È arrivata il 9 ottobre su Netflix The Haunting of Bly Manor, l’attesissima seconda stagione di The Haunting, serie horror antologica scritta e diretta da Mike Flanagan che nel 2018 è stata accolta in maniera estremamente positiva sia dal pubblico che dalla critica. I nove nuovi episodi sono basati principalmente su Il giro di vite di Henry James, racconto del 1898 che ha ottenuto uno straordinario successo e che è ancora oggi soggetto a molteplici interpretazioni. In questa stagione sono tornati molti membri del cast di Hill House: Victoria Pedretti, Oliver Jackson-Cohen, Henry Tomas, Carla Gugino e Kate Siegel.
Nonostante le ottime premesse, The Haunting of Bly Manor non si è rivelata all’altezza della stagione che l’ha preceduta. Vediamo perché.
The Haunting of Bly Manor, la trama
Danielle (Victoria Pedretti) è una giovane donna che si trasferisce dall’America all’Inghilterra. Qui Henry Wingrave (Henry Thomas) la assume come istitutrice dei suoi due nipoti, Flora (Amelie Bea Smith) e Miles (Benjamin Evan Ainsworth), rimasti orfani a seguito di un incidente che ha causato la morte di entrambi i loro genitori e di cui lui non vuole occuparsi. Dani si reca quindi a Bly, la villa di campagna in cui risiedono, dove fa la conoscenza anche della guardiana Hannah (T’Nia Miller), del cuoco Owen (Rahul Kohli) e della giardiniera Jamie (Amelia Eve).
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Dopo un primo momento di entusiasmo, sia per la bellezza del luogo che per il rapporto instauratosi tra lei, Flora e Miles, Danielle inizia a vedere un uomo e una donna aggirarsi dentro e fuori la casa. Uno è Peter Quint (Oliver Jackson-Cohen), socio di Henry che passava molto tempo a Bly, e l’altra è Rebecca Jessel (Tahirah Sharif), ex istitutrice dei bambini. Entrambi sono morti poco tempo prima. Già tormentata dai fantasmi del passato, Dani si ritrova a dover affrontare queste entità, che sembrano voler fare del male ai piccoli. Ma questa non è l’unica insidia del posto, che sembra celare altri oscuri segreti legati al lago che si trova nell’immenso giardino della villa.
Una trasposizione mal riuscita
Quando si parla di trasposizioni, si dice che i film e le serie tv vadano considerati a sé stanti rispetto all’opera a cui sono ispirati. Ciò è tendenzialmente vero, in quanto quello cinematografico/seriale e quello letterario sono due media differenti, quindi situazioni e dinamiche che funzionano in un libro non sempre possono avere una controparte audiovisiva efficace. Chi scrive una sceneggiatura non originale deve allora apportare delle modifiche narrative sensate e coerenti e può anche imporre una propria visione, una propria autorialità, che va a modificare anche di molto la storia. Di conseguenza, non si può usare la fedeltà al libro come metro di giudizio.
La cosa, però, è appunto solo tendenzialmente vera. A volte, le modifiche non funzionano e ci troviamo di fronte a un’opera che spreca il potenziale della storia su cui si basa. È il caso di The Haunting of Bly Manor. Trattandosi di un’analisi dei punti deboli della serie e del confronto con l’opera a cui è ispirata, da questo punto in poi, l’articolo contiene spoiler!
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Come già anticipato, la stagione si basa soprattutto su Il giro di vite di Henry James. Differentemente dal racconto, nella serie i fantasmi esistono davvero, quindi non è presente l’ambiguità che ci porta a chiederci se Dani stia immaginando tutto o meno. Fin qui nessun problema; siamo nel sopracitato campo dell’imposizione di una propria visione.
Ma è il cambiamento del presupposto che sta alla base del racconto ciò che fa storcere il naso. Se nel libro le vicende sono narrate in un manoscritto della protagonista, che viene letto in più serate da un gruppo di persone radunate, nella serie tutto è raccontato a voce in un’unica serata, durante un ricevimento, da quella che poi scopriremo essere Jamie. Nonostante gli sceneggiatori mettano le mani avanti facendole dire che la storia è lunga, è estremamente improbabile che sia riuscita a raccontarla in una seduta e soprattutto nel modo ingarbugliato in cui ci è stata mostrata. Senza contare che alcune volte ci si chiede se davvero la donna potesse sapere tutto quello che ha raccontato.
Questo è solo il campanello d’allarme di un difetto di The Haunting of Bly Manor (di cui in seguito avremo ulteriori prove): molte cose e situazioni sono forzate, vengono date risposte lacunose e poco credibili e la sospensione dell’incredulità è portata oltre il limite tollerabile. È inevitabile che tali espedienti narrativi lascino gli spettatori perplessi.
