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I migliori film italiani del 2023, secondo noi

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16 minuti di lettura

Il 2023 giunge al termine, per cui la redazione va in modalità rewind per stilare una serie di liste che racchiudano il meglio del meglio dell’anno appena trascorso.

Sorprendente e inaspettato è stato il 2023 del cinema italiano, che vede il suo splendore al botteghino con un film pop d’autore diretto da una regista esordiente. Sorpassati i grandi blockbuster americani con un incasso di oltre 30 milioni di euro. È stato l’anno del passaparola, dove un film d’essai distribuito in pochissime sale riesce a moltiplicarle grazie ai pareri estasiati dei cinefili più core e all’appello social di regista e attore protagonista, che si son battuti in prima linea per difendere l’onore della loro creatura fatta per gli occhi degli uomini.

Inaspettato anche il ritorno alla commedia di un maestro del genere, così come il ritorno del genere noir poliziesco che sa tanto di anni ’70. Tra premi vinti, papabili corse verso gli Oscar e volti sanremesi, il cinema italiano quest’anno fa scuotere la testa a chi sostiene che esso sia morto da un pezzo.

C’è ancora domani

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C’è poco da dire, C’è ancora domani è il film dell’anno. Lo è nei numeri, nel passaparola, nelle memorie emotive dei suoi spettatori. Una manciata di mesi dopo Barbie, Paola Cortellesi pennella il suo femminismo di bianco e di nero, dirottandone l’impeto militante verso una storia di semplicità quotidiana, riverbero amaro di una tradizione – patriarcale – depurata, riletta e trapiantata al presente. C’è ancora domani è una tenera voce di riappropriazione, inversione rappresentativa del rosa neorealista del dopoguerra italiano, modernissimo e onesto manifesto di emancipazione. Dalla violenza, dalla prevaricazione, dalla subalternità e dall’indottrinamento alla rassicurante e omologante passività. Inanellato tra leggerezza e disincanto, l’esordio della Cortellesi ha parlato indistintamente a chi l’ha ascoltato, donandosi con generosità al riconoscimento anti-nostalgico del proprio passato, di sé, dell’altro e di un ritrovato desiderio di partecipazione, fortunatamente cinematografico. Uno straordinario successo commerciale, un promettente risveglio di coscienze.

Il sol dell’avvenire

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Nanni Moretti ha sempre ragionato su sé stesso e sulla sua posizione nei confronti di tutto ciò che lo circonda. Ora, alla soglia dei 70 anni, questo grande autore pensa a una cosa: l’essere un autore. Ovvero ora, con Il sol dell’avvenire, il centro sono le sue opere nei confronti del mondo. E il risultato è un capolavoro come pochi, di grande e raffinata dolcezza, con uno sguardo curioso e radicale. Tutta la cinematografia di Nanni Moretti è rivisitata, citata e ripresa con un chiaro gusto felliniano. Moretti riflette su Moretti attraverso Fellini, ricordandosi di dettagli importanti che oggi forse serve rispiegare da capo: l’immagine della violenza; la rappresentazione dell’amore, della delusione, i sabot. “È tutto sbagliato, è tutto sbagliato” – dice Nanni in una sequenza – “è come se tutti stessero dormendo, ma prima o poi si risveglieranno e capiranno cosa stanno facendo, ma forse sarà troppo tardi”.

Disco Boy

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Disco Boy è il lungometraggio d’esordio di Giovanni Abbruzzese presentato alla Berlinale 2023 e racconta la storia di Aleksei, un immigrato clandestino che finisce nella legione straniera francese. È un film sull’altro l’esordio di Abbruzzese, una storia che riguarda il diverso e di come nella differenze Aleksei riconosce somiglianze con i suoi nemici. Attraverso la danza si entra in una dimensione irreale dove i protagonisti del film si scatenano in un ballo liberatorio, unico sfogo in un mondo dove sono costretti ai margini dalla collettività. Tra soluzioni registiche peculiari e atmosfere oniriche il regista ci offre un esordio ispirato e interessante.

