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Marlene Dietrich

Trittico: Marlene Dietrich

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T’was beauty killed the beast“. Fu la bellezza ad uccidere la bestia. Una delle battute più iconiche della storia del cinema chiude uno dei film più importanti di tutti i tempi, l’originale King Kong (1933). Sempre in quel periodo, di profonda sperimentazione e plateale amoralità Hollywoodiana, vi era un’attrice capace di incarnare sia la bellezza estetica che la feroce bestialità dell’animo umano, la proto-femme fatale, la prima diva senza tempo ad essere prodotta dagli studios: Marlene Dietrich.

Quest’anno il Cinema Ritrovato ha dedicato all’attrice una rassegna di film che ne ricordino il magnetismo androgino e sensuale, la presenza scenica, l’intelligenza e l’impegno politico. Dai primi lavori risalenti all’epoca del muto girati in Germania – Café Elektric (1927), Enigma (1929) -, fino agli ultimi film Hollywoodiani a cui prese parte negli anni 50 – Testimone D’Accusa (1958), L’Infernale Quinlan (1958) -, il percorso tracciato dal festival conduce il pubblico attraverso le fasi della carriera di Marlene Dietrich e attraverso la nascita e lo sviluppo degli archetipi a lei indissolubilmente legati.

Per questo breve resoconto delle proiezioni avvenute a Bologna, sono stati scelti tre film risalenti proprio agli anni 30, tutti realizzati dall’attrice in collaborazione con l’uomo artefice della sua iconica immagine: Josef Sternberg. Egli fu l’erede spirituale della magniloquenza e della depravazione di Eric Von Stroheim, grande regista austriaco naturalizzato statunitense – come Sternberg stesso – che aveva dominato la scena di Hollywood sia come attore che come regista dai gusti decadentisti e moralmente torbidi. Ma prima di passare ai film è bene ricordare chi era veramente Marlene Dietrich e che impatto ha avuto sulla produzione cinematografica mondiale.

L’iconica Marlene Dietrich

Marlene Dietrich

Nata a Berlino nel 1901, Marlene Dietrich ha influenzato oltre che il mondo del cinema anche quello della moda: fu una donna che indossava pantaloni anche nel suo tempo libero, che adorava fare cross-dressing sullo schermo e disposta a soffrire enormemente per ottenere quel look che tanto avrebbe fatto da propulsore alla sua carriera; è infatti risaputo che durante le riprese del suo primo film da attrice seria – L’Angelo Azzurro – il regista Sternberg la convinse a farsi togliere quattro molari e a rispettare una ferrea dieta per affilarne la figura e renderla più piacevole agli occhi.

Ma se da un lato il lascito di Marlene Dietrich è anche promemoria delle sofferenze sopportate dalle donne all’interno dell’industria dello spettacolo ed esempio principe del male-gaze cinematografico, è anche stato un momento di svolta per la rappresentazione queer nel cinema; Dietrich era infatti apertamente bisessuale e più volte nei suoi film diede dimostrazione del fatto, ignorando l’opinione pubblica e le stringenti regole del “buon costume” dell’epoca.

La sua immagine è perciò diventata nel tempo anche sinonimo di liberazione e rivendicazione, coi suoi look da Marocco (1930) e Shanghai Express (1932) che hanno influenzato gli stili di drag king e drag queen in tutto il mondo. Marlene Dietrich fu capace di utilizzare il proprio corpo come catalizzatore assoluto dell’attenzione: la sua presenza scenica era sufficiente a tenere lo spettatore investito nel film, la drammaticità con cui interpretava i personaggi andava ben oltre la mera attrazione fisica, ed era elevata ad una vera e propria trasformazione in oggetto filmico; nessun film con Marlene Dietrich potrebbe funzionare senza Marlene Dietrich.

L’Angelo Azzurro (1930): Beauty made the Beast

Frame di Angelo Azzurro con Marlene Dietrich

Girato contemporaneamente in tedesco ed inglese, la prima collaborazione fra Marlene Dietrich e Josef Sternberg segnò la nascita della femme fatale: seguiamo le vicende di un rispettabile professore di liceo in uno sperduto paesino della Germania che rimane invischiato in un torbido rapporto amoroso con una soubrette di passaggio per il paese, ovviamente interpretata dalla Dietrich. Dopo averla sposata, viene costretto dalla persuasività di lei e del gruppo di circensi e furfanti con cui si sposta ad abbandonare il suo paese e ad esibirsi con loro come pagliaccio.

L’archetipo della femme fatale come lo conosciamo dai tempi del noir si fonda sul personaggio shakespeariano di Lady Macbeth: la donna ammaliante desiderosa di potere che corrompe un uomo virtuoso per il proprio tornaconto. Senza stare a problematicizzare come sarebbe opportuno fare quella che era un chiara tendenza misogina della narrativa di allora, il ruolo di Marlene Dietrich nel film in questione anticipa di anni quelli delle protagoniste femminili di Gilda (1946) e La Fiamma del Peccato (1944).

Attraverso la stupenda fotografia curata da Sternberg stesso, fatta di evidenti richiami sia all’espressionismo tedesco che al cinema colossale di Stroheim, di chiaroscuri e rilucenti calici di champagne, Marlene Dietrich acquista un fascino irresistibile ed intossicante, sufficiente a “fare la bestia”, a trasformare il borghese professore in un tragicomico pagliaccio triste. Tragicomico come il film stesso si pone, visto che inizia con evidenti toni da commedia per poi concludere sulle atmosfere della tragedia più nera e drammatica: la bellezza di Marlene Dietrich qui è maligna e corruttrice, come forse non sarà mai più nemmeno nei film successivi.