Un aspetto che viene ripreso dal racconto è l’ambiguità del rapporto tra Danielle e Miles. La trama originale vuole che tra i due si crei una sorta di tensione, dovuta al fatto che il piccolo provi interesse nei confronti dell’istitutrice. È una cosa che emerge progressivamente e che lei non coglie appieno, poiché impegnata a capire le intenzioni dei fantasmi. Il deterioramento del loro legame avviene in maniera coerente rispetto ai macabri accadimenti dentro e fuori la villa.
Nella serie, invece, sin dal primo episodio Dani assume un atteggiamento incomprensibilmente ostile nei confronti di Miles, preferendogli nettamente Flora. La donna presenta quindi immediatamente dei tratti comportamentali che sono nell’opera letteraria il risultato dei suoi ragionamenti e degli eventi. È vero che, poco dopo il suo arrivo, il bambino la spia per qualche secondo dalla porta mentre si cambia, ma è anche vero che è appunto un bambino. Inoltre, solo poco prima, lei stessa aveva affermato di essere abituata ai casi problematici e di saperli gestire. La caratterizzazione del personaggio risulta dunque equivoca e si muove tra l’affettuosità e l’avversione, spesso senza motivo. Solo dopo, Miles diventerà davvero inquietante, giustificando tale condotta.
Il troppo stroppia
Finora si è detto che The Haunting of Bly Manor si basa solo principalmente su Il Giro di Vite. Questo perché in realtà sono molti i racconti di Henry James che confluiscono nella serie. La storyline di Henry, per esempio, è ispirata a The Jolly Corner, mentre quella di Dani e Jamie nell’ultima puntata a La Bestia nella Giungla. Le vicende di Hannah sono molto parzialmente tratte da L’Altare dei Morti e quelle di Viola (Kate Siegel) e Perdita (Katie Parker) da L’Inquilino Fantasma. La romanzesca storia di certi vecchi vestiti.
I numerosi riferimenti a James (tra cui gli stessi titoli degli episodi) dimostrano una profonda conoscenza dei suoi lavori. Purtroppo, però, non c’è un vero filo conduttore tra le molteplici storie. Viene riproposto lo schema corale di Hill House, in cui ogni puntata è dedicata a un personaggio (ad eccezione di Owen e Jamie, inspiegabilmente), ma non c’è una convergenza finale.
Trame come quella di Hannah finiscono per risultare riempitive, visto che dopo il quinto episodio la donna non ha quasi più importanza nella narrazione; altre, come quella del lutto di Dani e dell’alter ego di Henry, sembrano promettere grandi cose ma finiscono in un nulla di fatto. La domanda sorge spontanea durante la visione: dove si sta andando a parare? Sembra che nemmeno gli sceneggiatori l’abbiano capito, tant’è che a volte sembra di guardare più serie differenti.
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Quel che è peggio è che tutti questi intrecci oscillano tra la prevedibilità e l’incomprensibilità. Nel primo caso, ciò porta alla noia, anche e soprattutto perché c’è una dilatazione all’inverosimile degli eventi che strema lo spettatore. Nel secondo, invece, il risultato è la confusione. Ma non si tratta di una confusione stimolante o affascinante, bensì frustrante. Se la prima metà della stagione risulta grossomodo lineare, dal quinto episodio si viene gettati nella mischia delle sottotrame fini a loro stesse, che rimandano le spiegazioni davvero importanti, come quella del piano di Peter e Rebecca. Piano che nella settima puntata vediamo attuarsi, senza comprenderlo appieno, e allo stesso tempo venendo inondati di informazioni.
Spesso, poi, le scene che vediamo alla fine di un episodio si ripetono all’inizio di quello successivo, appesantendo ulteriormente la narrazione (e se può sembrare un problema da poco, ricordiamoci che si tratta di una serie rilasciata su una piattaforma che incita al binge watching). L’esempio più emblematico lo si ha quando la Donna nel Lago prende Danielle per il collo: rivedremo la scena per ben tre volte tra il settimo e l’ottavo episodio.
Nel mezzo, troviamo il racconto delle vicende di Viola e Perdita, dal quale ha inizio il segmento più debole di The Haunting of Bly Manor. Veniamo a sapere che secoli prima Viola, dopo essere morta e aver ucciso sua sorella Perdita, ha creato un campo gravitazionale grazie alla sua forza di volontà che blocca i fantasmi nell’area della villa, divenendo la famigerata Donna nel Lago. Questa spiegazione è poco plausibile, male argomentata e per niente approfondita. Ovviamente, anche stavolta il tutto poteva essere raccontato in molto meno tempo — la continua ripetizione di «she would sleep, she would wake, she would walk» è esasperante.