Adagio

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L’Adagio di Stefano Sollima è un film di cicatrici. Parassitarie sui corpi malfermi dei protagonisti, indelebili nella matericità rovente di un’impietosa salvezza. Sollima triangola Adagio in chiusura di una trilogia sagomata sempre a un passo dall’apocalisse. Dopo ACAB e Suburra (e Romanzo Criminale – La serie), Adagio sguscia nel torbido tessuto urbano di una periferia romana scontornata e immorale, annerita dai singhiozzi dei blackout e rischiarata dalla sola luce dell’incendio che divampa all’orizzonte. Sollima ci racconta l’ostaggio e la fine delle sue leggende, denudate nel noir-crepuscolare di un carisma criminale slavato, decadente e logorato. Si serve dell’eccellenza degli interpreti, indugia sulle macerie di diverse paternità, riecheggia la memoria consumata della Banda della Magliana ed esaspera l’ultimo tentativo di riemersione celebrativa. Poi smantella tutto, strangolando i suoi personaggi nella morsa intossicante di un caldo che divora le membra e sputa le ceneri, lasciando dietro di sé un flebile anelito di sfregiata speranza. Che guarda alla nuova generazione, e le affida l’onere di desiderarsi diversa.

La chimera

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Leggendaria è la Toccata dell’Orfeo di Monteverdi, un’apertura movimentata come il volo di stormi di uccelli nel cielo terso. Si conclude facendo iniziare il meraviglioso ritornello Dal mio permesso amato, che sono anche le prime parole dette in quel capolavoro. Questa musica immortale è presente nel meraviglioso La chimera, film con cui Alice Rohrwacher approfondisce un’idea di cinema molto interessante e unica, da alcuni definito realismo magico, da altri surreale, sicuramente con molto da dire. Si racconta di un uomo straniero, scontroso e rabdomante. Tale capacità lo aiuta nella sua attività: lui e i suoi compagni depredano tombe antiche, etrusche in particolare, per trovare tesori da rivendere. Questo lavoro lo porta nelle profondità della terra, in antiche rovine che lui apre agl’occhi dei viventi. Forse però l’uomo non deve aprire tutto, forse non deve vedere tutto: Orfeo andò nei meandri della terra per il suo amore, non resistette alla tentazione e guardò, condannandosi alla disperazione. Arthur, questo il protagonista de La chimera, forse non farà lo stesso errore?

La primavera della mia vita

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La primavera della mia vita, il film diretto da Zavvo Niccolosi con protagonisti i due artisti Colapesce e Dimartino, è una storia on the road divertente e commovente. Ai due protagonisti viene chiesto di scrivere un libro sulle leggende siciliane e così inizia il loro viaggio tra la musica, le loro vicende personali e la loro regione di provenienza. Un macguffin al servizio di un’amicizia perduta, ritrovata tra i piaceri rurali ed essenziali della vita. La musica dei due artisti è ovviamente parte della colonna sonora ed è portante per il film. Niccolosi, già regista dei video del duo musicale, approda al lungometraggio con uno stile ben preciso e in linea con quello dei due artisti. Un film speciale e unico nel suo genere che si divide, in maniera particolare, tra autorialità e gusto pop.

Mixed by Erry

film mixed by erry

Può piacere o non piacere, ma Sydney Sibilia è uno dei nostri artigiani d’internazionalità. Ogni suo progetto, da Smetto quando voglio fino a Mixed by Erry, si è misurato con una grammatica visivo-narrativa affabulatoria, adrenalinica e derivativa di un cinema riconoscibile, incanalato e infarcito di una provocatoria italianità. Mixed by Erry si riversa ancora ai margini, raccontando l’epopea anti-eroica di un outsider (e poi celebrità) della storia discografica italiana: Enrico Frattasio, autore pirata di musicassette vendute a un mercato in ascesa esponenziale. Con irresistibile agilità formale, intenerita dal nostalgico romanticismo della memoria, Sibilia varia sul tema e addensa un’ennesima storia di genialità intuitiva e riscatto sociale, arrotondando l’illegalità della contraffazione con il tratteggio favolistico di un Robin Hood della musica. È il solito collaudo istrionico, quello di Mixed by Erry: alterazioni dell’heist movie, della commedia e del coming of age si mimetizzano tra le intercapedini di un racconto dal sapore sfacciatamente commerciale, eppure squisitamente coinvolgente.

Io capitano

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Si parte senza sapere, si parte senza conoscersi, si parte per un obiettivo, si parte per un viaggio da cui non è detto che si sopravvivi. Io capitano, Leone d’argento alla miglior regia per Matteo Garrone, ripercorre proprio il viaggio di due giovani senegalesi che, dalla loro casa nell’Africa occidentale, partono per raggiungere l’Europa, attraversando il deserto, predoni, centri di detenzione e il Mar Mediterraneo. Seydou Sarr interpreta il protagonista, un giovane sprovveduto che vive quello che molti vivono ogni giorno nella tratta: soprusi, rapine, violenza, morte, menefreghismo. Garrone gira un grande film di dovere, quel tipo di film che va fatto perché non si può non parlare del tema, poiché il cinema non può restare in silenzio. Ma proprio il silenzio sul tema è un argomento, anzi, è l’argomento. Come detto dal regista in varie interviste: la necessità di fare questo film deriva dalla necessità di parlare di questo tema.

