Criticando un certo tipo di recensione, il critico Paolo Mereghetti ha detto: “spesso ci sono recensori che si ritengono più importanti dei film di cui parlano: scrivono per dimostrare che sono più bravi, più spiritosi, più intelligenti… più tutto. Ma se è così a me non interessa, non mi aiuta a capire il film: mi aiuta a capire le sue ambizioni e i suoi gusti ma di quello non me ne faccio molto”.
Tutto ci si poteva aspettare da The Marvels, nonostante le basse aspettative anche dei fan più accaniti del MCU. Sicuramente il progetto non nasceva da basi solide, la trama racconta e racchiude tre personaggi non molti amati: Captain Marvel (interpretata da Brie Larson) che non gode di grande affetto da parte del pubblico, criticata perché risulta “antipatica” sullo schermo; Ms Marvel (Iman Vellani), introdotta da poco nel maxi-universo in una Serie TV buona ma oggetto di commenti negativi; Monica Rambeau (Teyonah Parris), personaggio introdotto nella Serie TV Wandavision, dove non emergeva un granché.
The Marvels non ha la forza di altri prodotti del MCU
Introdotte da relativamente poco in prodotti che non hanno saputo valorizzarle al meglio né conquistare i fan, le tre protagoniste sembrano non graffiare il pubblico in sala. Eccole qui, nel trentaseiesimo film del MCU, dirette da Nia Da Costa – al suo terzo lungometraggio dopo Little Woods (2018) e Candyman (2021) -, prodotte ancora una volta da Kevin Feige.
I tre personaggi sono legati tra loro: non solo per lo scopo comune, ma perché, inspiegabilmente, ogni volta che usano in determinati modi i loro poteri si scambiano di posto. Le eroine, costrette a lavorare fianco a fianco, dovranno capirsi, conoscersi e comprendersi per salvare il mondo dal pericolo di turno. In un film che mescola comicità, azione e dramma (anzi, più drama), premesse come quelle sopra riportate si concretizzano in una narrazione che ricorda un pezzo dubstep privato dei crescendo (build up) che permettono di godere l’arrivo dei drop.
Insomma, abbiamo soltanto bei suoni potenti vicini, interessanti ma incapaci di comunicare bene tra di loro. È un po’ quello che succede in Quest For Fire, penultimo album di Skrillex, uscito questo febbraio. Ironia della sorte, RATATA, secondo pezzo dell’album di Skrillex, fa da sottofondo a una delle prime sequenze d’azione di The Marvels.
Scelta musicale interessante, forse non azzeccatissima per la scena per via dell’energia dub-house del pezzo; forse XENA, capolavoro del medesimo album e brano più energetico del precedente, sarebbe stato una scelta ancora più azzeccata, vista la presenza di una voce che canta in arabo nella canzone e l’origine pakistana – spesso ribadita – di Ms Marvel.
The Marvels è troppo veloce, troppo debole
A comporre The Marvels è un continuo di momenti, momenti che non si aggregano tra di loro, quasi si rincorrono. Infatti la storia corre, veloce e senza che nulla possa essere afferrato, senza che le vicende delle tre eroine incontrino un freno per darsi allo spettatore, come se ci fosse il timore che un silenzio possa annoiare. Velocità estrema e poca amalgama nelle vicende trasformano la narrazione in un loop di accadimenti che risultano randomici, scollegati tra loro.
Casuali non solo i motivi che portano i personaggi a fare le loro scelte, ma anche le risoluzioni successive. Una scena musical precede una battaglia insolitamente piccola e grande allo stesso tempo, senza che si capisca come tutto vada a finire.
La velocità è anche produttiva. L’impressione è che siano stati fatti tagli di troppo. The Marvels fa dei passi falsi fin dall’inizio. Già i primi minuti risultano strani, la macchina da presa è stranamente lontana, il tutto è così piccolo, piccolo nonostante debba essere imponente, tagliato quando dovrebbe aprirsi.
Questo film dà allo spettatore una sensazione strana, l’essere piccoli quando si dovrebbe essere grandi. Captain Marvel è energia, forza, potenza ma questa grandezza non entra nella pelle di chi guarda, non si ha il tempo di ammirarla o di percepire un po’ di crescendo prima dell’esplosione. La sua forza si smorza.
Qui non c’entra l’interpretazione di Brie Larson, ma una messa in scena discontinua e disorganizzata. Anzi, la Larson anima un personaggio tra i più interessanti della pellicola: una super con difficoltà ad approcciarsi all’altro, con scheletri nell’armadio e un kit da eroina non tanto perfetto. Le difficoltà di questo film erano tante, la risoluzione è qualcosa di mal calibrato.
Uguali a sé stessi o verso il futuro?
Questa quarta fase del MCU, cinematograficamente molto altalenante e con bassi molto bassi, è interessante da analizzare e coltiva interessanti quesiti: la maniera è stata la novità alla base di tutto, ora come si supera il risultante classicismo della maniera? Si può continuare a vivere nel limbo tra questi due?
Forse una risposta ce la danno altri artisti. Se Skrillex cerca l’innovazione riformulando se stesso, superando la maniera ma incappando nel grande problema di non riconoscersi in nulla, The Marvels fa lo stesso, cerca di portare il mai visto in qualcosa di oramai spaventosamente classico, incollando tutto con poca forza.
Non è solo l’MCU a restare imbrigliato nelle maglie che si è autocucito addosso, ma c’è chi riesce a uscirne.
Qualche giorno fa Iosonouncane – musicista sardo tra i più interessanti nell’Italia degli ultimi 20 anni – ha pubblicato Qui noi cadiamo verso il fondo gelido (concerti 2021-22), due ore di suoi pezzi riarrangiati in live con l’aggiunta di qualche inedito. La potenza di questa musica è unica, forza e ombra si uniscono alle sonorità della tradizione, con strumenti del folklore che dialogano con l’elettronica. Non ci si allontana di un passo da quello che la musica di Iosonouncane è, coerente anche nei concept dell’album, eppure si va in altri pianeti e dimensioni.
Le dimensioni che l’Mcu deve esplorare dovrebbero forse essere simili a queste, almeno nelle idee: fedeli all’origine usando il nuovo, novità ben calibrate e non subito spremute, un senso preciso e sicuro che non stringa troppo i singoli film. Compito difficile che questa volta, con The Marvels, fallisce.
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