Un’esplosione di affetti, di riti e di addii. Totem – Il mio sole di Lila Avilés è un piccolo scrigno di legno pieno di ninnoli, un portagioie dove si accumulano i gioielli delle donne di famiglia. Oggetti dotati di un’espressività evocativa e di una familiarità inesprimibile, che stanno in silenzio e assistono al dipanarsi degli eventi della vita, al susseguirsi di nascite, di morte, di esistenze che confluiscono una nell’altra in un cerchio che non si può spezzare.
Totem, film candidato dal Messico per gli Oscar 2024 e distribuito in Italia da Officine Ubu, racconta proprio questo: l’incredibile e ordinaria contiguità tra vita e morte.
Totem – Il mio sole, microcosmi in materiali d’archivio
Totem – Il mio sole sembra un’insieme di filmati d’archivio, di quelli amatoriali che raccontano la vita quotidiana delle famiglie. Con l’utilizzo della camera a spalla e del formato 4:3, qualcuno ci guida dentro le stanze e lungo i corridoi di una grande casa padronale e ci fa assistere ai piccoli riti quotidiani nei quali capita di inciampare: bambini che giocano e strillano, donne che si lavano i capelli nel lavandino, qualcuno che guarda la tv e qualcuno che cucina.
Si sta preparando una festa e la frenesia per i preparativi è alle stelle. Ma non c’è nulla di normale in questa serie di gesti: è il compleanno di Tona, padre di Sol (Naima Senties), la bambina di 7 anni protagonista del film, che sta morendo di cancro. La festa di compleanno è una festa di addio, e le immagini di palloncini e torte sono intrise di qualcosa di ben più doloroso di quanto sembri.
Avilés non ci concede scampo: ci confina dentro i legami della numerosa e caotica famiglia di Sol, sotto l’ombra dei preparativi convulsi e della morte che scivola impietosa negli interstizi della casa. Non possiamo sottrarci alla pervasività di quei festeggiamenti, a quella parvenza di normalità messa in scena come uno spettacolo teatrale.
La ritualità attraverso uno sguardo amatoriale
Totem mette in scena non solo il confine sottile tra vita e morte, tra presente e ricordo, ma anche quello tra vissuto e rappresentato. Gli espedienti messi in atto dalla famiglia di Sol sono rappresentazioni che cercano di rendere familiare il volto della morte: dalla medium che scaccia gli spiriti dalla casa, alla terapia quantistica che rimodula le energie dell’universo, sono tutti rituali che fanno i conti con l’irruzione della morte nella sfera quotidiana e con la sua brutalità.
Lo sguardo di Totem non si serve dei registri classici del cinema di finzione, ma riproduce la lingua amatoriale e casuale dei found footage, dei filmati di famiglia, con tutte le sue imprecisioni e sbavature. L’arte in Totem non viene costruita da zero, ma viene evocata dall’esistente, dai preparativi di una festa, dai rituali di una comunità.
E a guidare la videocamera è lo sguardo di coloro che insieme agli anziani vivono in modo più viscerale la casa, in perfetta comunione con gli spiriti che la abitano: i bambini. L’infanzia è osservatrice e protagonista dei frammenti di vita degli home videos e diventa il punto di partenza per il recupero della memoria condivisa di una comunità familiare.
Totem, tante anime che proteggono
«Il totem è un animale – più raramente una pianta o un oggetto – considerato lo spirito protettore di un gruppo, l’antico mitico degli individui che ne fanno parte» è una delle definizioni di totem, termine originario della lingua degli Ojibwa che tradotto letteralmente significa «egli è del mio stesso clan». Il film di Avilés pullula di queste entità a metà tra materia e simbolo: gatti, pappagalli, insetti, colibrì, serpenti, esseri fantastici che diventano parte integrante della comunità, del clan, della famiglia.
Ma è la stessa famiglia a diventare una sorta di totem mobile e multiforme: l’intero gruppo familiare diventa una rete di protezione con la sua capacità di accogliere il dolore e di cullarlo tra le braccia di una grande festa. Sol stessa è un piccolo totem con la sua presenza luminosa, con la sua ostinata volontà di vedere il padre e di abbracciarlo.
«Mi piacciono i microcosmi, l’essenza delle cose, le matrioske, le piramidi, le cose che contengono altre cose» dichiara Avilés a proposito di Totem. Le immagini che si susseguono in Totem funzionano proprio come matrioske: l’immagine precedente contiene quella successiva, e i piccoli gesti mostrati costruiscono ed espandono il significato nel loro succedersi uno dietro l’altro. Una poetica che funziona per piccole accumulazioni che creano uno spazio di tepore familiare, di riti di passaggio e di oggetti che non dimenticano .
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