I fratelli Josh e Benny Safdie, a due anni di distanza dall’acclamato Good Time, firmano un altro ambizioso drama/thriller mozzafiato, imprevedibile sino all’ultimo istante. Una nuova e spericolata corsa contro il tempo, questa volta con ritmi diversi e decisamente sorprendenti.
Purtroppo il film non ha trovato alcuna distribuzione nelle sale italiane, limitandosi ad essere pubblicato su Netflix con il titolo Diamanti grezzi. Traduzione alquanto fuorviante, dato che nella pellicola i citati diamanti trovano ben poco spazio, anzi, non c’entrano un bel nulla. Le gemme a cui il titolo originale fa riferimento probabilmente non sono neanche da prendere così alla lettera, data la loro natura palesemente simbolica. Traduzione che è quindi sintomo dell’ennesima distrazione italiana e della superficialità con cui prodotti del genere vengono pubblicizzati.
Dall’Etiopia con dolore, un piccolo salto nel passato
Un opale nero, proveniente da una caotica miniera etiope, viene importato clandestinamente in America, finendo tra le mani di Howard Ratner, un gioielliere ebreo che lavora nel Diamond District a New York. Howard, interpretato magistralmente da Adam Sandler, è un quarantottenne dedito al gioco d’azzardo, con una lingua troppo lunga ed una caratteristica poco sovrapponibile alla sua passione: la sfortuna. Un giorno, rientrando a lavoro, viene accolto dal cestista Kevin Garnett (interpretato da se stesso), accompagnato dall’amico in comune Demany, il grande Lakeith Stanfield. Sfortunatamente, invece di un orologio finto, Howard finirà per rifilargli proprio la gemma, dando il via ad un’ansiogena staffetta fatta di errori, drammi familiari… e concerti di The Weeknd.
La ragionevolezza con cui Howard tenta disperatamente di riprendere in mano la situazione risulta essere sempre in contrasto con l’irrazionalità dei comprimari, ma tutto sembra esplodere quando all’interno del suo guscio il sentimento folle della scommessa cerca di fuoriuscire. La storia si colloca temporalmente nella primavera del 2012. Un scelta interessante, specialmente per le vicende narrate: dalla Pasqua ebraica (il Pèsach) alle Partite dell’ NBA.
Anche la componente audio del film gioca un ruolo molto importante: volutamente confusa, composta da dialoghi spesso urlati e sovrapposti, a primo impatto poco cinematografica, per mezzo di una completa (tipica dei Safdie) alterazione delle tempistiche narrative e recitative, ottenendo invece un risultando incredibilmente sconcertante e realistico.
«Uncut Gems»: una pellicola che brilla di interpretazioni
La pellicola (Kodak 35mm, formato anamorfico) è tempestata di interpretazioni di altissimo livello, nonché di grandi debutti e rivelazioni, a partire dalla modella e artista italiana Julia Fox. Julia interpreta l’amante e collega di Howard. Una ragazza dotata di un fascino dirompente, capace di impreziosire ogni singola scena. Il suo personaggio è forse il più bello, luminoso, romanticamente cringe, in grado di cogliere la purezza di Howard senza dovergli puntare una lente addosso, senza scannerizzarlo a dovere, mai giudicandolo. Cosa che invece non riesce per nulla alla quasi ex moglie Dinah (Idina Menzel) e all’allibratore Gary, interpretato divinamente dal telecronista sportivo Mike Francesa. L’interpretazione di Sandler è semplicemente leggendaria…stupisce soprattutto per la resa delle sfumature, o meglio, le sbavature del suo personaggio: un uomo imbarazzante per chi gli sta attorno quanto narcisista, che si nasconde la faccia come cantava Billy Joel in The Stranger…
Il film è quindi una potente lente monoculare, posizionata su tutti i personaggi che ne fanno parte. Ma ce nè ancora uno, uno del quale sarebbe ingiusto non spendere almeno una parola. Senza raccontare troppo ovviamente. Si tratta di Arno Moradiance, interpretato da un magnetico Eric Bogosian. Un uomo di mezza età, invischiato con la mafia italo-americana ed imparentato con la famiglia di Howard.
Arno è probabilmente il personaggio più ambiguo, dalle bieche intenzioni, in grado di celare al meglio la sua interiorità. Un armeno americano che cerca di farsi rispettare con l’aiuto di due granitici bestioni che portano il nome di Nico e Phil, interpretati rispettivamente da Tommy Kominik e Keith Williams Richards. Forse i personaggi che più di tutti incarnano le rocce impure ed amorfe, come due “golem” argillosi al seguito di un capo che non ha più la forza di tenerli sotto controllo. Oltre alla famiglia, c’è un’altra cosa che unisce Howard ad Arno, e non è sicuramente la purezza, è invece lo sguardo triste e disperato di chi non ha più vie d’uscita né alternative per una vita migliore.
Lo sguardo “endoscopico” di «Uncut Gems»
Grazie alla meravigliosa fotografia di Darius Khondji e l’aiuto dell’esperto in microfotografie Danny Sanchez, il percorso all’interno della gemma prende forma e “vita”, passando tra rifrazioni luminose, gas opalescenti e diverticoli sparsi.
Capita raramente di osservare un piano sequenza simile a quello mostratoci dai fratelli registi all’inizio di quest’ultimo film. Capita ancor più raramente di assistere alla colonscopia di Adam Sandler che, senza addentrarci in particolari osceni e nella cosiddetta area spoiler, sembra proprio essere la chiave di lettura giusta per ciò che il film proporrà con il proseguire della narrazione.
