sul grande schermo i romanzi di J. R. R. Tolkien, dunque, è stato il vero fautore del restauro di Let it Be insieme al suo team Weta Digital. Jackson si è detto entusiasta del risultato, e soprattutto ha dichiarato di sentirsi molto fortunato ad aver avuto la possibilità di lavorare sulla pellicola originale delle riprese effettuate da Lindsay-Hogg; e si parla, come già sottolineato in precedenza, della pellicola da 16 mm, e non della successiva da 35 mm. Insomma, i Beatles si sono sciolti, e noi non possiamo far altro che guardare questo documentario dalla valenza storica, e poi cantare: lunga vita ai Beatles!
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