Con un solo lungometraggio alle spalle che porta il nome noto di The Witch, il regista americano Robert Eggers conferma il suo talento, aggiudicandosi un ruolo di primo piano nel filone horror contemporaneo, affiancato da colleghi altrettanto considerevoli che da qualche anno a questa parte rappresentano un barlume di rinascita per questo genere da molti amato. Presentato in anteprima alla selezione della Quinzaine des Réalisateurs durante la 72ª edizione del Festival di Cannes, The Lighthouse si presenta come un’opera complessa, densa, un chiaro punto di riferimento in un oceano di produzioni maldestre non sempre all’altezza di un genere mai come ora glorificato .
«The Lighthouse», un concept horror sulla rotta giusta
Le anime di Thomas Wake (Willem Dafoe), anziano custode del faro, ed Ephraim Winslow (Robert Pattinson), giovane apprendista ed assistente, vengono traghettate su un piccolo cumulo roccioso al largo delle coste del New England. Il loro compito è quello di sorvegliare il faro per un mese, in attesa di provviste e, infine, della scialuppa per la terra ferma. Ma una tempesta improvvisa impedisce loro di fare ritorno, costringendoli a passare il resto dei loro giorni sull’isola, messi alla prova dalle dure condizioni meteorologiche e igieniche, nonché da una crescente perdita della ragione.
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Trascinato non da una sirena ma dall’idea del fratello Max di riadattare l’omonimo lavoro incompiuto del maestro dell’orrore Edgar Allan Poe, Robert Eggers imbastisce un film concettuale dalla natura simbiotica, capace di districarsi con intuizioni visive e registiche in continuo mutamento, sempre in grado di stupire ed incuriosire. Come insegna il citato scrittore, lo sconosciuto e l’insolito sono il fondamento di ogni opera orrorifica che si rispetti e di questo Eggers fa tesoro, infettando ogni singolo frammento con un senso macabro ed angusto in modo impeccabile e omogeneo.
Perfezione visiva per un racconto grottesco
Tra fiumi di trementina, acqua imbevibile, flautolenze subitanee ed abbuffate di aragoste nauseabonde, The Lighthouse vive anche di momenti unici ed esilaranti, capaci di strappare una risata in più occasioni. Anche in questo senso il film è una vera perla, un contrasto talmente centrato da fare a botte con l’altrettanto variegata scala di grigi di Jarin Blaschke, direttore della fotografia che in questo caso ha superato se stesso. Entrambe le interpretazioni inebriano per la loro profondità, Willem Dafoe su tutti, con una performance chimerica che in parte oscura il giovane Pattinson, anch’egli in perfetta forma per un’interpretazione che evidenzia la sua recente crescita professionale.
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Un crossover mitologico e citazionista
Durante la fase di riscrittura, l’idea di adattare il romanzo di Edgar Allan Poe fu messa da parte per ragioni puramente stilistiche, portando i fratelli autori in un’altra direzione, quella della mitologia greca, più precisamente al mito di Proteo e Prometeo. Un’idea apparentemente stravagante per un progetto del genere ma concretamente acuta ed intelligente. I due personaggi mitologici mai erano stati inseriti in un unica storia; questo miscuglio letterario, iconografico e storico eleva il film ad un grado massimo di stupore per l’abilità con cui questi elementi di finzione vengono uniti e miscelati.
L’aspetto allegorico e mitologico che avvolge questa indiscutibile opera magistrale non costituisce l’unico rimando esterno. La pellicola gode di svariate citazioni filmiche inaspettate. Partendo dalla colonna sonora dark ambient del fidato Mark Korven, nei momenti di massima tensione riconducibile al Bernard Hermann di Psycho così come l’utilizzo del sonoro e della suspense alla Alfred Hitchcock. Eggers propone inoltre alcune scene al cardiopalmo, girate con mani Kubrickinane che, senza incappare in spoiler, toccano inevitabilmente più di una scena.
«The Lighthouse», un film quasi quadrato (non solo nel formato)
The Lighthouse non è un capolavoro, ma un film semplicemente geniale. Un contenitore di generi sapientemente modellato dal regista visionario che già con la sua opera prima aveva stupito per capacità e conoscenza, talvolta manieristica ma mai pomposa. Anche in questo nuovo capitolo, o vaso cinematografico, la ricercatezza visiva rappresenta uno strumento imprescindibile per quest’opera allucinatoria ma al contempo saggia, mai limitata da un formato che ultimamente poco si addice all’horror. In sostanza, The Lighthouse è probabilmente uno dei film cardine degli ultimi anni, grazie al quale ci si può aspettare una continua ricerca visiva e contenutistica, con l’augurio che rappresenti una vera speranza per un genere in continuo fervore e non un mero ed oscuro presagio.
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