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The Last of Us NPC Magazine

The Last of Us: il primo episodio è la metamorfosi di un nuovo vecchio inizio

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6 minuti di lettura

16 Gennaio 2023. Su Sky e Now arriva il primo episodio – gli altri usciranno a cadenza settimanale – dell’adattamento televisivo di The Last of Us, uno dei videogiochi più amati di sempre, sicuramente quello che nel 2013 fu in grado di trascendere l’esperienza videoludica tradizionale, portando la narrazione a una profondità mai così accentuata.

Protagonisti della storia sono Joel e Ellie, interpretati da Pedro Pascal e Bella Ramsey, costretti a vagare tra le grinfie di un mondo post-apocalittico, oppresso da un’incontrollabile epidemia fungina che rende gli infetti aggressivi e contagiosi, per cercare di riportare la luce in un’esistenza affondata nelle tenebre più oscure.

Estremamente fedele al videogioco ma capace anche di percorrere coraggiosamente nuove strade, il primo episodio di The Last of Us espande la narrazione videoludica come un fungo con le sue radici, gettando le basi di quella che sembrava la più ardua delle missioni impossibili.

The Last of Us è un adattamento fortemente consapevole

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Purtroppo lo sappiamo fin troppo bene, ogni adattamento porta con sé delle critiche, e la serie ideata da Neil Druckmann – già autore del videogioco – e Craig Mazin (Chernobyl) non è riuscita a evitare l’inevitabile.

Sono numerose le orde di fan che proprio non riescono a scendere a patti con il fatto che alcuni interpreti non rispecchino la fisionomia dei personaggi – aspetto tanto fattuale quanto irrilevante per l’effettiva riuscita della serie – o che alcuni elementi siano stati modificati a favore di una miglior esperienza audiovisiva.

D’altronde, però, stiamo parlando di un adattamento, il cui compito deve essere, appunto, quello di adattare la narrazione – in questo caso videoludica – a un media completamente diverso, con esigenze e tempi altrettanto differenti, senza limitarsi a una pedissequa trasposizione. Il primo episodio di The Last of Us lo fa in maniera ineccepibile.

“Quindi cosa succederebbe se un fungo del genere dovesse comparire?”

“Perderemmo”

La serie di The Last Of Us Approfondisce quello che nel videogioco era un incipit in medias res, e lo fa rimanendogli fedele, fornendo allo spettatore un contesto ben preciso, facendolo empatizzare con un personaggio che da lì a poco dovrà abbandonare e mostrando gli effetti del Cordyceps sull’essere umano, in un crescendo di tensione e citazioni videoludiche – registiche e nella messa in scena.

Ma la consapevolezza di questo adattamento risiede in gran parte nella sequenza iniziale – inquietante perché fortemente attuale -, un’idea semplicemente geniale per introdurre lo spettatore alle conseguenze che un’epidemia fungina avrebbe sull’umanità, e allo stesso tempo renderlo consapevole del fatto che, quella che lo attende nel corso della storia, è un’umanità soggiogata alla natura, sconfitta.

Oltre le critiche

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The Last of Us metteva l’ambientazione post-apocalittica al centro della propria narrazione, era protagonista, al pari di Joel ed Ellie, influenzava i comportamenti e le scelte dei personaggi, sottolineava la suddetta sottomissione dell’uomo nei confronti della natura, e la riappropriazione dei propri spazi da parte di quest’ultima, ma anche il contrasto fra un mondo in rovina e il desiderio di tornare a vedere la luce, riassaporare la speranza.

Estremamente fedele a quello del videogioco, il mastodontico lavoro sulla scenografia effettuato per l’adattamento seriale restituisce le medesime sensazioni, grazie anche a un design curato nei minimi dettagli, in grado di replicare quella perenne ostilità che pervadeva il videogioco.

Al netto di un aspetto fisico piuttosto differente da quello degli omologhi videoludici – Bella Ramsey soprattutto – le performance di coloro che rappresenteranno il cuore pulsante della serie, convincono pienamente.

Il Joel di Pedro Pascal è sicuramente più umano e fragile rispetto a quello del videogioco, inaridito invece dal lutto e decisamente più spigoloso nella caratterizzazione, mentre Bella Ramsey veste i panni di una Ellie che si porta dentro le ferite di un’infanzia mai vissuta, ancora bambina, ma costretta ad essere adulta.

La colonna sonora poi, riarrangiata ma fedele all’originale, mette i brividi a ogni accordo di chitarra, e riga di lacrime il volto di chi il videogioco lo ha giocato, spegnendo, come acqua sul fuoco, qualsivoglia futile critica.

Con buona pace dei detrattori, il primo episodio di The Last of Us conferma la bontà di un progetto che dimostra – più di ogni altra cosa – di avere a cuore il videogioco, ma anche la consapevolezza che alcune storie debbano essere trasformate in relazione al mezzo su cui usufruirne.


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

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