È risaputo, sin dall’Antica Grecia, che l’opale nero sia un oggetto magico in grado di prevedere il futuro, di donare fortuna ed immenso successo a chiunque lo possegga. Sarebbe ovviamente come credere all’abilità nel gioco d’azzardo, e se così fosse i problemi di Howard sarebbero già risolti, ma nel film, chiunque entri in contatto con la gemma grezza, sembra provare un legame alquanto particolare, in grado di generare un’adrenalina causata da un sapere sconosciuto, ma anche una notevole perdita di coscienza… un po’ alla Gollum.
Leggi anche:
Il suono dell’invisibile in «Dogville»
«Uncut Gems» lo stile Bling e i diamanti di sangue
Quello in cui viviamo è stato il secolo introduttivo alla moda Bling-Bling: termine appartenente allo slang americano di fine anni Novanta, entrato a far parte della cultura di massa solo ad inizio decennio. Rappresenta una moda che consiste nell’ostentazione del denaro, attraverso il vanto di indossare oggetti sfarzosi ma di scarso valore, sia monetario che affettivo.
Questo abbigliamento provocatorio è sicuramente il fulcro dell’idea stilistica di Uncut Gems, che alterna personaggi grotteschi immersi in questo stile di vita, ridicolizzando l’impossibilità e l’incapacità di piazzare un prodotto di alto valore, proveniente dalle più sperdute e povere regioni dell’Africa, sul mercato “sanguisuga” moderno. I cosiddetti “diamanti di sangue” non solo vengono estratti ed importati illecitamente, ma portano con sé la violenza di cui sono intrisi.
Da sempre, nei programmi televisivi e nelle colonne sonore, il suono del luccichio è legato a quello ripetuto di un Glockenspiel, una sorta di xilofono. Questo effetto sonoro andò pian piano ad influenzare la cultura pop, e con essa quella nascente dell’ Hip Hop, non a caso il film ne è avvolto. Un ulteriore riferimento a questo stile è il titolo della prima traccia presente all’interno della Soundtrack originale: The Ballad of Howie Bling, ispirata al buffo nome Instagram di Howard. Un pezzo di musica che fa da sfondo alla lunga introduzione del film, intervallando sintetizzatori analogici a cori da cattedrale, le cui parole sono piuttosto cristalline “Bling, Bling, Bling”, sottolineando l’origine onomatopeica del neologismo, ossia il tintinnio dei gioielli.
Daniel Lopatin, dagli anni ’80 al 2012
Dopo il suo esordio in qualità di compositore per il cinema con Good Time, che gli è valso il Cannes Soundtrack Award, Daniel Lopatin (in arte Oneohtrix Point Never) torna a collaborare con Josh e Benny con una musica dalle venature sci-fi anni ’80 alla Vangelis, ma proiettata verso il futuro, anzi, il 2012. La colonna sonora di Uncut Gems ripercorre la strada astratta già avviata con il precedente cult cinematografico, capace di ricreare perfettamente il clima evanescente di uno dei quartieri più strani della Grande Mela.
Suoni cosmici si disperdono nel silenzio, per poi rincontrarsi e sfociare in un’atmosfera sollevata ed eterea ai limiti della vaporwave, stile musicale postmoderno in voga proprio in quegli anni. Ad accentuare la componente incorporea sono alcuni rimandi al genio canadese di Tim Hecker, con il quale Daniel aveva collaborato all’album d’improvvisazione Instrumental Tourist. Una colonna sonora sperimentale?
Il termine “sperimentale” è spesso usato impropriamente, soprattutto nel campo della composizione cinematografica, ma in questo caso è giusto fare un piccolo appunto: Daniel Lopatin nasce principalmente come musicista, ovviamente elettronico. I suoi diversi album, a detta degli stessi registi, rappresentano (involontariamente?) delle vere e proprie colonne sonore… ma private dei film. Ecco che dall’aggettivo di partenza, quindi “sperimentale”, tutto si fa meno rarefatto e più definito.
Non sono le note cosmiche e visionarie ad essere sperimentali, bensì l’unione delle stesse con la visione altamente personale dei Safdie. Quella di Uncut Gems è una colonna sonora che ci ricorda di essere ancora bloccati all’interno di quella gemma nella quale scorre l’infinito… con una “chicca” sul finale per i nostalgici italiani della generazione dei Novanta.
«Uncut Gems»: un capolav…una scommessa vinta
Uncut Gems è l’ennesimo ottimo prodotto della A24. Un peccato non averlo potuto visionare al cinema, ma non per questo un film minore o banalmente televisivo. Un film che si distacca dal genere a cui attinge, cercando di ridurre i rimandi espliciti ai registi che più di tutti hanno saputo ritrarre (in maniera autoriale) la storica New York: da Scorsese a Ferrara, privilegiando una visione ed una tecnica immediatamente riconoscibili al solo quarto film e mezzo.
Uncut Gems è un film unico, una gemma rara, un progetto durato quasi dieci anni. Un viaggio anatomico e geologico all’interno dell’essere umano, dove la narrazione si sviluppa sotto forma di loop infernale, la cui tanto agognata via d’uscita è piuttosto chiara e di dantesca memoria. Un film per certi versi magico, illusorio, abitato da personaggi fugazy, costellati di bigiotteria e composti della stessa materia artificiale.
Howard è l’unico personaggio che, sotto la subdola crosta da 200 libbre di cui è perennemente ricoperto, dimostra sentimenti puri ed umani, forse un po’ ingenui, trasmessi con la sua “stupida faccia”. Essi rimbalzano sulle maschere di pietra che lo circondano, rimanendo invece catturati dal cuore dello spettatore, il quale, seppur i suoi continui sbagli… scommette sempre e tutto su di lui.
Seguici su NPC Magazine