Uscita in streaming il 6 dicembre su Disney+, Theater camp è una divertente commedia musicale con protagonisti Ben Platt e Molly Gordon, che insieme a Nick Lieberman è anche regista.
L’esordio della giovane artista contemporanea è un buon inizio: senza la pretesa di essere un capolavoro, Theater camp si presenta bene nella sua semplicità, ma resta a galla sulle increspature di temi aperti e frettolosi.
Theater Camp, la storia
La AdirondACTS del Camp Lakeside ogni anno porta in scena spettacoli e musical interpretati dai ragazzi e dai bambini del camping, sotto la familiare direzione di Joan Rubinsky (Amy Sedaris) che però quest’anno, a causa di un incidente epilettico, non potrà partecipare perché in coma. A prendere le redini della sua eredità è allora il figlio Troy (Jimmy Tatro), aiutato dai decennali direttori artistici Amos (Ben Platt) e Rebecca-Diane (Molly Gordon).
Date le tristi circostanze, i due decidono di inscenare un musical dal titolo Joan, Still, che ripercorre le tappe più importanti della vita della fondatrice del campus. Tra debiti ingenti e scontri interni, la produzione arranca e lo spettacolo fatica a vedere la luce. Ma Theater Camp è un film dal finale lieto, per cui, un simpatico colpo di fortuna salva le sorti del campo estivo.
Il Mockumentary
Celata sotto le finte spoglie di una ripresa documentaristica, la macchina da presa di Theater Camp si muove traballante, si aggira nel campo estivo con passo furtivo e ruba momenti, conversazioni e sguardi da angoli nascosti. Zoom e campi larghi si alternano in un gioco che aiuta lo spettatore a calarsi nei panni di un’utenza acritica, rilassata, pronta a godersi un film leggero.
In tre settimane i bambini imparano il copione unito a coreografie e canzoni; la macchina da presa ne riporta vivida la frenesia, la scarica elettrica che percorre il gruppo, seguendolo dai provini alla messa in scena finale. Un cast coi fiocchi, in cui anche i più piccoli si amalgamano perfettamente nel corposo gruppo di attori.
Se proprio bisogna trovare il pelo nell’uovo, la critica allo stile scelto – il mockumentary, ovvero un film che ricalca con fare parodistico lo stile documentaristico – si sofferma su due punti: il primo riguarda l’impatto iniziale, fatto di movimenti malfermi, zoom e inserzioni testuali a cadenza un po’ troppo ricorrente, che potrebbero trattenere lo spettatore meno avvezzo dal proseguire con la visione; il secondo è invece la faccia opposta di questa stessa medaglia: per quanto coerente nello stile registico, sembra quasi che, sul finire, la telecamera nascosta si celi allo sguardo forse addirittura troppo. Diminuiscono gli zoom, le interazioni, gli stacchi sono quelli di ripresa filmografica “da cinema”.
Il talento in Theater camp
Theater Camp affronta in modo efficace il tema del talento, esplorandone i diversi punti di vista. La strana e particolare recita scolastica che ne esce alla fine è il frutto dell’impegno non solo degli insegnanti, ma anche, e soprattutto, dei bambini che lo portano in scena; dentro e fuori dal film sono talentuosissimi.
Si fa anche una non troppo velata critica al metodo d’insegnamento che vige nel mondo dello spettacolo: trattare male equivale a spronare e sottintende quindi una briciola di attenzione, se non addirittura di ammirazione. Vero, ma non sempre, come viene qui mostrato nel parallelo tra Darla, bambina prodigio che lascia poi lo spettacolo per intraprendere una carriera nel cinema, e le ragazzine che restano invece per il gran finale.
“Grazie per essere stato duro con me, so che era per una buona ragione“.
Il talento si trova però anche in Rebecca-Diane, che ottiene un lavoro come performer su una nave da crociera, e in Amos, che si riscopre veramente capace di guidare e ispirare gli altri e decide di dedicarsi con più passione al ruolo di insegnante. Anche Glenn (Noah Galvin) da tecnico delle luci-tuttofare svela il suo lato artistico e compone coreografie e interpreta egregiamente il ruolo di protagonista, un tempo di Darla, salvando lo spettacolo. Stesso dicasi per l’insegnante di mimo Janet Walch (Ayo Edebiri, stella di The Bear accanto a Jeremy Allen White), che riesce nel suo lavoro, nonostante la totale assenza di esperienza.
In generale, dunque, buona questa ricerca di potenziale, nascosto e non, anche se forse resta un po’ marginale, mai realmente afferrata. Si ha il sentore che le cose da dire siano molte, ma il tempo troppo poco.
Theater camp, sì o no?
Quella di Theater Camp è sicuramente un’ora e mezza che non annoia, intrattiene e diverte. Forse ride di più chi ha una conoscenza approfondita del mondo dello spettacolo perché ne capisce i retroscena e gli scambi di battute, ma il riso generale è suscitato a prescindere da questa vicinanza. Una pecca che trattiene dal dire sì senza pensarci due volte è quella che riguarda proprio i due protagonisti: ad un certo punto della trama, come ogni buon plot twist che si rispetti, i due litigano e aprono un discorso che avrebbe meritato più di qualche minuto di broncio.
Si parla infatti della scelta di “restare indietro” per non ferire l’altro, argomento che viene trattato velocemente e senza nemmeno troppe scuse da parte di chi non vede che chi ha di fronte ha scelto l’amicizia alla carriera. Inoltre, anche dopo aver scoperto di essere in bancarotta e sull’orlo del collasso, nessuno dei due va in soccorso di Troy né prova a salvare il posto che, a detta loro, è ciò che gli ha regalato la passione per il teatro.
Theater Camp è dunque un sì debole: sì per passare una serata carina e da lieto fine canoro e felice, no se si cerca qualcosa di più profondo.
Seguici su Instagram, Tik Tok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!