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Trittico: Kozaburo Yoshimura

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Il Giappone può vantarsi di avere una delle cinematografie più complesse e sfaccettate del mondo: facendo scuola già agli albori del medium con registi come Teinosuke Kinugasa, e regalando alla scena internazionale autori immensi quali Akira Kurosawa, Kenji Mizoguchi e Ozu Yasujiro nei decenni successivi, la storia del cinema giapponese è sempre stata ricca di voci uniche, capaci di rinnovare la classicità senza scadere nella semplice imitazione del già collaudato.

Questa è forse la filosofia del paese intero post seconda guerra mondiale, nel quale una rapida ascesa economica ha favorito lo sviluppo di nuove tecnologie, il benessere della nazione e l’occidentalizzazione dei costumi, senza però riuscire mai ad intaccare alcune delle virtù e delle caratteristiche fondanti della società giapponese. L’isola si è sempre tenuta in bilico fra l’avanzata della modernità e la salvaguardia delle tradizioni.

Proprio con questa definizione, potrebbe essere inquadrato il cinema di Kozaburo Yoshimura, al quale è stata dedicata una rassegna al Cinema Ritrovato di quest’anno: Yoshimura fu l’anello di congiunzione fra il cinema classico di Mizoguchi e le tracce di modernità dei drammi di Mikio Naruse, i cui lavori più famosi risalgono agli anni 60. Schiacciato fra i già citati giganti della sua epoca, Kozaburo Yoshimura è sempre stato sottovalutato nonostante la sua capacità di amalgamare i due spiriti dell’evoluzione culturale giapponese. Sono stati quindi selezionati tre film per parlare brevemente di come Kozaburo Yoshimura sia stato una delle migliori sorprese del festival.

Kozaburo Yoshimura e le donne del dopoguerra

Frame di The tale of genji 1951 di Kozaburo Yoshimura

Fin dai primi film, risalenti agli anni trenta, Kozaburo Yoshimura si è distinto per il suo interesse nel rappresentare storie femminili: l’evolvere dell’esperienza della donna giapponese affascinava il regista almeno quanto avrebbe affascinato il successivo Mikio Naruse. Storie di geishe, di madri, figlie, sorelle, donne indipendenti o condannate alla solitudine, per Yoshimura l’importante era intrattenere il proprio pubblico oltre che a farlo riflettere sui cambiamenti del tessuto sociale in Giappone.

Dopo aver a lungo collaborato col ben più politico e sperimentale Kaneto Shindo, Kozaburo Yoshimura ebbe anche l’onore di adattare per lo schermo l’ultima sceneggiatura rimasta incompiuta da Mizoguchi, che si racconta continuasse a dare consigli ai suo collaboratori su come girarla anche sul letto di morte. Questo per capire che Kozaburo Yoshimura era decisamente ben inserito nel sistema produttivo del suo paese: fu perciò un’importante rivoluzione quella di fondare con Shindo uno studio indipendente che consentisse ad entrambi di lavorare senza le pressioni dei loro precedenti finanziatori alla Shochiku, una delle più importanti case di produzione giapponesi ancora oggi in attività.

Questa indipendenza consentì a Kozaburo Yoshimura di intraprendere nuovi sentieri di sperimentazione anche attraverso la scrittura di personaggi sempre più complessi e difficili da inquadrare: la sua forza maggiore risiede comunque proprio nella sceneggiatura, invece che nella messa in scena o nella regia come per molti altri suoi contemporanei. Le sue sono inquadrature pulite, mentre i movimenti di camera sono ridotti allo stretto necessario, senza però rinunciarvi completamente, in quelli che erano appunto accenni di modernità.

Night River (1956)

Frame di Night River di Kozaburo Yoshimura

Per iniziare un’analisi della filmografia di Kozaburo Yoshimura è opportuno partire dal film che più esplicitamente si ricollega a quanto detto finora: Night River segue la vita di una donna dalla sua giovinezza di stenti durante la seconda guerra mondiale, fino al successo economico della sua vita adulta nel dopoguerra.

