È un pub, il The Old Oak (la vecchia quercia), il centro gravitazionale attorno a cui ruota il nuovo film di Ken Loach, presentato alla 76° edizione del Festival di Cannes e nelle sale italiane dal 16 novembre. Il regista ottantasettenne britannico non si allontana molto dalla Newcastle che ha raccontato in Io, Daniel Blake e Sorry We Missed You e si dirige in un piccolo paesino della contea di Durham per continuare dentro un semplice pub la riflessione politica e sociale che da quasi cinquant’anni di carriera porta avanti.
Ken Loach ha sempre utilizzato il mezzo cinematografico per descrivere e denunciare le contraddizioni del suo paese e le condizioni di vita dei ceti meno abbienti; in The Old Oak direziona la lente d’ingrandimento verso una piccola e chiusa realtà locale che si deve confrontare con l’attualissimo fenomeno dell’immigrazione.
La storia di The Old Oak
L’equilibrio vitale di un piccolo paesino minerario del nord dell’Inghilterra viene totalmente sbilanciato quando un pullman di immigrati provenienti dalla Siria solca le piccole stradine e rompe la monotona quotidianità dei cittadini. L’arrivo viene ostacolato, la discesa bistrattata e ostracizzata, l’accoglienza si trasforma in diffidenza e isolamento. Uno dei pochi ad accogliere i nuovi arrivati è TJ Ballantyne (Dave Turner), il padrone dell’Old Oak, che instaura con Yara (Ebla Mari), una giovane siriana appassionata di fotografia, un legame sincero, fatto di piccoli gesti solidali capaci di risollevare la situazione di chi non ha più niente.
Una scelta morale precisa che però non fa altro che incrinare il rapporto di TJ con la comunità locale, legata a una visione retrograda che si sente attaccata e invasa dallo “straniero cattivo e bugiardo”. Il padrone del pub, già in difficoltà a causa di un passato oscuro e torbido, si trova costretto a scegliere da che parte stare, se aiutare chi è difficoltà o mantenere in vita l’unico luogo che gli è rimasto. TJ, quindi, torna a chiudersi e negarsi al mondo, a desiderare di abbandonare una realtà che lo culla solo tra dolore e sofferenza, ma sarà proprio la forza della comunità siriana unita ai pochi britannici accoglienti e gentili che lo risolleverà verso l’ennesima rinascita.
The Old Oak è un film politico, sincero, umano
In The Old Oak Ken Loach fa diventare un pub il centro di uno scontro ideologico, di modi di vedere il mondo, simbolo perfetto di un presente sempre più frammentato e diviso, incapace di abbracciare il diverso. Il film non si sposta mai dalle stradine del paesino minerario, chiude lo spettatore in una realtà immobile, che non riesce a evolversi e diventare qualcos’altro; l’arrivo dello “straniero”, di chi non ha diritto a invadere quel giardino così ben tenuto, non fa altro che scaturire una risposta respingente.
Chi si sente attaccato, chi non vuole essere disturbato quando gusta la sua pinta di birra al pub, chi si sente privato del proprio spazio vitale, e poi c’è TJ che con le sue crepe e disagi interiori si mette a disposizione senza neanche pensare alle conseguenze perché semplicemente è la cosa giusta da fare; trova nell’aiutare chi è in difficoltà il motivo per andare avanti e non fermarsi.
Ken Loach in The Old Oak è bravissimo a far parlare le immagini (lo sciopero dei minatori di Durham, la guerra ingiustificata e orribile in Siria, le foto di Yara scattate alla nuova comunità cittadina) anche se spesso si perde in una semplicità e in una didascalia che stona con il peso narrativo della storia. The Old Oak è però capace di arrivare dritto nel petto, è un film disperato e senza speranza che però riesce a mostrare e inscenare il mondo come dovrebbe essere: empatico, accogliente e umano.
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