Era attesa da tempo e con trepidazione The Sound of Magic, il nuovo K-drama scritto da Kim Min-jeong e diretto da Kim Seong-yoon, disponibile su Netflix a partire dal 6 maggio. Scopriamo perché la serie è un prodotto ben realizzato, gradevole, e da cui trarre validi spunti di riflessione, che però non fa breccia nel cuore degli spettatori nonostante le ottime premesse e un buon cast.
Di cosa parla The Sound of Magic
Ispirata al Naver webtoon Annarasumanara di Ha Il-kwon, The Sound of Magic segue le vicende dei liceali Yoon Ah-yi (Choi Seung-eun) e Na Il-deung (Hwang In-youp, noto per True Beauty), la prima abbandonata dai genitori e disperatamente bisognosa di denaro, il secondo brillante erede di una famiglia prestigiosa con grandi responsabilità gravanti sulle sue spalle.
Entrambi alle prese con le difficoltà che la vita ha in serbo per loro, i ragazzi sono costretti a mettere tutto in discussione dopo aver incontrato lo stravagante Lee Eul, l’illusionista di cui tutti parlano, che vive in un Luna Park abbandonato e dichiara di essere un mago vero. E in effetti ciò che accade in sua presenza ha un che di sospetto: si tratta di trucchetti o di autentica magia?
The Sound of Magic, aspettative e realtà
Non c’è alcun dubbio che la scelta di ingaggiare Ji Chang-wook per interpretare il misterioso mago del Luna Park sia stata vincente. Già noto al pubblico per i suoi ruoli in K-drama di rilievo come Healer e Suspicious Partner, l’attore è più che credibile anche in The Sound of Magic e il suo Lee Eul, fin dal primo episodio, è circondato da un aura di mistero e innocenza insieme, combinazione perfetta per attrarre un pubblico composto sia di veterani che di curiosi.
Peccato però che il suo personaggio, decisamente più interessante degli altri, finisca quasi per fungere da cornice alla storyline di Yoon Ah-yi e Na Il-deung le cui figure, avvicinandosi alla fine, lasciano a Lee Eul meno spazio di quel che si merita.
Il fatto che tu stia sorridendo è la vera magia.
Lee Eul, The Soud of Magic
Altro punto a sfavore di The Sound of Magic la scelta di proporre una serie di cliché che oramai, dopo anni e anni di K-drama, non possono che far pensare ad una falla alla base del processo creativo che precede la realizzazione di ogni serie. Un processo creativo il cui apice, in questo caso, dovevano essere le tracce originali incluse nella colonna sonora che però, pur costituendo un’ottima playlist, danno l’impressione di essere superflue forse a causa di una distribuzione sproporzionata nelle puntate.
Ma per fortuna, nonostante i punti a sfavore, The Sound of Magic resta un prodotto di valore che impartisce agli spettatori importanti lezioni di vita presentando delle verità sacrosante, quelle che spesso tendiamo a dimenticare. Sfruttando un bel protagonista e dei trucchetti di magia, la serie riflette sul peso che ognuno si porta dietro sottolineando come, di qualunque peso si tratti, debba essere subordinato all’indipendenza e alle scelte personali.
E noi, crediamo nella magia?
The Sound of Magic è un prodotto che fa del suo messaggio la sua (unica) grande forza, proponendo contenuti di grande rilevanza che non sempre vengono trattati a dovere. Ciononostante, la serie finisce per rivelarsi un K-drama come tanti altri, non abbastanza innovativo né troppo travolgente, destinato a prendere il suo posto tra le fila delle serie gradevoli ma che non consiglieresti ad un amico desideroso di fare del sano binge-watching.
Non che ciò costituisca un elemento di deterrenza; ma se fosse stata distribuita prima del monumentale Pachinko, se Tomorrow non fosse uscito quasi in contemporanea, e se le aspettative non fossero state tanto alte, The Sound of Magic sarebbe stata non meno cliché, ma di certo più magica. In attesa che lo diventi, “Annarasumanara!”, ci sono tanti altri K-drama dietro l’angolo.
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