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The Book of Boba Fett serie

È ora di parlare di The Book Of Boba Fett

8 minuti di lettura

Ultimamente avete sentito un tremito nella Forza? È perché ogni mercoledì, a partire dal 29 dicembre, l’universo di Star Wars ha continuato a espandersi sul piccolo schermo. The Book of Boba Fett è la nuova serie di punta di Disney+, che non lascia mai a mani vuote i fan della saga di George Lucas.

Nata da una costola di The Mandalorian e sviluppata, ancora una volta, da Jon Favreau, The Book of Boba Fett conta 7 episodi, 3 dei quali già presenti sulla piattaforma. La serie è un viaggio alla scoperta delle avventure del famigerato Boba Fett, cacciatore di taglie la cui storia è avvolta dalla leggenda. Per ora, la nuova serie ricalca le atmosfere western di The Mandalorian e cerca di imitarne la struttura, ma riuscirà a convincerci allo stesso modo?

Boba Fett, una leggenda rimasta a lungo nell’ombra

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Mando, interpretato da Pedro Pascal in The Mandalorian, era un personaggio di certo facile da plasmare: partiva come materia informe, era malleabile e adattabile alle esigenze narrative. Al contrario, Boba Fett è tutto fuorché una new entry. Ha già una lunga epopea alle spalle, per questo può mettere in difficoltà chi riceve l’arduo compito di dargli una storia. Boba Fett fece la sua prima apparizione nel 1978, all’interno di uno speciale natalizio animato (dove usava già il suo iconico zainetto a propulsione). Tuttavia, fu L’impero colpisce ancora (1980) a introdurlo al pubblico a livello internazionale e fu Il ritorno dello Jedi (1983) a concedergli gloria eterna.

A dispetto dello scarso tempo scenico che gli fu riservato nella trilogia originale (o forse proprio per questo motivo), il pubblico si innamorò perdutamente di lui. Un copione più breve di una lista della spesa e un elmo a celare la sua l’identità, eppure Boba Fett (allora interpretato da Jeremy Bulloch) divenne un mito, complici l’alone di mistero che lo circondava e un’abilità in combattimento che lo rendeva una minaccia anche per un jedi.

La storia di Boba fu breve ma intensa, poiché egli concluse la carriera nello stesso film che lo aveva reso celebre: durante uno scontro con Luke Skywalker, Han Solo lo spinge nelle fauci di un sarlacc, pericolosa creatura che si nasconde nelle sabbie. Ma le vie della Forza sono infinite. Quasi vent’anni dopo, L’attacco dei Cloni si prese la briga di raccontare le origini del personaggio. Si scoprì che era un clone di Jango Fett, a sua volta cacciatore di taglie, e che era stato cresciuto da lui come un figlio, fino alla morte.

E poi fumetti, videogiochi, serie animate. In particolare la serie The Clone Wars, in tempi recenti, ha cercato di riprendere in mano la storyline di Boba Fett, ma è stata The Mandalorian a resuscitarlo davvero, in carne e ossa, fancendo indossare la sua armatura a Temuera Morrison. Nella scena post-credit dell’ultimo episodio della seconda stagione, vediamo Boba Fett sedersi sul trono che fu di Jabba The Hutt e poi di Bib Fortuna. Al suo fianco, la mercenaria Fennec Shand (Ming-Na Wen).

La Forza scorrerà potente in The Book of Boba Fett?

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The Book of Boba Fett vuole gettare un occhio al presente e l’altro al passato: da un lato, racconta l’esperienza di Boba come nuovo signore della malavita di Tatooine, dall’altro scava nel suo passato (ovvero: cos’è successo dopo che fu inghiottito da quel sarlacc nel deserto). Se tracciassimo, dunque, una cronologia di Star Wars, The Book of Boba Fett starebbe tra Il ritorno dello Jedi e Il Risveglio della Forza (2015), in un arco temporale più o meno contemporaneo a quello di The Mandalorian.

Tatooine, sporco dal punto di vista sia fisico sia morale, fa da sfondo alle vicende ambientate nel presente, ma questa narrazione procede a rilento, visto che siamo interrotti da lunghi flashback che rimandano al passato. Un passato in cui Boba diventa chi è oggi, grazie all’incontro con un gruppo di Tusken (sabbipodi) che lo addestrano nelle loro tecniche di combattimento e gli insegnano le loro tradizioni. Comparse abituali nei film di Star Wars, i Tusken non sono personaggi ai quali siamo soliti affezionarci (non si possono vedere in volto, parlano una loro lingua, si limitano a rubare pezzi di speeder e astronavi).

The Book of Boba Fett sembra voler restituire dignità a questi indigeni del deserto (un merito che va riconosciuto), ma a risentirne è il coinvolgimento dell’audience. La stessa operazione di “rivalutazione” viene effettuata sul rancor, bestia starwarsiana celebre per la cieca ferocia nel divorare le prede, qui riscoperta come animale addomesticabile, fedele e mansueto verso chi gli dimostra affetto. L’amicizia tra la creatura e Boba potrebbe riservarci qualche bella scena nelle prossime puntate.

Un cammino lento e tranquillo come quello di un Bantha

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Non si può fare a meno di notare che senza il carisma di alcuni dei protagonisti di The Mandalorian o il fenomeno virale di Baby Yoda/Grogu, senza qualcosa di forte come il legame che si era venuto a creare tra Mando e il piccolo, The Book of Boba Fett arranchi a confronto col suo predecessore. Non bastano la fotografia eccezionale e le ambientazioni che rimandano nostalgicamente ai primi capitoli della saga, perché la narrazione avanza lentamente, quasi a fatica, guidata da una regia (perdonaci, Robert Rodriguez) nel complesso abbastanza piatta e ripetitiva.

Anche se i temi principali sono i giochi di potere su Tatooine e la rivalità tra clan che reclamano diritti sul trono, la serie non vuole annoiare con questioni burocratiche, perciò non le affronta così dettagliatamente e si redime con alcuni momenti d’azione (limitati agli ormai consueti scontri corpo a corpo). Insomma, per non scontentare nessuno. Inoltre, l’introduzione, nel terzo episodio, di una banda di ragazzi con parti meccaniche installate nel corpo prova a fare l’occhiolino alle nuove generazione (guardate, dei giovani come voi!), ma il gruppo rischia di rimanere una presenza inutile se privo di caratterizzazione futura.

Forse la pecca di The Book of Boba Fett è non aver avuto, finora, nessun momento di suspence, nessuna sorpresa eclatante. Neanche le musiche sono ancora state sfruttate appieno. Servirebbe un po’ di movimento per ravvivare l’atmosfera: i fan stanno aspettando un guizzo che risvegli l’interesse collettivo.


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Classe 1998, con una laurea in DAMS. Attualmente studio Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna e mi interesso di comunicazione e marketing. Sempre a corsa tra mille impegni, il cinema resta il vizio a cui non so rinunciare.

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