Finisce l’anno, si tirano le somme. Frase più scontata non si poteva scrivere, ma la selezione di film che proponiamo speriamo sia più distruptive! Niente Barbenheimer qui nella nostra top 2023: ci ha travolti a luglio, ma siamo sopravvissuti e ci siamo voltati verso film meno blasonati per stilare la nostra classifica. Che classifica non è, perché non segue altro che un ordine casuale.
Premessa: il fatto che non ci siano film italiani è una scelta, qui i riflettori sono puntati sul panorama internazionale, ricco al punto che il numero “ridotto” di 15 film selezionati è stato raggiunto con grande fatica e un costante dibattito.
Vi sembra che manchi qualcosa? Forse è in un’altra lista!
Killers of the Flower Moon
Il 2023 ha segnato il ritorno sul grande schermo del cineasta Martin Scorsese con Killers of the Flower Moon, interpretato da Leonardo DiCaprio, Lily Gladstone e Robert De Niro. Ispirato a una storia vera, il film racconta la dura realtà del rapporto tra i nativi americani della Nazione Osage, arricchitisi grazie ai giacimenti di petrolio della loro terra, e gli statunitensi, decisi a impossessarsi di questa ricchezza. Imponente ed introspettivo, Killers of the Flower Moon mette in scena tutta la brutalità e la spietatezza dell’animo umano, ma è al contempo una storia di rivincita e di rinascita, con una Lily Gladstone protagonista che spicca su tutti.
Talk to me
Ari Aster, Robert Eggers e Jordan Peele: non sono molti i registi che riescono a conferire al genere horror un’identità solida e credibile. Ma con Talk to me, i fratelli Philippou firmano un esordio entusiasmante che, nonostante alcuni difetti, si rivela essere un’opera ben costruita e densa di tensione (tanto da convincerci a inserirla in questa lista!). Non mancano alcune caratteristiche riconducibili a un certo genere di horror più “commerciale”, ma la vera forza del film risiede in una riflessione più profonda, legata alla tematica del lutto e della perdita. Grazie a una buona scrittura, i Philoppou raccontano il dolore e la ricerca ossessiva di un metodo per rimuoverlo senza però superarlo. L’attaccamento a un passato che, come uno spettro, sembra impossessarsi dello spirito umano, per spingerlo verso la propria rovina. Un’opera prima da tenere d’occhio!
Babylon
Cast da urlo, disastro al botteghino, instant classic da rivalutare: poche frasi ad effetto per descrivere la parabola di Babylon. Una “lettera d’amore per il cinema e una lettera d’odio a Hollywood” condensata in “solo” 189 minuti di eccessi e fragore, con un cast stellare (tra i protagonisti Margot Robbie e Brad Pitt) che si trova ad affrontare gli spettri persistenti dei divi degli albori. Il film di Damien Chazelle è il racconto ambizioso di una transizione epocale: dal cinema muto al sonoro. Una storia monumentale e fragile, fatta di fulgide glorie, vite magnifiche, stelle cadenti e tramonti che si consumano in un silenzio assordante. Babylon racconta un mondo che non esiste più, un cinema perduto, un paradiso dell’Eden dove danzano i demoni. E lo fa mostrando la magnificenza di quello stesso strumento per cui intona il canto del cigno, quel cinema ancora vivo e pulsante.
Pearl
Passato in ordina perché ingiustamente distribuito in Home Video dopo la presentazione a Venezia 79, Pearl è un horror/splatter diretto da Ti West, prequel di X – A Sexy Horror Story e secondo capitolo della trilogia che si concluderà con Maxxxine. Il lungometraggio racconta la giovinezza di Pearl (Mia Goth, recentemente eletta a nuova regina dell’horror), l’anziana antagonista conosciuta nel primo capitolo. Ti West realizza un’ottima origin story, tra ossessioni e ambizioni. Pearl amplifica quanto già raccontato, sconcertando e sorprendendo tra momenti più riflessivi e momenti che viaggiano tra l’horror e lo splatter. Sicuramente uno dei migliori horror degli ultimi anni.
As Bestas
Con As Bestas, il regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen è riuscito a trovare le parole. Descrivere con efficacia le emozioni disumane, bestiali che governano i rapporti umani non sempre è possibile e quasi mai è facile, eppure sembra che la penna di Sorogoyen sia fatta proprio per captare tutto il non detto che spesso sfugge a sceneggiatori di minore abilità. Ogni sguardo e ogni smorfia sono già catturati in sceneggiatura, e le battute e i dialoghi prendono corpo e forma nelle immagini, sono il cuore e l’anima di As Bestas. Pochi gli autori contemporanei che riescono ad amalgamare scrittura e cura estetica: citiamo Hirokazu Kore’eda o Nuri Bilge Ceylan (entrambi premiati a Cannes 2023 rispettivamente per Monster e About Dry Grasses). Con nomi di questo calibro Rodrigo Sorogoyen deve misurarsi già dai tempi de Il Regno (2018); As Bestas lo porta definitivamente nell’Olimpo cinematografico recente.
