Till – Il Coraggio di una madre è un film che ha fatto discutere già prima della sua uscita nelle sale, prevista per il 16 febbraio scorso. Nonostante il Gran Premio della Giuria assegnato alla regista Chinonye Chukwu al Sundance Film Festival del 2019, e una tematica molto cara all’Academy come quella dei diritti civili, il film è stato totalmente snobbato e non ha ricevuto nessuna candidatura agli Oscar 2023. La non-scelta dell’Academy, abituata agli scandali, si fa subito sentire, e immediatamente si sono scatenate diverse polemiche, soprattutto riguardo all’esclusione di Danielle Deadwyler che sarebbe stata perfetta come candidata alla statuetta per la miglior attrice.
Abbaglio clamoroso da parte di Hollywood o il film ha oggettivamente qualcosa che non va? Purtroppo, la risposta giusta è la seconda.
Till, un obiettivo ambizioso
Negli USA il nome di Emmett Till porta con sé una responsabilità enorme: si tratta di uno dei più crudeli linciaggi della storia americana. Un ragazzino di 14 anni brutalmente assassinato solo perché colpevole di aver parlato a una ragazza bianca nel Mississippi degli anni Cinquanta.
Il suo nome si lega indissolubilmente a quello di sua madre, Mamie Till, che lottò fino alla fine per ottenere giustizia verso il figlio. In un epoca in cui la vita dei neri valeva poco più di niente fu un gesto che sconvolse l’opinione pubblica e che ebbe enorme eco sui giornali.
Il giovane Emmett, originario di Chicago e in visita ai parenti nel Sud, venne sequestrato, torturato, ucciso a colpi di pistola e gettato nel fiume da J.W. Milam e Roy Bryant, marito di Carolyn Bryant (interpretata da una superlativa Haley Bennett, in un ruolo estremamente difficile), la donna che il ragazzo avrebbe importunato.
Quando Mamie vide il figlio orribilmente sfigurato decise di fare il funerale con la bara aperta, per mostrare al mondo come avevano ridotto Emmett: la fotografia venne pubblicata sui giornali, accendendo il dibattito in tutti gli Stati Uniti, divisi tra luoghi in cui i neri erano parte integrante della società e luoghi in cui si viveva ancora nel terrore di una parola sbagliata al bifolco sbagliato.
Nonostante l’attenzione che la madre di Emmett seppe canalizzare su di sé, il processo fu una farsa (la scena in cui Mamie incontra Carolyn in tribunale è forse la migliore del film), che mise una pietra tombale sopra ogni tentativo di rivalsa da parte degli afroamericani verso la legge, grazie alla quale si poteva ancora disporre di loro a proprio capriccio.
Un film poco credibile
Nonostante le premesse per creare un film duro, forte e che rendesse onore a uno dei più grandi casi di ingiustizia sociale (e sono tanti, anche molto attuali) degli USA, Till non riesce mai a mettere la marcia giusta, rimanendo impantanato nel desiderio di fare qualcosa di grande.
A distruggere il pathos di questa pellicola è, prima su tutti, la fotografia a opera di Bobby Bukowski. Un delirio patinato e accecante, che si unisce ai costumi perfetti e ai colori di un film che dovrebbe invece essere tutto l’opposto. Bianchi e neri lavorano nei campi, sono poveri, vivono in baracche. Qui sono tutti vestiti a puntino, senza uno strappo, senza sudore e senza un capello fuori posto. Sembra di assistere a un musical di Broadway e non a un biopic straziante su un ragazzino di 14 anni massacrato senza alcun senso.
La regia è pulita, troppo pulita, e a tratti estremamente didascalica, come l’abbiamo vista in altri mille film sul tema. Le musiche sono pesanti, a enfatizzare in modo scolastico i momenti di tensione.
Till, calamita per gli Oscar
Niente di questo film resta sulla pelle, a parte l’interpretazione magistrale di Danielle Deadwyler nel ruolo di Mamie. Ma questo non basta assolutamente a sollevare le sorti di una pellicola che non scuote le coscienze, ma sembra un pigro esercizio di stile su come (non) si realizzano film sul tema dei diritti civili.
A pensar male si fa peccato, ma uscendo dalla sala in cui è stato proiettato Till, ci sovviene il pensiero di aver visto un prodotto confezionato come calamita da Oscar, talmente tanto da aver ottenuto l’effetto opposto: respingerli tutti.
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