Dopo un tale build up, si giunge alla frettolosissima resa dei conti. Danielle decide di tentare il tutto per tutto usando la formula «it’s me, it’s you, it’s us» sentita poco prima (ovvero due ore per gli spettatori) con Viola per salvare Flora dalla morte. La scelta è descritta in questo modo: «E sarebbe andata così se l’istitutrice, in quel momento, non avesse detto ciò che disse. Delle parole che non capiva pienamente, ma che sentiva, nel profondo, di dover pronunciare». Queste frasi vogliono dire tutto e niente e non bastano a motivare una scelta così forte. La scrittura è pigra.
Clamorosamente, Viola accetta l’invito della protagonista ed entra dentro di lei. Per quale motivo? Non è dato saperlo. Sappiamo però che tutte queste cose hanno un nome preciso: deus ex machina.
Tutti sono salvi e i fantasmi possono uscire da Bly. Dani e Jamie, che ora hanno una relazione, lasciano la villa e iniziano la loro vita insieme, ma non sanno quanto durerà. Viola, infatti, inizia a prendere il sopravvento sulla protagonista e la spinge a compiere azioni pericolose per lei e per chi la circonda. Dani decide allora di annegarsi a Bly per porre fine alla cosa, divenendo la nuova Donna nel Lago. La narratrice ci dice che ora che anche lei ha questo titolo, Viola non potrà fare più del male a nessuno per mezzo del suo corpo.
Posto che non ci viene spiegato perché Viola opponga resistenza se aveva accettato, perché una volta che Dani muore la sua influenza diventa nulla? C’è un aumento della forza di volontà della protagonista? Se il corpo ospitante è morto, diminuisce il potere dello spirito? Ma soprattutto, cosa succede quando una persona che contiene uno spirito estraneo muore? Che ne è del suo? C’è solo da rassegnarsi: non lo sapremo mai.
Ed ecco che torniamo al presente. Scopriamo che la sposa è Flora e che sia lei che Miles hanno dimenticato tutto. E non perché erano piccoli: i due, infatti, conservano ancora ricordi del periodo in cui sono vissuti nella villa, ma solo quelli felici. Eppure ciò che hanno passato a Bly si è protratto per un lungo periodo di tempo. A ben vedere, è solo un escamotage molto fragile per giustificare la narrazione di Jamie, che a sua volta è un mezzo per rendere d’impatto il finale (lunghissimo e fuori luogo).
The Innocents, la trasposizione perfetta
Visto il modo in cui le vicende vengono espanse in The Haunting of Bly Manor, appare chiaro che il formato seriale (almeno in questo caso) non fosse assolutamente necessario e che il tutto potesse essere tranquillamente compresso in un film di due ore.
In molti, nel corso del tempo, hanno trasposto cinematograficamente Il giro di vite, ma il risultato più emblematico è stato quello di Jack Clayton, che nel 1961 ha diretto The Innocents (il cui titolo italiano è Suspense). Tra gli sceneggiatori, nientemeno che Truman Capote.
Sin dai titoli di testa, l’opera si preannuncia di altissimo livello, e di fatto non delude. Rende il racconto più coinvolgente, correggendo i suoi errori e colmando le sue lacune. Sicuramente questo fa diminuire l’incertezza riguardo la presenza dei fantasmi, ma la cosa non è necessariamente negativa, perché offre una spiegazione logica alle visioni della protagonista.
Ciò su cui The Innocents calca la mano è il legame tra l’istitutrice (né nel racconto né qui ha un nome) e Miles, rendendolo molto più disturbante. Ogni scena coi due genera ansia nello spettatore e gli fa temere il peggio.
Ma la decisione più riuscita è stata quella di eliminare del tutto il narratore esterno. Così facendo, il finale risulta più ragionevole e non lascia l’amaro in bocca come nel libro.
Tutti questi cambiamenti sono stati attuati rispettando il materiale di partenza e senza stravolgerlo e farcirlo inutilmente. Il film fa impallidire chiunque voglia ancora portare Il giro di vite sullo schermo e dovrebbe rappresentare un modello fondamentale d’ispirazione per quelli che hanno intenzione di trasporre un libro. Per queste ragioni, resta insuperato.
The Haunting of Bly Manor, un errore perdonabile
Non sono bastate una buona fotografia, un’ottima sigla e delle prove recitative di tutto rispetto a nascondere i problemi di The Haunting of Bly Manor, che, in conclusione, riguardano principalmente la sceneggiatura. Il che è abbastanza paradossale, perché il punto forte di Hill House era stata proprio la scrittura solida. Il quinto episodio spicca sugli altri e la costruzione della relazione tra Dani e Jamie è fatta egregiamente, ma sono solo oasi in un deserto.
Considerato il successo della serie, è molto probabile che vedremo una terza stagione. L’augurio è che, se si sceglierà ancora di trasporre un’opera letteraria, si faccia più attenzione al modo in cui lo si fa. E dopo la meravigliosa Hill House, sappiamo bene di cosa è capace Flanagan. Quindi, nonostante questo scivolone, la attenderemo comunque con ansia.
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