Stéphane Brizé torna alla Mostra con il capitolo conclusivo sulla sua trilogia che sonda i temi del mondo del lavoro, Un Autre Monde. Il sempre acclamato Vincent Lindon, nei panni del protagonista, ci racconta ancora una volta l’inferno e l’alienazione del capitalismo più schietto.
Di cosa parla Un Autre Monde
Philippe Lemesle (Vincent Lindon) è il dirigente di una importante azienda multinazionale. È il classico lavoratore in giacca e cravatta con i nervi a fior di pelle il cui unico pensiero è il proprio impiego. Dopo anni di rancori e frustrazioni portati a casa, la moglie Anne (Sandrine Kiberlain) chiede la separazione. La famiglia che vediamo nei quadri appesi alle pareti nelle prime inquadrature inizia lentamente a sgretolarsi. La situazione peggiora con l’aggravarsi delle condizioni psichiche del figlio Lucas (Anthony Bajon), che dopo un’aggressione ad un insegnante viene tenuto sotto osservazione presso una clinica psichiatrica.
Il peso delle scelte di Philippe schiaccia la sua famiglia, disgregandola lentamente e con dolore. Il suo posto di dirigente cambia e si evolve a causa delle richieste e delle pressioni che il protagonista riceve dall’alto. Da leader deve trasformarsi in esecutore, seguendo gli ordini severi impartiti dai superiori. Trovatosi a un bivio, anche se troppo tardi, Philippe deve prendere una decisione: immolarsi completamente come essere umano in favore di un progresso che vanifica il singolo oppure riprendere in mano la propria vita e i propri valori dando un senso alla propria esistenza come individuo?
Il cinema politico di Stéphane Brizé
Si era già capito dai primi due capitoli, La legge del mercato e In guerra, che Brizé non avrebbe posto freni alla sua rappresentazione infuriata del sistema economico contemporaneo. La rabbia e il dolore sono due sentimenti che fanno da filo conduttore a tutte le tre opere del regista francese. Un Autre Monde è forse una sintesi dei protagonisti dei due film precedenti condensata in un solo personaggio: Philippe. Questi è perseguitato dagli stessi dilemmi morali di Thierry, protagonista licenziato e disoccupato di La legge del mercato. Il tormento dei suoi pensieri e delle sue angosce lo separano dalla realtà paralizzandolo nell’inquietudine che solo una società che basa il valore dell’individuo sul suo prezzo può incutere.
Al tempo stesso, tra le emozioni di Philippe risiede sicuramente la collera, che però non esplode fragorosa come ne In guerra, ma piuttosto rimane sommessa e consuma il protagonista dall’interno. Lindon, sempre magistrale nell’interpretazione di un ruolo che ormai conosce come le sue tasche, fa passare attraverso lo schermo tutte le sensazioni che affollano la mente e il corpo di Philippe.
Quest’opera conclusiva del ciclo di denuncia del capitalismo e dei suoi mezzi ci racconta la controparte. Philippe non è un proletario, ma fa parte di quella cerchia di eletti che possiede la ricchezza. Non per questo però può dirsi salvo. La salvezza per il protagonista risiede proprio in quel briciolo di umanità da lui conservata. Dopo un percorso che l’ha allontanato dai suoi dipendenti, egli vi fa ritorno, riscoprendo la fratellanza per la medesima sofferenza, che rappresenterà il suo riscatto. Tutti sono vittime in un sistema che spreme ogni suo cittadino al fine di ricavare sempre di più e dare sempre di meno.
Perché guardare Un Autre Monde
Forse imprescindibile dagli altri film che compongono la trilogia per avere uno sguardo universale sul pensiero di Brizé, Un Autre Monde merita di essere guardato anche come pellicola fine a se stessa. Le parole vengono usate dal regista come mezzi potenti che veicolano le azioni. L’inferno contemporaneo rappresentato attraverso la cinepresa ci tocca da vicino e ci fa comprendere quali sono i danni di una vita votata a servire il sistema. Si fanno largo nella trama brevi momenti famigliari, che danno un attimo di respiro al protagonista che, mano a mano, sembra ricordarsi di cosa è fatta una vita che merita di essere vissuta.
Questi sprazzi, gli unici forse ad essere colorati ed accompagnati da una lieve colonna sonora, riflettono quell’altro mondo, che diventa finalmente possibile, a cui allude il titolo del film. La contrapposizione tra gli ambienti austeri ed asettici degli uffici e la natura rigogliosa di queste immagini allude alla distinzione che il regista fa tra lavoro e famiglia, tra pubblico e privato, tra schiavitù e libertà, concludendo magistralmente questa intensa parabola politica.
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