The Holdovers di Alexander Payne è un’immersione in un mondo che non esiste più. O meglio, in un modo che esiste in forma di rievocazione, riportato in vita dalla forza rinnovatrice della nostalgia. Fin dai titoli di testa, veniamo catapultati in un classico collegio americano degli anni ’70. Dalle atmosfere che riconducono inevitabilmente a L’attimo fuggente, The Holdovers è una storia commovente sull’insegnamento, sulla famiglia e la perdita.
The Holdovers, un Natale a scuola
1970, Barton Academy, scuola privata del New England. Paul Hunham (Paul Giamatti), un professore di civiltà antiche conosciuto per la sua intransigenza, si ritrova a trascorrere le festività natalizie nel campus, con il ruolo di supervisionare i pochi alunni che non possono ritornare a casa. Tra questi c’è Angus Tully (Dominic Sessa), un adolescente problematico e riottoso che è costretto a rimanere all’ultimo minuto in campus. Mentre gli altri ragazzi potranno tornare dai genitori dopo pochi giorni, Angus è costretto a passare il resto delle vacanze al college, con la sola compagnia del professore Hunham e di Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), la cuoca dell’istituto in lutto per la perdita del figlio.
Sia Hunham che Tully sono due persone profondamente sole: l’incontro di queste due solitudini, dopo un iniziale attrito, prende forma e si trasforma in una sodalizio tra complici, fondato sul rispetto reciproco e soprattutto sulla profonda comprensione delle ferite dell’altro. Attraverso la convivenza con il giovane e irrequieto studente, Hunham riscopre il senso del suo essere insegnante, al di là degli slogan sull’onore, la disciplina, la filosofia e il decoro che va decantando sin dall’inizio del film.
The Holdovers, un instant classic natalizio
La struttura di The Holdovers è semplice e lineare: la storia che racconta il regista di Nebraska è una classica storia di formazione, con un insegnante severo e isolato che riscopre il valore umano del suo ruolo e la connessione autentica con i suoi studenti. La sceneggiatura scorre con naturalezza ed è ravvivata da una serie di battute sagaci in grado di suscitare l’ilarità della sala.
Ma la forza di The Holdovers sta nel riuscire a comunicare con il pubblico e a trasmettergli il calore di una cenone natalizio, di quelli con i manicaretti fatti in casa e colmi d’amore che appartengono a un tempo lontano, che ricordiamo con affetto ma non siamo capaci di replicare.
The Holdovers culla quel passato, gli rende omaggio e ci ricorda che un filo sottile, quasi invisibile, collega ancora passato e presente. Una connessione sotterranea, viva e profonda, che riemerge dai ricordi e diventa desiderio di recupero e di rinnovo, un’acuta necessità di riavere quello che si è perso, nella sua forma più semplice e pura.
The Holdovers ha tutte le carte in regola per diventare un classico natalizio: ha già il volto familiare e confortante di quei film che associamo subito al Natale, da guardare sul divano dopo un sostanzioso cenone della Vigilia da più portate. Un ponte tra passato e presente, un’esplorazione dei sentimenti umani più universali: dolore, perdita, solitudine, amore.
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