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Top of the lake

Top of the Lake, Jane Campion oltre il poliziesco

Una SerieTV poco citata ma da recuperare

12 minuti di lettura

Top of the Lake (2013) è una SerieTV di Jane Campion, disponibile su Chili, ingiustamente passata in sordina e poi definita come prodotto di nicchia. Di spunti di riflessione però ne offre parecchi. Viene presentata come una miniserie di sei episodi, ma è la stessa Campion a riferirvisi come a un film, anticipando la tendenza, oggi più che diffusa, di spacciare film lunghissimi per serie televisive.

Top of the Lake debutta al Sundance Film Festival in una proiezione unica e riceve ovunque acclamazioni della critica. Campion è l’ideatrice della serie ed è lei ad occuparsi sia della sceneggiatura (insieme a Gerard Lee) che della regia (in collaborazione con Garth Davis).

Top of the Lake, oltre il poliziesco

Top of the Lake

C’è tanto di già visto altrove in Top of the Lake, c’è la trama di un poliziesco qualunque, c’è una comunità che custodisce molti segreti come in Twin Peaks e c’è l’atmosfera tetra, sordida, malata che sarà tanto cara a serie come True detective. Ma il punto di vista adottato e il modo in cui le cose vengono narrate, presentate, descritte non è certo comune.

La portata più grande di Top of the Lake si trova soprattutto nelle tematiche che decide di affrontare: violenza sessuale, misoginia, disonestà, condizione della donna, pedofilia. Tutto questo calato in una struttura di genere che di solito è prestata a storie maschili meno problematiche; di solito, infatti, in un poliziesco si assiste a crimini efferati e alla messa in scena di situazioni oscure o morbose, ma l’esito con assoluzione finale porta con se rassicurazione per il pubblico. Top of the Lake, invece, provoca turbamento perché lascia con l’amara sicurezza che certi atteggiamenti e certi pensieri siano talmente pervasivi e radicati che non possano essere risolti a fine indagine.

Top of the Lake cast stellare per un mistero alla periferia del mondo

Top of the lake

Top of the Lake è ambientata nella periferia della periferia del mondo, un paesino disperso della Nuova Zelanda. L’ambientazione è molto suggestiva, selvaggia come le sue foreste e cristallina come il suo lago. Distese di terra non abitate dall’uomo circondano la piccola comunità al centro dell’indagine che verte sulla scomparsa di Tui, una ragazzina di dodici anni incinta. A capo dell’indagine c’è Robin Griffin (Elisabeth Moss), detective nata e cresciuta a Laketop da cui se ne è andata a seguito di uno stupro di gruppo che l’ha portata a mettere al mondo una figlia data poi in adozione.

La serie va oltre il poliziesco, l’indagine prende così tante diramazioni sociologiche e psicologiche che è riduttivo soffermarsi a una semplice definizione di genere. Robin si ritrova incastrata nel luogo (non solo fisico) da cui è scappata anni prima, si sente coinvolta in prima persona e non può esimersi da intraprendere un’indagine su stessa e sulla sua storia personale. Ma ad essere indagata è l’intera comunità, vengono scandagliati segreti, vengono aperte porte che avrebbero dovuto restare chiuse, portate alla luce storie che era meglio dimenticare. Viene delineata una società ambigua e corrotta, piegata e schiacciata dal peso di crimini indicibili come abusi, stupri e spaccio che sembrano essere la normalità a Laketop. Tutto è avvolto nel mistero in quel piccolo paese, ogni cosa è enigmatica.

Laketop, patriarcato e ambiguità

Top of the lake

Due comunità si contrappongono e convivono problematicamente a Laketop, entrambe con problemi e ferite che decidono di vivere e curare in maniera completamente diversa. Da una parte una cittadina patriarcale con sotterfugi e omissioni capeggiata da un uomo ignorante, arrogante e violento, dall’altra un gruppo di donne ferite guidate da una donna indecifrabile e cinica.

Laketop è in tutto e per tutto una società maschilista lontana dalle comuni leggi del buonsenso e della civiltà, una sorta di comunità anarchica e autogestita in cui a detenere il potere è l’uomo più cattivo e spregevole. Matt Mitcham (Peter Mullan) è il capo morale ed economico di Laketop, padre di Tui e di molti altri figli del paese, datore di lavoro di chiunque, referente ultimo persino della polizia. Il suo potere è legato alla paura che incute e alla possibilità di ricatto che può esercitare su tutti. Ogni personaggio appare equivoco, se non colpevole, e comunque tutti, nessuno escluso, nascondono segreti inconfessabili o incriminanti.

