The Fabelmans è un film sul perché Spielberg sia Steven Spielberg. O meglio, sul perché sia diventato uno dei più grandi cineasti che la storia del cinema possa vantare.
Il progetto di un film autobiografico nasce nel ’99, scritto da Anne, la sorella del regista, con il titolo I’ll Be Home, ma Spielberg non ha ancora il coraggio necessario per ripercorrere la storia della propria infanzia, frenato dal timore che i genitori possano fraintendere le sue intenzioni. A marzo 2021 viene annunciato un nuovo progetto con Spielberg alla regia e alla sceneggiatura, per la prima volta da AI Artificial Intelligence (2001) insieme al collega Tony Kushner, e l’anno successivo il direttore della fotografia Janusz Kamiński conferma che il film ripercorrerà la vita del regista dai 7 ai 18 anni, il complicato rapporto con i genitori, le sue sorelle, la sua passione per il cinema e i primi approcci adolescenziali alle relazioni: “un film rivelatore sulla vita di Steven e su chi sia come regista”.
Presentato in anteprima il 10 settembre 2022 al Toronto International Film Festival e il 19 ottobre successivo come evento speciale in concorso nella Selezione ufficiale della 17ma Festa del Cinema di Roma, The Fabelmans è al cinema dal 22 dicembre con 01 Distribution.
Paul Dano e Michelle Williams sono Burt e Mitzi Fabelman in The Fabelmans
La prima volta al cinema di Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle) è un incanto visivo terrificante: le labbra spalancate, le braccia conserte sul sedile davanti, l’incapacità di capire dove abbia fine la realtà e cominci la fantasia. Sono i suoi genitori, l’ingegnere Burt (Paul Dano) e la pianista Mitzi (Michelle Williams), ad iniziarlo al gioco del cinema con la visione nel 1952 de Il Più Grande spettacolo del Mondo di Cecil B. DeMille.
Lo scontro tra il treno e l’automobile lo spaventa e lo affascina al punto da chiedere come regalo di Natale un trenino telecomandato, per riprodurre la scena vissuta al cinema e “contenerla”, comprenderla, riprodurla per depotenziarne ogni effetto catastrofico sul reale. La vita di Sammy ha già un destino: frenato dal pragmatismo del padre, esaltato nel talento dalla poesia della madre, il ragazzo cresce con la macchina da presa in mano, evolvendosi con lei e per lei.
Nel deserto dell’Arizona diventa un regista di western con l’aiuto dei suoi amici e compagni di classe, ma il trasferimento a Los Angeles dovuto ad una promozione del padre porta la famiglia a confrontarsi con un ambiente del tutto nuovo, più frenetico e meno inclusivo. A risentirne, gli equilibri di Mitzi e – per osmosi – la famiglia tutta: attraverso alcuni fotogrammi di girato Sam scopre la relazione extraconiugale della madre con lo “zio” Bennie (Seth Rogen), protagonisti di un legame, vissuto nel rispetto, impossibile da corrompere e vitale per i due amanti. A salvarlo, in un momento di profondo sconforto. è il suo cinema, attraverso gli occhi della sua 16 mm, nell’ultima estate prima di diventare adulto.
Con l’orizzonte in alto: il cinema di Spielberg è la casa delle nostre storie
A volte le cose non si possono sistemare e l’unica cosa che possiamo fare è soffrire.
Soffrire, o girare un film; per evitare di sprecare un’emozione viva come il senso di colpa. The Fabelmans, per Spielberg, è una presa di coscienza della propria storia dovuta e concessa alla settima arte, una dichiarazione d’amore e di intenti alla fantasia, personificata da una figura materna incapace di rinunciare all’amore e alla bellezza della poesia.
Un film sull’eterno fanciullino del regista, sull’incorruttibilità del suo sguardo, sui mondi possibili alternativi ad una realtà difficile da accettare. Con The Fabelmans Spielberg fa esattamente ciò che il piccolo Sam fa all’inizio del film, simulando con dei trenini lo scontro tra un’automobile e un treno ad alta velocità visto al cinema: contiene, misura, comprende e accetta il pericolo di una storia replicandola nelle sue mani.
Il conflitto familiare, le profonde differenze di temperamento e volontà genitoriali, i segreti da nascondere, le mancanze da assecondare, la delusione da tollerare, il ribrezzo per un vuoto causato da chi avrebbe dovuto proteggerlo e l’impossibilità di odiare, nonostante il dolore subíto. Il regista affida la sua casa alla finzione, al suo schermo – che è da sempre casa. Si serve della sua lente, del suo filtro fantastico per narrare il suo movente, per donarsi al suo pubblico nell’interezza delle sue origini e perdonare.
The Fabelmans: perché amiamo il cinema
The Fabelmans è un film di Spielberg su Spielberg, ma un capitolo a parte della sua filmografia, quello in cui si concede di spiegarla. Dei personaggi paterni assenti, manipolatori o incapaci di assecondare il proprio ruolo, qui restituisce una fisionomia diversa del padre Burt (Paul Dano), un uomo dai sogni semplici e dal realismo predominante, dedito alla famiglia e innamorato di una donna che, in virtù di questo, non può rendere felice. È a lei che il regista dedica la sua trentaquattresima mise en scène, a sua madre Leah, passionale, audace, malinconica, tormentata e pura nella sua costante ricerca della felicità: “i film sono sogni che non dimenticherai mai”, sogni in cui curare le proprie ferite, in cui riflettersi per comprendere chi siamo stati, dove siamo ora e cosa vorremmo diventare domani. In trasparenza, su uno schermo, come danzassimo con Mitzi, vestiti di bianco e potenziati dal silenzio degli sguardi circostanti. Momenti incorruttibili, dal tempo e dalla precarietà dell’esistenza.
Spielberg fa di nuovo un miracolo, fissa l’orizzonte in alto, in direzione dei sogni: firma un testamento sul cinema, il suo, quello fatto di contatto, prime volte, sospiri asserviti al sonoro. Ci ricorda che la fantasia non è un hobby, che una parete – se illuminata – è casa di storie, che possiamo essere chiunque, in ogni luogo, migliori di ciò che siamo, che siamo al sicuro. Invincibili.
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