Decision to Leave
Con Decision to Leave, Park Chan-wook ha deciso di mettere da parte la sua decennale esperienza in fatto di thriller e film d’azione per dedicarsi a quello che è a tutti gli effetti un film d’amore. Come ogni grande pellicola di Hitchcockiana memoria, l’odio al centro della trama altro non è che amore precipitato nella spirale distruttiva dell’ossessione. Il regista sudcoreano segue le stesse vorticose dinamiche de La Donna che visse Due Volte (1958) o Rebecca (1940), con continue svolte narrative, giri e rigiri, personaggi che, come in tutte le love story che si rispettino, finiscono col perdere i propri confini di definizione, confondendosi o sdoppiandosi, in un continuo gioco di specchi ed elementi naturali. Decision to Leave è un film d’aria e d’acqua, attraversato da mulinelli e refoli, pieghe di insondabile mistero cinematografico e il rigore stilistico di un regista che col passare degli anni ha assunto una rinnovata sicurezza.
Dream Scenario
Un’ottima prova quella di Kristoffer Borgli che, dopo il precedente Sick of Myself, firma il suo primo film in lingua inglese dirigendo una commedia scura dai toni grotteschi e, a tratti, malinconici. Dream Scenario è un’opera molto particolare che, avvalendosi della performance di un Nicholas Cage perfettamente in ruolo, riesce a raccontare l’ossessione per la fama e quanto questa, una volta ottenuta, possa ritorcersi contro chi la ottienet. Basandosi sul reale caso di “This Man” (esperimento sociale degli anni 2000 creato dall’italiano Andrea Natella), Borgli costruisce una storia del tutto nuovo che riesce a portare avanti una riflessione sulla psicologia umana senza però rinunciare all’ironia e a una messa in scena talvolta surrealista, grazie ai vari episodi onirici che aiutano il ritmo della narrazione. Un film divertente e attuale, dal finale amaro che ci fa nutrire ottime speranze nel futuro artistico del regista norvegese.
Tár
Un character study cucito addosso a una magistrale Cate Blanchett, che interpreta Lydia Tár, grande direttrice d’orchestra e prima donna a dirigere la Filarmonica di Berlino, creata dalla penna di Todd Field. Tár è un film dal ritmo lento e compassato, che si prende il suo tempo per mostrarci il crollo inesorabile di una leggenda. Un ritratto feroce, dinamico, che condensa in sé stesso il narcisismo, i deliri di onnipotenza e le vertigini del fallimento intrinseci al potere. Il tutto è reso ancora più solenne dalle sonorità di Hildur Guðnadóttir, premio Oscar per la colonna sonora di Joker nel 2020. Da non perdere.
Beau ha paura
Prodotto da A24 e firmato Ari Aster, Beau ha paura non si può inscatolare in un genere preciso, né definire in poche parole. È il viaggio che il protagonista (Joaquin Phoenix) compie per arrivare alla casa della madre, ma anche un viaggio all’interno della sua mente. Al centro c’è la paura: essa determina la vita di Beau, le sue scelte, i suoi pensieri e lo porta a un immobilismo per cui preferisce non vivere e lasciare che la vita gli scivoli a fianco. I piani sono costantemente mischiati e fusi tra loro, non sappiamo mai se ciò che stiamo vedendo è realtà, illusione, allucinazione, ricordo o sogno. Beau ha paura è un film non facile sotto diversi punti di vista dalla durata alla tematica trattata, ma l’una risulta funzionale all’altra e insieme inducono lo spettatore a elaborare diverse interpretazioni, tutte plausibili e tutte valide. Ari Aster ci chiede di seguirlo in un viaggio all’interno dell’io, di non farci troppe domande e lasciarci guidare dalle sensazioni primarie che ogni nuova visione provoca in noi, obbedendo solo alle leggi del caos e del surreale.
Holy Spider
Dopo il folgorante Border – Creature di Confine (2018), il regista Iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi si riconferma una delle voci più affascinanti del panorama europeo contemporaneo con Holy Spider, un torbido thriller a sfondo politico-sociale. Proprio come il titolo evoca, il film si dirama come una ragnatela sull’Iran, con viscose inquadrature, trappole per ogni personaggio e per noi spettatori: la violenza fisica dell’assassino al centro della trama impallidisce di fronte alla violenza psicologica e ideologica di un’intera nazione. In Holy Spider si respira un’aria venefica, una tossina che rende il ritmo spasmodico, le azioni dei personaggi irrazionali ed erratiche, l’atmosfera irrespirabile. La forza maggiore di Holy Spider sta proprio nel mordere con violenza lo spettatore, farlo saltare sulla sedia e tenerlo imprigionato in quella stessa rete di violenza che racconta.