L’ambiguità serpeggia tra la cittadina, ognuno è in bilico tra una propria definizione positiva e una negativa e fino alla fine risulta impossibile risolvere l’enigmaticità di alcuni. Per indole siamo portanti a pensare che alcuni personaggi siano positivi, ma non riescono a convincere fino in fondo; altri appaiono ripugnanti e alla fine si rivelano essere ancora peggiori, in un modo che non avremmo mai voluto pensare. È una rappresentazione di un mondo adulto e degenere, in cui ad appiccare il fuoco è una bambina stuprata, ma ad accendere la miccia è la presenza di una donna che decide di non piegarsi al sessismo diffuso, che difende il suo potere e la sua indipendenza in un modo urtante per questi uomini. Robin decide di sfidare le regole di omertà della comunità, di scavare sempre più a fondo per arrivare alla verità e ottenere un riscatto che possa essere non solo suo, non solo di Tui, ma di tutte le donne.

Paradise, lotta e autosufficienza

Top of the Lake

Paradise, nome quanto mai evocativo, è il pezzo di terra in riva al lago in cui si è stabilito un gruppo di donne abusate, più in generale traumatizzate, ferite da una società da cui hanno deciso di allontanarsi per trovare un nuovo modo di stare al mondo. È un’altra comunità autogestita, ma completamente diversa se non opposta a quella di Laketop con cui spesso entrerà in contatto e con cui avrà diversi scontri. La guida spirituale del gruppo è Gj (Holly Hunter) una donna indecifrabile, dai capelli bianchi e l’animo cinico e graffiate. Gj ribalta completamente la definizione di guru, disattende ogni speranza e non riserva a nessuno una frase comprensiva e ispirante.

Gj è il centro nevralgico dell’intera collettività, non le si rivolgono solo le donne che con lei vivono, ma ogni personaggio le chiederà un colloquio, come se solo lei avesse le risposte a possibili domande, come se i segreti di Laketop fossero conosciuti solo a lei. Ma Gj rifugge dal ruolo impostogli di guida spirituale e mettendo davanti l’evidenza che le cose possono essere ancora più terribili di quello che sono, induce le persone a trovare da sole le risposte che cercano.

Allora sei in ginocchio? Bene. Ora muori a te stessa. All’idea di te stessa. Tutto quello che pensi di essere non lo sei. Cosa rimane? Cerca di scoprirlo. Smettila di pensare. Volete tutti aiutare qualcuno. Aiuta te stessa. Come sull’aereo, infila la tua maschera prima di tutto. Non stai ascoltando. Senti solo i tuoi pensieri strampalati come un fiume di merda. In continuazione. Guarda i tuoi pensieri per quello che sono. Smettila di aiutare, smettila di programmare. Arrenditi non c’è via di uscita

Gj induce chi a lei si rivolge a trovare da sé il senso della lotta e il coraggio della rinascita. Induce queste donne a non nascondersi, ma le spinge a stare nel mondo, trovare la maniera di accettare le ferite che fanno parte di loro e scoprire in sé la forza di liberarsi da prevaricazioni sessiste e sociali. Poi in silenzio, senza guardare nessuno se ne va.

Top of the Lake

Solo alla fine di Top of the Lake le due comunità si troveranno in un’unione prima impossibile. La fine diventa un nuovo inizio in cui le barriere, le regole imposte sono cadute ed entrambe le comunità sono finalmente libere di vivere insieme aspirando a un’armonia. Da una parte la figlia ha dovuto uccidere il padre per poter sopravvivere, dall’altra la donna se ne è andata di sua spontanea volontà. Se Matt Micham fa qualsiasi cosa perché ogni singola persona della comunità non smetta di dipendere da lui, ricordando a tratti alcune logiche mafiose, Gj difende la propria autonomia e fa in modo che anche le altre donne siano autonome, autosufficienti e libere da qualsiasi vincolo.

Contrapponendosi alla figura del capo impersonata da Matt rifiuta lei stessa il ruolo di guida, lasciando il messaggio più importante di tutti: il contraltare di un capo infame non è un altro capo, è l’assenza dello stesso.

Top of the Lake si chiude con una donna che rifiuta di impersonare il ruolo di capo, che impone una visione parziale e limitante, e una collettività che incomincia un percorso di rinascita liberandosi dalle gabbie di pensiero a cui era legata.


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Chiara Cazzaniga, amante dell'arte in ogni sua forma, cinema, libri, musica, fotografia e di tutto ciò che racconta qualcosa e regala emozioni.
È in perenne conflitto con la provincia in cui vive, nel frattempo sogna il rumore della città e ferma immagini accompagnandole a parole confuse.
Ha difficoltà a parlare chiaramente di sé e nelle foto non sorride mai.

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