Shanghai Express (1932): Beauty amidst the Beasts

Frame di Shanghai Express con Marlene Dietrich

Come una preventiva risposta al capolavoro di John Ford Ombre Rosse (1939), dal titolo originale Stagecoach, Shanghai Express rinchiude in un treno tutti gli archetipici viaggiatori occidentali che in quel periodo attraversavano la Cina, sconvolta dalla guerra civile contro le forze rivoluzionarie comuniste. Fra questi personaggi tipo, come il malato contrabbandiere tedesco, il malinconico gendarme francese, lo spregiudicato giocatore d’azzardo americano, spiccano la prostituta Shanghai Lily – Dietrich – ed un medico dell’esercito britannico suo ex-amante.

Il tormentato rapporto amoroso fra i due è perno su cui ruota l’intera vicenda, abbastanza semplice e scontata nel complesso, dalla sceneggiatura piuttosto scarna; eppure, come si accennava prima, al film non serve avere una solida storia da raccontare quando Marlene Dietrich viene inquadrata fumare in penombra, avvolta in un nero vestito di piume. Le sue linee, quelle del volto, del corpo, degli accessori che indossa, sono studiate e disposte con la minima attenzione perché ogni ombra finisca sul punto giusto, perché la scena risulti quanto più drammatica possibile.

Ma oltre a questo, è interessante parlare delle due problematicità maggiori del film: l’utilizzo spregiudicato di stereotipi orientalisti da parte di Sternberg e la rappresentazione dei ribelli cinesi come mostri spietati e senza cuore. Sul primo punto non c’è molto da dire: proprio come Stroheim prima di lui, Sternberg crea immagini che parlino più all’idea occidentale di oriente che alla fedele rappresentazione. La scelta va ovviamente contestualizzata nel tempo e si avvicina di molto alle stesse modalità con cui Baudelaire o Flaubert ambientavano i loro lavori in terre misteriose e lontane, adatte ad ospitare il fascino sensuale delle loro dame: Sternberg fa lo stesso con Marlene Dietrich, utilizzando lo sfondo cinese per riflettere la sua natura mistica.

Per quanto riguarda invece la rappresentazione delle truppe rivoluzionare, anche qui la questione è più complessa di quanto possa apparire inizialmente: se è vero che i soldati sono orribili e impossibili da redimere, anche gli ospiti del treno non sono da meno; ognuno di loro è colpevole di un vizio e di una saccenza tutta occidentale e borghese, proprio come lo era il professore nella prima parte de L’Angelo Azzurro. In questo caso la bella è “in mezzo alle bestie,” sia nella selvaggia terra lontana dalla civiltà, sia fra le mura del civile treno.

Venere Bionda (1932): Beauty is the Beast

Frame di Venere Bionda con Marlene Dietrich

Con la sceneggiatura più debole dei tre film qui discussi, Venere Bionda si attesta però il premio di migliore messa in scena: la storia vede una famiglia disgregarsi quando la madre è costretta a tornare a esibirsi come cantante e ballerina per pagare le cure mediche del marito, contemporaneamente tradendolo con un uomo ricco per ottenere il denaro più velocemente.

Qui il momento di maggior spicco è una sequenza di danza nella quale una scimmia viene condotta in catene sul palco e fra gli avventori del locale; solo dopo un iniziale numero dei ballerini attorno all’animale, la scimmia inizia lentamente a sfilarsi le zampe, rivelando le candide mani di Marlene Dietrich sotto al costume. La metafora è chiara e il cerchio così si chiude: la bella in questo film è lei stessa la bestia, distruttrice della sua stessa famiglia.

Come per i due film precedenti, è innegabile che alcuni dei temi e delle immagini siano invecchiati piuttosto male: durante il numero del gorilla vi sono infatti moltissime ballerine nere vestite con pellicce ed ossa, proprio per richiamare l’immagine europea dell’Africa; lo stesso tema centrale del film, quello della dissoluzione del matrimonio non regge benissimo il test del tempo, eppure bisogna riconoscere a Sternberg la maestria drammaturgica nel seminare i suoi lavori di simboli e immagini che riconducano poi al senso ultimo del film in un modo sempre appagante.

Conclusioni

Marlene Dietrich

Marlene Dietrich è uno dei personaggi più complessi e più discussi della storia del cinema: era quindi impossibile restituirne un’immagine precisa analizzando solo tre dei moltissimi film a cui ha preso parte. Attraverso questa selezione si è voluto rimarcare come Marlene sia resistita al tempo nell’immaginario collettivo molto meglio dei suoi stessi film, che sotto molti punti di vista hanno perso molto dello smalto che un tempo li faceva risplendere. Sia chiaro, si tratta ancora di capolavori, ma la loro età li segna di rughe delle quali bisogna discutere, senza demonizzarle ma senza nemmeno ignorarle.

La poetica contraddizione di Marlene Dietrich è proprio questa: i suoi film hanno sempre brillato esclusivamente grazie alla sua presenza, ed ora soffrono di quella stessa accecante luce che consente a Marlene di esistere indipendentemente dai suoi film come icona, fino ad oscurarli. Bellissima e primordiale, bestiale e raffinata.

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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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