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Train to Busan NPC Magazine

Train to Busan, lo zombie movie da cui copiano già tutti

Recensione del cult citato in Non Siamo Più Vivi, a pochi mesi dall'uscita della serie su Netflix

6 minuti di lettura

“È come in Train to Busan!”, afferma Lee Cheong-san in uno dei primi episodi di Non Siamo più Vivi (la serie Netflix in catalogo a partire dallo scorso gennaio). Scopriamo pregi e difetti di questo zombie movie del 2016 diretto da Yeon Sang-ho, entrato a far parte della cerchia dei cult sudcoreani e tanto celebre non solo da collezionare citazioni, ma da essere paragonato a blockbuster a tema come 28 Giorni Dopo e World War Z.

In viaggio per la sopravvivenza

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Seok-woo (Gong Yoo) è un agente di borsa divorziato e talmente immerso nel suo lavoro da non poter dedicare del tempo a sua figlia Soo-an; tanto che, in occasione del suo compleanno, la piccola chiede come regalo di poter andare a Busan a trovare sua madre.

Nel frattempo in Corea del Sud si diffonde un’epidemia zombi e i due, ritrovatisi in viaggio su un treno pieno di infetti, dovranno lottare insieme agli altri passeggeri sopravvissuti per arrivare sani e salvi a destinazione.

Pregi e difetti di Train to Busan

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Mentre i neofiti del cinema sudcoreano riconosceranno in Gong Yoo il reclutatore di Squid Game, gli affezionati ai K-drama lo assoceranno a Kim Shin, il protagonista dell’imperdibile Goblin; in entrambi i casi, gli spettatori si troveranno davanti a un attore maturo la cui credibilità in Train to Busan non viene messa in ombra dal suo fascino irresistibile. Una performance, la sua, non indimenticabile ma ben riuscita, forse più di quella di Brad Pitt in World War Z.

C’è da dire però che la piccola Kim Su-an (Soo-an) non fatica a tratti a rubargli la scena, grazie a quell’aria di innocenza e tenerezza che rende la sua una prova attoriale toccante, a dispetto della giovanissima età. Del resto del cast, in verità, c’è poco da dire: i personaggi secondari di Train to Busan, seppur ben trasposti, fungono quasi da comparse più che da presenza attiva, a partire da Choi Min-shik (The Policeman Lineage) con le sue tre parole in croce fino a Ma Dong-seok (il Gilgamesh di Eternals), limitato a qualche battuta da duro e allo sfoggio della forza bruta.

Mostri ed emergenze zombie, inutile dirlo, al pubblico piacciono davvero tanto, motivo per cui gli zombie movie faticano ancora a passare di moda, e dopo aver visto Train to Busan risulta chiaro, nonostante sostanziali differenze, da dove Non Siamo più Vivi abbia preso spunto.

Ci troviamo ancora una volta di fronte a creature veloci e letali, dai corpi semoventi sempre sul punto si spezzarsi eppure animati da Dio solo sa cosa; la differenza con la serie targata Netflix sta nella mancanza (strategica?) di dettagli sull’origine del virus, sulle debolezze degli infetti, ma anche sull’approccio del mondo esterno alla pandemia.

Proprio la scelta di circoscrivere azioni e conoscenze in un ambiente ristretto rende la pellicola di Yeon Sang-ho originale e intrigante tanto da meritare una visione plurima. La trama è in effetti quasi elementare, ma si dipana tra una carrozza e l’altra suscitando in chi guarda una sensazione di claustrofobia, e vanta una serie di sequenze d’azione che fanno sembrare le due ore di pellicola troppo brevi, a dimostrazione di come un ambiente ristretto sia comunque in grado di offrire svariate possibilità.

Un must che cattura, ma non sconvolge

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Train to Busan è una pellicola che vanta diversi punti a favore, tra cui una trama vincente, un ottimo cast, un ritmo narrativo serrato, e infine un’ambientazione fisicamente limitata adeguata alla scelta di raccontare l’apocalisse dal punto di vista ristretto di pochi individui; il tutto condito con quella piccola dose di violenza che non guasta ma che andando avanti fa salire l’adrenalina, quell’adrenalina che spesso è sufficiente a indurci a guardare un film più di una volta.

Ciò che manca è un pizzico di originalità nell’assegnazione delle sorti dei personaggi, quasi troppo prevedibili per poter commuovere come si deve o da suscitare indignazione e rabbia; un effetto oscillante tra il “già visto” e il “ti pareva”, che potrebbe lasciare qualcuno impassibile e a qualcun altro fare storcere il naso, ma solo a pochi empatici fare uscire una lacrimuccia.

L’unica possibilità di salvezza, in tal senso, è far parte di quel gruppo di non appassionati o appena introdotti al genere, sprovvisti di pellicole con cui fare un paragone; perché se è vero che il tema ci piace, e il film pure, essere sorpresi ci piace ancora di più.


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Classe 1996, dottoranda in Ingegneria Industriale all’Università di Napoli Federico II, il cinema è la mia grande passione da quando ho memoria. Nerd dichiarata, accanita lettrice di classici, sogno di mettere anche la mia formazione scientifica al servizio della Settima Arte. Film preferito? Il Signore degli Anelli.

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