L’ultima notte di Amore

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L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano è il secondo dei due film italiani arrivati alla Berlinale 2023 ed è un thriller-noir che nessuno si aspettava. Di Stefano racconta la storia di Amore, un agente di polizia prossimo alla pensione che dopo una carriera passata in sordina decide di fare qualcosa di pericoloso che avrà conseguenze nette sulla sua vita. Una storia oscura ambientata in una Milano divisa e che inghiotte i propri personaggi. Amore sembra finalmente scontrarsi con un destino scritto, da cui non può sfuggire anche se è stato un brav’uomo per trent’anni di servizio. La sua docilità lo rende debole, un agnello sacrificale che decide di sparare per la prima volta macchiando la sua promessa e non riuscendo a cambiare il suo destino. Un film peculiare con ottime interpretazioni e una sceneggiatura che si incastra e gioca con lo spettatore.

Rapito

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Dopo le straordinarie opere Il traditore e Esterno notte, Marco Bellocchio torna su un’altra importante e profondamente oscura storia della nostra penisola. Rapito narra le vicende di Edgardo Mortara, un bambino ebreo di sei anni sequestrato su ordine di Papa Pio IX con l’intenzione di dare lui una “giusta” educazione cattolica. L’autore di Bobbio alla veneranda età di ottantaquattro anni si conferma il regista più politico e sociale del panorama cinematografico italiano, con un’intelligenza produttiva rara e moderna nella scelta delle storie da mettere su schermo. In Rapito la maestria registica di Bellocchio risiede nella narrazione, nella stratificazione psicanalitica dei personaggi e in una storia vera che, muovendosi, muove a sua volta la mente dello spettatore, con la decisa naturalezza di chi fa riflettere senza parteggiare, bensì esponendo fatti oggettivi.

Fuori categoria – Menzioni speciali

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Sicuramente molti altri nomi si potrebbero aggiungere a questi dieci, ma queste liste necessitano delle scelte per dar valore ad ogni singola opera che ne fa parte. Tuttavia, ci sono quei progetti, quei lavori, quelle realizzazioni completamente fuori panorama, indefinibili e che viaggiano su strade diverse, verso la sperimentazione pura. Esempio per eccellenza è Gli ultimi giorni dell’umanità, il film in cui Enrico Ghezzi apre il suo archivio creando un blob di lezioni di teoria dell’immagine.

Da citare anche Le vele scarlatte di Pietro Marcello, regista italiano ma film di produzione e lingua francese, dove la narrazione romanzata si abbandona a quella sonettistica.

Il 2023 del cinema italiano è stato un anno dalla forma autoriale ma dall’aspetto pop, caratterizzato da ottimi incassi e film ampiamente apprezzati da pubblico e critica. Un anno di maestri rinomati e esordienti sorprendenti, di volti noti e intriganti speranze per il futuro. Un anno di lunghe code fuori dalle sale, di immagini da grande industria, un anno di quel grande cinema che sa unire pubblico cinefilo e popolare, e che tanto ci mancava.


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Classe 1997, appassionato di cinema di ogni genere e provenienza, autoriale, popolare e di ogni periodo storico. Sono del parere che nel cinema esista l'oggettività così come la soggettività, per cui scelgo sempre un approccio pacifico verso chi ha pareri diversi dai miei, e anzi, sono più interessato ad ascoltare un parere differente che uno affine al mio.

Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

Del tipo faccio cose, guardo film, ascolto musica, e via così. Potrei elencare tutto ciò ma dico che son di Lodi e per qualche motivo ne vado fiero, forse ironicamente. Similmente orgoglioso di sapere tutte le battute dei Griffin a memoria. Mangio e consumo di tutto ma ho comunque la camera con troppa roba, è che un po' di caos ci vuole. Tutto sommato però non nuoto male, comunque son del 2001.

Classe 2000, studio cinema e arti contemporanee. Sono interessata anche al mondo dell'editoria e della comunicazione e vorrei fare troppe cose nella vita. Per ora scrivo, un modo per guardare oltre la provincia in cui vivo.

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