Kozaburo Yoshimura comunica una profonda differenza fra i due periodi anche attraverso l’utilizzo del colore, tingendo gli anni 40 di bianco e nero e colorando i 50; la colorazione però non riflette solo il salto temporale: si tratta proprio di un tenore di vita diverso, frugale e sofferto inizialmente e poi ricco e fruttuoso successivamente. Non è un caso che il film occasionalmente torni a perdere le sue tinte durante le sequenze che mentalmente o emotivamente riportano la protagonista alla sua giovinezza, tanto quanto non è casuale che durante il momento di maggiore crisi del film, la donna sia coperta da trucco che la impallidisce e da una nerissima parrucca, che aumenta il contrasto bianco/nero sul suo volto.

Ma nonostante la divisione fra Giappone in guerra ed in pace sembri netta, continuano ad esserci elementi di continuità: il rumore di motoscafi che rievoca quello dei bombardieri americani, gli stessi luoghi della guerra ora trasformati in resort di lusso. Tutte queste connessioni rimandano comunque ad un fatto: il Giappone è ricco, ed al mondo contano solo due cose, i soldi e l’amore. Nei film di Kozaburo Yoshimura, spesso i primi possono comprare il secondo.

Clothes of Deception (1951)

Frame di Clothes od Deception di Kozaburo Yoshimura

Con Clothes of Deception si assiste alla ulteriore riaffermazione della dicotomia denaro/amore: due sorelle convivono sotto lo stesso tetto, ma si occupano di questioni radicalmente diverse. La prima è una geisha dedita ad ottenere quante più donazioni possibili dai suoi clienti, mentre la seconda è alle prese con un modesto lavoro d’ufficio dove però incontra l’uomo della sua vita e la prospettiva di sposarsi. Proprio perché siamo nell’universo cinematografico di Kozaburo Yoshimura, il pretendente non può sposarla perché la madre non la ritiene un partito interessante; a risolvere il dilemma arrivano le donazioni della sorella che fanno gola alla famiglia di lui.

In merito alla questione della modernità che si scontra con la tradizione è significativa una delle battute più memorabili del film: “Kyoto non è stata bombardata, ma non credo sia stato un bene“. Pronunciata in riferimento alle usanze vetuste della madre dello sposo, la frase racchiude tutto il senso della costante lotta fra futuro e passato presente nei film di Kozaburo Yoshimura.

Nonostante una messa in scena decisamente troppo semplice e priva di vere intuizioni degne di nota, il film riesce comunque ad intrattenere con l’approccio melodrammatico – e quindi popolare – del suo regista, concentrato solo ed esclusivamente sul raccontare la storia con efficacia.

An Osaka Story (1957)

Frame di An Osaka Story di Kozaburo Yoshimura

Dei tre film qui proposti, An Osaka Story ha la sceneggiatura decisamente più solida: si tratta di una vera e propria commedia, dura e pura nel suo voler divertire; basato su una prima stesura di Kenji Mizoguchi, il film è adattato da un racconto di Ihara Saikaku, uno dei più importanti scrittori del periodo Edo. An Osaka Story ricorda quasi la struttura narrativa di una novella, irriverente e satirica al punto giusto.

Seguiamo una famiglia di mercanti arricchiti, usciti dalla povertà assoluta raccogliendo chicco per chicco il riso perso da altri commercianti per poi rivenderlo. La situazione comica nasce dal fatto che il padre capofamiglia non si sia mai ripreso del tutto da quella estrema povertà, costringendo i parenti a vivere con assurda frugalità nonostante la loro immensa fortuna. Neanche a dirlo, la sua taccagneria viene messa a dura prova dal matrimonio della figlia, studiato a tavolino con un’altra famiglia perché entrambe ottengano il massimo profitto.

Di nuovo, l’amore controllato dal guadagno e dalle leggi del mercato: qui però a differenza dei due film precedenti, Kozaburo Yoshimura opta per un finale comunque macabro, ma più felice. Del resto si tratta di una commedia. Ed anche di un’ottima commedia, dai ritmi serrati e dalla scrittura intelligente, molto più brillante degli altri film di Yoshimura qui analizzati.

Conclusioni

Kozaburo Yoshimura

Credit: Festival de Il Cinema Ritrovato

Il cinema di Kozaburo Yoshimura va certamente contestualizzato per poter essere apprezzato appieno, ma non rinuncia a regalare delle soddisfazioni anche dopo una semplice visione superficiale: la sua poetica è abbastanza tagliente da mettere in luce l’ambiguità del progresso economico giapponese, senza rinunciare al, talvolta pesante, romanticismo più tradizionale.

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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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