Asteroid City
Wes Anderson è sempre diverso ma sempre fedele a sé stesso. In Asteroid City affronta, in maniera certo personalissima, il genere fantascientifico. Ancora una volta, si rifà all’espediente della storia dentro la storia, animando un sistema di scatole cinesi per cui vediamo alternati una narrazione, un’opera teatrale, un film e la realtà. Ma ciò che più importa si trova sotto gli strati di riflessione metanarrativa, di colori pastello, di perfezione geometrica delle inquadrature, ciò che conta, come sempre, sono le individualità dei personaggi, le loro solitudini e la loro impotenza a instaurare rapporti. Ecco perché Asteroid city è ambientato in un deserto, spazio vuoto per eccellenza, metafora visiva del vuoto che attanaglia i personaggi incapaci di trovare un senso alla vita. L’incontro-scontro con l’Altro li spinge a riflettere su sé stessi e a scontrarsi con l’incapacità di comprendersi e a comprendere gli altri. Consigliato a chi vuole un film divertente e ironico, dalle sembianze di una commedia leggera, capace ad affrontare tematiche complesse senza risultare pedante.
Il male non esiste
Caratterizzato da un’ottima regia, lenta e delicata, Il male non esiste punta il dito contro il mondo capitalista contrapponendolo al tema ambientalistico. Lo fa senza mezze misure, mettendo al centro dell’attenzione la purezza della natura. Al centro della trama, le vicissitudini del villaggio di Harasawa, la cui quiete è turbata dalla costruzione di un glamping, simbolo dello sfruttamento di ogni cosa possa portare profitto. Prendendosi i giusti tempi, il Ryūsuke Hamaguchi di Drive my car cerca di raccontarci quanto sia importante riavvicinarsi al mondo che ci circonda e che, a suo modo, ci nutre. Il male non esiste ci invita a rispettare la natura e a vivere senza manie di possesso volte al mero arricchimento personale. Resta un’opera potente ed emotiva che, nonostante la sua delicatezza, riesce comunque a essere incisiva, grazie alla filosofia sulla quale è edificata.
Anatomia di una caduta
Il film di Justine Triet ruota intorno alla figura di Sandra (Sandra Hüller), indagata per la morte sospetta di suo marito Samuel (Samuel Theis). Anatomia di una caduta non è solo un dramma processuale che ricostruisce la dinamica di una morte sospetta e indaga una sospetta colpevole. La macchina da presa diventa una lente di ingrandimento che isola e ingrandisce a dismisura ogni incongruenza e contraddizione e la rende mostruosa: sotto lo sguardo deformante dell’occhio cinematografico ogni giudizio diventa labile, i frammenti non si ricompongono e l’apparenza diventa un’incerta sostituta dell’essenza. Vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2023, Anatomia di una caduta è un film che non offre risposte ma genera domande su domande, per poi lasciarti con un unico, grande quesito: chi è davvero Sandra?
Gli Spiriti dell’Isola
Scritto e diretto da Martin McDonagh (Tre manifesti a Ebbing, Missouri), Gli Spiriti dell’Isola è la storia di due amici (interpretati da Brendan Gleeson e Colin Farrell) che a un certo punto smettono di esserlo, per la decisione drastica presa da uno, mentre l’altro non resta incapace di comprendere e di accettare la scelta. L’immaginaria isola irlandese di Inisherin fa da sfondo a un racconto immerso in una sorta di atemporalità, accresciuta proprio dall’ambientazione isolana che aumenta la carica di emarginazione e solitudine. Tutti i personaggi sono in cerca di qualcosa; McDonagh si interroga sul significato di serenità esplorando le vite di coloro che cercano in vario modo la propria soddisfazione personale. Attraverso la storia dei due amici, Pádraic e Colm, vuole riflettere sui rapporti umani, su cosa siamo disposti a rinunciare per l’altro e cosa invece desideriamo per noi stessi. Gli Spiriti dell’Isola è un film intimo, profondo ma anche sarcastico e tagliente che ci porta a pensare a cosa veramente renda felice una persona e a come le scelte individuali possano influenzare il mondo intorno a noi.
Spider-Man: Across the Spider-Verse
Spider-Man: Into the Spider-Verse ci aveva lasciato con aspettative altissime e Spider-Man: Across the Spider-Verse non le ha deluse. Un’esplosione di colori e musica che assorbe lo spettatore dall’inizio fino alla fine, mentre segue le avventure di un Miles Morales ancora giovanissimo ma già disilluso e scoraggiato, che si ritrova da solo contro un intero multiverso. Spider-Man: Across the Spider-Verse ha ricordato ancora una volta che un film d’animazione non ha nulla da invidiare ai colleghi in carne e ossa: il travaglio interiore del protagonista ci stringe lo stomaco, il contenuto arriva dritto al cuore. Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson rimescolano le pagine dei fumetti e riescono nell’impresa di raccontare un’ennesima avventura ragnesca. Possiamo dare per accontentati sia i fan di vecchia data sia le nuove leve. Questo Spider-Man è pop, adrenalinico: ce lo riguardiamo volentieri in attesa di andare Beyond the Spider-Verse.
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