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The Whale, incapaci di non avere cuore: un teorema sull’amore

Brendan Fraser torna sullo schermo nel ruolo di Charlie, un uomo affetto da grave obesità che tenta di ricucire il rapporto con la figlia a pochi giorni dalla morte.

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7 minuti di lettura

Ha la messa in scena tipica del teatro il film di Darren Aronofsky in concorso nella 79ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: pareti di confine, un divano al centro, caratteristi che delineano lo spazio circostante e un dramma da risolvere prima che scada il tempo. Non a caso, The Whale è la trasposizione cinematografica dell’opera teatrale di Samuel D. Hunter, drammaturgo statunitense che l’ha portata al debutto nel 2012 a Denver. Racconta la storia di Charlie (nel ruolo Brendan Fraser, acclamato da critica e pubblico per il grande rientro dopo anni di lontananza dallo schermo), un uomo affetto da una grave condizione d’obesità raggiunta dopo la morte prematura del compagno Adam. Costretto all’interno dell’appartamento, l’insegnante deve fare i conti con la prospettiva di una morte imminente, e risanare per quanto possibile il rapporto con la figlia abbandonata in tenera età.

Il dramma tradotto per lo schermo da Aronofsky è però, fondamentalmente, una storia d’amore, di paternità, di trasformazione e trascendenza, in equilibrio precario tra l’etereo e il baratro più ossessivo dell’autodistruzione. Con The Whale, Aronofsky punta sull’aura emotiva di personaggi mai del tutto definiti, volti dai contorni morali sfumati, talvolta impalpabili. C’è una domanda esistenziale attorno cui ruota l’intera messa in scena: è possibile salvarsi l’un l’altro?

Targato A24, The Whale è il biglietto di sola andata di Fraser per la stagione degli Academy Awards. Prima, quasi certamente, la Coppa Volpi.

In The Whale di Darren Aronofsky Brendan Fraser è un uomo di duecento chili

Charlie (Brendan Fraser) è un insegnante di inglese che svolge lezione online con la telecamera oscurata. La ragione, è la sua grave forma di obesità: con più di duecento chili, Charlie non riesce a muoversi autonomamente, è assistito in casa dalla sorella del defunto compagno Adam e non esce mai, se non per ritirare due confezioni di pizza lasciate sul tavolino della veranda. Prossimo alla morte, affetto da insufficienza cardiaca congestizia, Charlie desidera recuperare il rapporto con la figlia Ellie (Sadie Sink), abbandonata all’età di otto anni per intraprendere una relazione omosessuale con uno dei suoi studenti. Risponde al suicidio di Adam, sopraffatto dal pregiudizio e dal rifiuto degli affetti, il vuoto di Charlie, affogato nel cibo spazzatura e nel completo abbandono di sé, motivo di vergogna agli occhi della figlia che sembra disprezzarlo moralmente e fisicamente.

Il legame di sangue, sopito, riaffiora nella condivisione della letteratura, alla ricerca di una verità di argomenti che riesca a mettere a nudo l’essenza più intima del rapporto tra padre e figlia.

People are amazing: in The Whale l’onestà vale più della struttura

The Whale Sadie Sink NPC Magazine

Una reazione divisiva, la critica dell’uditorio nell’analisi postuma dell’ultima opera di Aronofsky. The Whale: il capolavoro, il buon film, il film furbo e quello volutamente eccessivo. Come se il regista avesse tratto vantaggio dalla vulnerabilità di un uomo obeso e, con questa, nutrito le necessità emotive del pubblico ricettivo.

Eppure, come il sottotesto narrativo, è la verità degli argomenti la cifra vincente del lungometraggio in concorso a Venezia79, perché a esaurire il respiro non sono state le immagini soffocanti, affannose, quelle promosse dalla pornografia del dolore di cui l’umanità si appropria costantemente, piuttosto l’onesta, nuda potenza del dialogo, opaco, arrabbiato, umile, disgustato ma pur sempre condiviso.

La regia iperbolica di Aronofsky, già esibita in Mother! (a Venezia nel 2017), sottolinea la repulsione per un corpo abbandonato, ferito, trascurato per infliggersi un’assenza mai del tutto somatizzata, un disgusto viscerale di sé che spinge a sedimentare, sotto strati di grasso, le proprie ferite per evitare di esporle ancora una volta alla corruzione del bene.

L’equilibrio tra cattiveria e sincerità si profila labile quando si staglia all’attenzione comune un corpo che supera ogni forma o confine, difficile da contenere anche nel giudizio: l’impellenza di raccontarsi e farsi sfogliare inserisce Charlie in un rapporto di squisita empatia con l’uditorio a cui basta l’avanzare progressivo di cinque giorni per stabilire un contratto d’affezione.

È difficile resistere al giudizio dell’ampollosità se non si conoscono o riconoscono i meccanismi compulsivi e distruttivi di cui l’essere umano si serve per sentirsi pieno, per rimpiazzare l’amore: così masticare diventa secondario, devi ingoiare fino all’ultimo millimetro d’aria in gola, perché il dolore della pelle tirata e consunta è comunque una pena più tollerabile del vuoto. Il tuo cervello ti implora di fermarti, ma non riesci a smettere di farlo, continui ad addizionare materia ai tuoi spazi bianchi finché il corpo stesso prova repulsione di sé.

The Whale mette in scena una sinossi prevedibilmente banale, nella sua accezione più positiva, quella in cui il dolore si genera dall’esperienza più semplice e familiare: Charlie è omosessuale, obeso, reietto, ai margini della società, rinnegato dagli affetti, solo, animato da pura dolcezza e disponibilità d’animo, chiede continuamente scusa per il fatto di esistere e di farsi pensiero degli altri, eppure chi guarda non soffre per le premesse, piuttosto per le verità che esorta, per il dono che è la scrittura in chi vive nella cromìa delle parole pensate: nessuno dovrebbe chiedere scusa per aver amato, meritiamo riposo dall’inevitabile, almeno per un po’.


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25, Roma | Scrittrice, giornalista, cinefila. Social media manager per Cinesociety.it dal 2019, da settembre 2020 collaboro con Cinematographe per la stesura di articoli, recensioni, editoriali, interviste e junket internazionali.
Dottoressa Magistrale in Giornalismo, caposervizio nella sezione Revisioni per NPC Magazine, il mio anno ruota attorno a due eventi: la notte degli Oscar e il Festival di Venezia.

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