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«The World to come» non è perfetto ma sorprende | Venezia77

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Il terreno che Mona Fastvold sceglie per The World to come è pieno di insidie. La storia di un amore omosessuale nell’America rurale di metà ‘800 vuole essere assieme intima e rigorosa. Per questo la splendida fotografia su pellicola si scontra con un voice over fuori tono e poco coinvolgente. Se in The World to come si parlasse meno, forse, potremmo dire che anche questa Mostra del cinema di Venezia ha trovato il suo tesoro. Ma la Fastvold, che al Lido partecipa in concorso, non trova il giusto mezzo. Si invaghisce invece di alcune parole di troppo e lascia sporcare l’immagine.

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The World to come

A soffrire non è il ritmo. The World to come è lento ma seduce. I primi minuti seguono con rigore i tempi del clima e del lavoro a cui la vita di quell’epoca, e di quei luoghi, si votava. Nel nord dello Stato di New York si stendeva infatti un mondo ancora da costruire. Una porzione di West rielaborata con sguardo eccezionale. A riempire lo schermo sono bufere di neve e piogge torrenziali. Le prime fanno scomparire i protagonisti in bianchi commoventi, scossi come la storia d’amore che domina la storia. L’anno è il 1853 e a raccontare, da un diario letto nei suoi minimi dettagli, è Abigail (Katherine Waterson). La fattoria è un lavoro duro che condivide con il silenzioso Dyer (Casey Affleck), anche se con un’insofferenza in più. Lei sogna il mondo oltre. Perché c’è sempre qualcosa più ad ovest. Vorrebbe studiare, ma non le resta che scrivere per sé un diario di pensieri inespressi. A sentirli siamo noi e poi Tallie (Vanessa Kirby), affascinante ragazza trasferitasi al villaggio con il marito. Ne nasce un’amicizia, poi un dubbio e così un amore.

La scoperta di nuovi sentimenti guida The World to come nella mente di Abigail, più timida e per questo affascinante. Non è però la Waterson a uscirne vittoriosa. Vanessa Kirby è più convincente, adeguata, soprattutto nel sostenere le battute più fuori luogo.

The World to come

Di uguale e opposto interesse sono gli uomini della vicenda. Esterni alla relazione ci mostrano lo scontro tra un mondo di aspettative maschili e doveri femminili. Quando Tallie e Abigail abbandonano ruoli passivi e rigettano il sistema famigliare si spezza un ordine costituito. La sensazione, nei modi del marito di Tallie, è che si stia rifiutando una legge di natura. In suo aiuto chiama le sacre scritture, che recita alla moglie con fare apocalittico. Diverso è invece Casey Affleck. Incapace di capire ma in qualche modo vicino all’insofferenza della moglie. Diversamente da nome, borioso e autocompiaciuto, Dyer è un contadino con il sogno della meccanica. Anche per lui il mondo non è quello a cui si adegua.

Il disegno della Fastvold è più affascinante che bello. Il mondo mostrato è, anche negli oggetti (splendido il pela mele a cui Affleck affida la noia), un invito all’esplorazione. Lo scorcio è sull’universo femminile, obbligato a sperare in un futuro (“Il mondo che verrà”) tragicamente lontano dalle protagoniste. Quali punti di contatto si manifestino tra la storia e il presente è nell’occhio dello spettatore. Purtroppo, il lavoro è di volta in volta complicato o facilitato. Prima le parole di Abigail si duplicano in maniera stanca tra dialoghi e pensieri letti, poi la cinepresa corre per sottolineare concetti già ripetuti. The World to come è strattonato da ambizioni e paure. Quello che era contemplativo diventa spiegato. Ma l’amore impossibile al suo centro gioca a sfumare prima di farsi passionale. L’evoluzione, da rarefatto a inevitabile, allarga l’orizzonte della vicenda oltre il voice-over che incede costante.

Al netto di un equilibrio incerto, The World to come appare nuovo, soprattutto nei suoi momenti più lenti. Lontano dal grande pubblico, il film della Fastvold troverà una nicchia a cui chiedere fiducia.


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Studente di Media e Giornalismo presso La Sapienza. Innamorato del Cinema, di Bologna (ma sto provando a dare il cuore anche a Roma)e di qualunque cosa ben narrata. Infiammato da passioni passeggere e idee irrealizzabili. Mai passatista, ma sempre malinconico al pensiero di Venezia75. Perché il primo Festival non si scorda mai.

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