A distanza di 5 anni dall’ultimo film, il Dio del Tuono torna al cinema con il quarto capitolo della sua saga, Thor: Love and Thunder, diretto ancora una volta da Taika Waititi, già regista di Thor: Ragnarok.
È difficile descrivere esattamente cosa sia questo film, in sala da mercoledì 6 luglio: si tratta infatti della prima volta nel MCU che un personaggio riceve un quarto film (se si escludono i film degli Avengers, che sono un caso a parte), rendendo la direzione della storia e dei personaggi un’incognita per il modus operandi solito della casa di produzione di Kevin Feige.
Per chi ha apprezzato Thor: Ragnarok sicuramente anche Thor: Love and Thunder risulterà un film piacevole, ma per tutti gli altri il film lascerà molti, forse troppi, grattacapi.
L’infantilismo di Taika Waititi e Chris Hemsworth
Thor: Love and Thunder è in tutti i sensi l’esasperazione degli elementi presenti in Thor: Ragnarok, dai colori sgargianti all’umorismo demenziale, fino ad arrivare alla gestione superficiale dei personaggi: se infatti in Thor: Ragnarok c’erano almeno le caratteristiche tipiche dell’ultimo film di una trilogia, come la chiusura di trame e cambiamenti radicali di personaggi principali, in Thor: Love and Thunder invece manca un senso di gravitas, non c’è nessuna posta in gioco. Il che sarebbe anche stato un bene, visto che i film Marvel sono da sempre criticati per la loro ridondanza nelle trame.
Invece Waititi e Chris Hemsworth (qui produttore esecutivo) applicano la stessa solfa dei film precedenti: un villain (poco caratterizzato), una corsa contro il tempo, conflitti interiori ed esterni. Eppure tutto questo stona enormemente con la pigrizia e l’infantilità che Waititi ed Hemsworth hanno espresso nel film. D’altronde è stato Waititi stesso a confermare queste volontà:
It’s so over the top now in the very best way. It makes Ragnarok seem like a really run of the mill, very safe film… this new film feels like we asked a bunch of 10 year olds what should be in a movie and just said yes to everything.
Collider.com
Sicuramente i fan dello stile anarchico e infantile di Taika Waititi troveranno pane per i loro denti in Thor: Love and Thunder, che in questo senso rappresenta forse il picco più alto registrato finora nella filmografia del regista. Ma questo stile, come già detto, non trova conciliazione con la trama seria e a tratti drammatica del film, che non riesce mai a raggiungere dei veri momenti di pathos. Per di più, il ritorno di Jane Foster (e quindi di Natalie Portman) dopo ben 8 anni di assenza dal MCU, reso ancora più sensazionale dall’introduzione della sua Mighty Thor, sembra sprecato nell’ottica globale della resa di Thor: Love and Thunder.
Il potenziale sprecato di Thor: Love and Thunder
La Thor della Portman infatti non ha molte scene in cui spicca, e anzi le viene quasi sottratto il ruolo da protagonista che tutti si aspettavano, visto anche l’andazzo che il MCU sta prendendo nella sua Fase 4: basti pensare a Black Widow, The Falcon and the Winter Soldier, Loki, Hawkeye, in cui avviene il passaggio della torcia (o meglio, del mantello) da supereroi affermati a novizi, con la promessa di vedere questi nuovi eroi ed eroine nell’immediato futuro.
Invece non ci sono dubbi: il protagonista di Thor: Love and Thunder è ancora Chris Hemsworth, mentre Natalie Portman veste un dimenticabile ruolo di sostegno. Il ritorno di fiamma tra Thor e Jane è ovviamente inevitabile, ma anche nella love story tra i due manca la chimica che c’era invece nel primo film (anche se effettivamente la coppia era poco convincente anche nel sequel Thor: The Dark World), rendendo tutta l’operazione di ricongiungimento poco convincente.
Nel complesso, Thor: Love and Thunder sarebbe stato un film molto più interessante e godibile se la Marvel avesse avuto il coraggio di concedere veramente carta bianca a Waititi, permettendogli anche di non raccontare necessariamente una storia supereroistica sui generis, quanto più un’avventura totalmente scanzonata e irriverente, senza la presenza di personaggi seri e di una trama fatta con lo stampino. Infatti la presenza del villain Gorr (Christian Bale), per quanto sia visivamente impressionante, risulta eccessiva, nel senso di qualcosa che poteva benissimo non esserci.
Il tono del film infatti è quello di una commedia avventurosa, leggera, quasi una rom-com tra supereroi: per questo l’aggiunta dell’elemento horror (che sta sempre più prendendo piede nella Marvel visti gli ultimi Doctor Strange nel Multiverso della Follia e Moon Knight), introdotto da Gorr e dalla sua storyline, stona eccessivamente con il resto del film, che è scisso tra due anime: quello di un film leggero e che non si prende nessuna responsabilità, e quello del classico film Marvel con momenti drammatici.
L’Eterno Ritorno della Marvel
In Thor: Love and Thunder eccede anche il costante ritorno di personaggi ed elementi che sembravano essere morti e sepolti: il ritorno di Mjolnir, il martello originale di Thor, la cui distruzione aveva un significato non trascurabile per Thor nel suo percorso in Thor: Ragnarok e in Avengers: Infinity War, ritorna attraverso un retcon inevitabile, che però trasgredisce le regole del suo funzionamento per tutto il corso del film, confondendo e spaesando i fan più accorti.
È risaputo ormai il fatto che la Marvel non riesce a lasciare le cose (e i personaggi) morte nella loro tomba, un rifiuto quasi perverso di introdurre veramente qualcosa di nuovo nel loro catalogo filmico: ogni occasione è buona per riciclare trame, personaggi, oggetti. Esemplare il caso di Loki, morto all’inizio di Avengers: Infinity War per mandare un messaggio chiaro e forte al pubblico dell’epoca, per poi rivederlo invece nel film successivo e, ciliegina sulla torta, protagonista di una sua Serie TV.
Thor: Love and Thunder ci risparmia la comparsa del fratello di Thor, facendo tornare invece un paio di volti noti nella saga di Thor. Senza fare spoiler, uno di questi, che compare nell’ultima scena post-credits, è anch’esso emblematico della perversione della Marvel nel ripescare personaggi che non si dovrebbero più vedere, e dei loro attori, probabilmente estendendogli i contratti per chissà quante altre apparizioni future, in una sorta di schiavitù che li lega indissolubilmente ai loro personaggi.
Inoltre Thor: Love and Thunder è pieno zeppo delle cosiddette “finte morti”, un escamotage condiviso da praticamente ogni singolo personaggio nel corso del film, anche più di una volta. Anche questi scherzetti propugnati allo spettatore risultano stancanti, esasperanti, poiché è ormai evidente anche allo spettatore occasionale che la Marvel non si prende mai la responsabilità di uccidere un personaggio, o quantomeno mai definitivamente, poiché rispunterà senz’altro in un film o una serie tv.
In sintesi, per gli estimatori del lato più folle e stravagante di Thor: Ragnarok e dello stile di Taika Waititi, Thor: Love and Thunder rappresenta sicuramente un’occasione perfetta per divertirsi e per apprezzare la pura anarchia infantile del regista (e in questo senso probabilmente rappresenta la parte migliore del film), ma allo stesso tempo tutti i difetti narrativi del terzo capitolo qui sono amplificati tanto quanto l’over-the-top stilistico. A risentirne sono sicuramente i personaggi, vecchi e nuovi, il cui trattamento porta ad uno spreco esemplare dei fumetti originali e del futuro di Thor e compagnia al cinema.
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