The Complex Forms, vincitore di una menzione d’onore nella sezione Crazies del Torino Film Festival e film d’esordio di Fabio D’Orta, regista di videoclip per Dente e i Verdena, è un’inquietante e spiazzante storia di possessioni.
In un villa novecentesca perduta nella campagna, un gruppo di uomini aspetta l’arrivo di entità extra dimensionali affinché avverino i loro desideri, attraverso una possessione volontaria dei loro corpi. Christian, appena arrivato al misterioso maniero, inizia a sospettare con i suoi compagni di stanza che ci sia qualcosa di sinistro e malevolo, quando alcuni degli ospiti cominciano a scomparire dopo la venuta degli esseri inquietanti. L’atmosfera è l’elemento che genera l’inquietudine e il brivido in un film in bianco e nero, fatto di larghi spazi e cupi presagi: auspici che dopo un tuono si materializzano in gigantesche e bizzarre creature che visitano indisturbate le stanze degli ospiti e i corridoi dell’edificio.
The Complex Forms, un’atmosfera e un’ambientazione da brividi
The Complex Forms è un horror che scaturisce inquietudini, non solo attraverso atmosfere cupe, ma anche attraverso l’interpretazione scarna e asciutta dei protagonisti, che sembrano sempre in attesa della fine della loro degenza, accompagnati da una fotografia che avanza lenta negli spazi, generando tempi morti e quadri d’insieme di grande effetto scenico, quasi teatrali. Durante la visione sembra di vivere in un limbo provocato da un coma o da allucinazioni di natura spaventosa, generate da una mente pessimista e nichilista.
Il passato da tecnico dei VFX si nota nel riguardo verso le sequenze oniriche e allucinatorie dei protagonisti e nell’ideazione di queste creature astratte che mischiano elementi organici insettiformi con altari, casse e monili, restituendo un aspetto sacrale, imponente e bizzarro, quasi di lovercraftiana memoria. C’è un’estetica barocca e manierista che si respira in ogni elemento del film, persino nelle musiche che scoppiano in violenti picchi di archi e trombe, intorbidendo l’ambientazione.
L’elemento dell’attesa è fondamentale nell’evocazione dell’atmosfera conturbante e ansiogena di The Complex Forms: i tempi morti non sono solo un esercizio di stile con cui il regista si diverte a costruire delle inquadrature maestose; al contrario sono indispensabili e creati ad arte per infondere l’angoscia della routine all’interno della villa e per restituire uno scorrere del tempo distorto e ultraterreno.
The Complex Forms, l’ambiguità e il senso onnipresente della fine
The Complex Forms è anche una metafora della disperazione e dell’accettazione passiva di fronte ad un punto di non ritorno: i corpi scavati e sgraziati, gli occhi fissi e quasi vuoti dei protagonisti sono indicativi della loro condizione di disagio e di debolezza che li costringe a sottomettersi a qualsiasi tipo di situazione fuori dal comune e ambiguamente insidiosa. Christian e gli altri ospiti della villa sono in balia degli eventi e si rendono conto sempre troppo tardi dei rischi che corrono in quell’ambiente freddo e minaccioso.
I dialoghi di The Complex Forms sono lenti e ridotti all’osso per aumentare il senso di tensione che cresce all’avvicinarsi di questi esseri. Il personale si limita a rispondere placidamente e a ribadire le condizioni del contratto stipulato con gli ospiti e gli scambi di battute tra i protagonisti, in cerca di una via di fuga, sono carichi di preoccupazione e panico sempre crescenti verso la loro sorte, legata ad esseri misteriosi e ciclopici che provocano immensi dolori fisici e fanno dei loro corpi ciò che vogliono.
Il finale è perturbante tanto da generare dubbi e domande sulla vicenda, ma in linea con il ritmo lento a cui ci ha abituato questa pellicola di tensione che rielabora in modo creativo e originale i temi del sovrannaturale, della morte e del senso di fine e d’attesa che ci possono consumare e lasciare del tutto privi di speranze.
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