Il periodo del Grande Joseon è stato il regno dinastico più longevo della Corea, durato dal 1392 al 1897 e dove la tradizione filosofica-religiosa del Neoconfucianesimo è diventata l’ideologia di stato, scontrandosi quindi con il Buddismo e soprattutto con il Cristianesimo, arrivato in Corea all’inizio del diciannovesimo secolo grazie ai libri scritti di alcuni missionari gesuiti cinesi e prontamente represso violentemente per molti anni dalla famiglia reggente.
È in questa specifica cornice storica che il regista Lee Joon-ik ambienta il suo ultimo lungometraggio, The Book of Fish, che dopo essere stato presentato nel 2021 in molto festival coreani riesce a sbarcare anche in Europa grazie al Florence Korea Film Fest. L’ultimo lavoro di Lee Joon-ik, famoso in patria per aver diretto uno dei maggiori successi di sempre al botteghino King and the Clown, vede tra i protagonisti il giovane Byun Yo-han e il bravissimo Sol Kyung-gu (protagonista di Oasis del maestro Lee Chang-dong).
Una storia tra pesci e Confucianesimo
È il 1801 e il funzionario di corte Jeong Yak-jeon viene costretto all’esilio dal nuovo Re Jeongjo per aver abbracciato la fede cattolica. Viene separato dalla sua famiglia e obbligato a recarsi su una piccola isola lontana dalla terraferma e da ogni contatto con il resto del paese. Anche se addosso porta la nomea di traditore, i pochi cittadini dell’isola lo accolgono volentieri e gli offrono un luogo in cui dormire e dei pasti freschi. Jeong si trova immediatamente a suo agio in quel luogo sperduto, si interessa alle questioni sociali dell’isola e cerca di darsi da fare in ogni modo per meritarsi quella calorosa accoglienza.
Si interessa soprattutto alla vita di un giovane pescatore di nome Jang Chang-dae, appassionato e studioso del confucianesimo e dei suoi libri fondamentali con il desiderio di avere un ruolo da intellettuale nell’alta società. Vorrebbe aiutarlo con i suoi studi, ma il giovane non accetta le sue idee religiose e non vuole avvicinarsi a una persona che accoglie il cristianesimo.
Tutto cambia però quando Jeong gli offre uno scambio equo: lui lo aiuterà con gli studi mentre il pescatore lo aiuterà a scrivere un libro sulla vita marina per ordinare tutto ciò che si conosce sui pesci e le altre creature dei mari. Iniziano così a studiare e imparare assieme, a completarsi a vicenda e a istaurare un rapporto di amicizia profonda, finché però le loro idee così lontane torneranno a scontrarsi e a dividerli sui bivi della vita da intraprendere.
Un oriente confuso e contraddittorio
The Book of Fish è un film delicato, con un bianco e nero luminoso, capace di guidarci dentro la storia, all’interno di un passato lontano e diverso dalla contemporaneità, dentro alle tradizioni di un popolo radicato e legato a idee completamente opposte da quelle occidentali.
Lee Joon-ik utilizza uno specifico momento storico per parlare del presente e di concetti universali, riesce tramite un dualismo ideologico instaurato tra i due protagonisti a riflettere sullo scontro tra la ferma intransigenza della tradizione e la fluidità della modernità, da un lato la genuina voglia dell’anziano maestro di aprirsi al mondo e dall’altro la radicale scelta del giovane pescatore di credere a ciò che gli scritti del passato hanno detto.
The Book of Fish riesce benissimo anche a far emergere le contraddizioni di un popolo orientale schiavo delle proprie idee, da sempre è confuso su quale strada ideologica e morale intraprendere. Le idee confuciane che tutti devono seguire sono presenti e vengono approfondite durante tutto il film e Lee Joon-ik le mette in continuo contrasto con un atteggiamento della nobiltà, la prima classe che dovrebbe seguire la via della giustizia e della pace, meschino e incapace di accettare il diverso.
Un cane che si morde la coda, un sabotaggio interno ipocrita che ha reso l’intero oriente un luogo spaccato, incapace di capire e correggere i propri errori. E alla fine un libro sui pesci, tanto desiderato da Jeong Yak-jeon, diventa l’obiettivo più importante, il giusto fine per cui usare il proprio tempo e sforzo, perché tutto il resto, apparentemente più importante, non funziona e sembra non portare a niente. The Book of Fish fa capire come forse sono le cose meno importanti ad essere quelle fondamentali.
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