Vera Gemma è figlia d’arte nota al pubblico televisivo e ai cultori del cinema italiano. Il padre Giuliano era corpo e volto degli Spaghetti Western, leggenda su celluloide. Il cognome è per Vera un’ombra in cui svanisce l’individualità. Il film a lei dedicato cerca la rivincita del nome proprio, emancipato dalle aspettative di una fama subìta – seppur spesso alimentata – e mai personale. Vera, scritto sulle locandine in caratteri cubici, è perciò anche aggettivo, cifra di un film che vorrebbe liberare lo spettatore dai pregiudizi sulla protagonista. Attraverso di lei ci è concessa un’indagine che cerca spontaneità, anche nelle forme del film. Una recitazione fortuita accompagna Vera, segno di una ricerca del reale; spesso forzata.
Il progetto, presentato nella sezione Orizzonti della 79ma Mostra Internazionale di Venezia, uscirà al cinema il 23 marzo e sarà distribuito da Wanted. Il film smentisce le forme da cinema verité, che nonostante lo stile documentaristico, è un prefabbricato che dirada l’autenticità. Ci sono aspetti veritieri, ma la Vera Gemma raccontata è una posa che ne smentisce un’altra. Il risultato ha fascino, ma espropria di frequente la protagonista di quell’individualità che le si vorrebbe dedicare. Il film non è biografico, bensì tratto da esperienze di vita: monta faccende che rivelano la protagonista, intessendo una rete di interazioni possibili, amicizie reali, personaggi fittizi.
L’incastro produce una Vera Gemma credibile ma anche impossibile. Viene santificata, costretta alla perfezione e crocifissa da sfruttatori a cui lei, buona e un po’ infantile, dona se stessa. L’unico suo difetto è di essere troppo gentile. Si affida senza amor proprio a chi cerca il cognome noto, promessa di ricchezza ormai solo di facciata. La passività di Vera restituisce un film statico e troppo verboso.
Figura morale infallibile, è vittima di se stessa, un’esagerazione ideale per un mondo che appare sempre ostile. Vera non concede luce: inizia come finisce e il percorso è solo conferma. L’aspetto più interessante del film di Tizza Covi e Rainer Frimmel è il rifiuto della fiaba. Una scelta facile che viene per fortuna evitata. La storia di una principessa che scende dalla torre e affronta le macerie del castello inizia da qui; dai detriti umani che dissolvono il personaggio mitico.
Per quanto integerrima sia, Vera non fornisce parabole. Finisce come inizia: il mondo non è un posto per le figlie d’arte. Ne fa cenno Asia Argento, interpellata nel ruolo di maestra in controllo di un palco condiviso e immutabile
Nei momenti migliori, Vera Gemma è un medium. La bellezza è ossessione, obbligo e colpa (quando manca). Poi c’è il cinema. Il tour di casting, fallimentari, restituisce la nota immagine di un sistema abitato per lo più da dilettantismo e assenza di professionalità. A Vera Gemma si riconosce la disponibilità: a tratti oggetto e mezzo. In cambio, conquista un film in cui nell’umanizzazione a lei dedicata mancano i lati oscuri.
Seguiamo Vera Gemma in una discesa nelle borgate romane. Vuole rompere le catene della falsità altolocata. Cerca nelle persone comuni ascoltatore permissivi, ma senza risultati. Di provino in provino, si allontana dalla vita di sempre e predilige biografarsi a chiunque incontri.
Racconta di sé al giovane tassista, alla ragazza del bar, all’uomo di cui immancabilmente si innamora. Quest’ultimo, padre della famiglia a cui Gemma si lega, è il controcampo che conferma l’impossibilità di liberarsi delle proprie origini. Scoperto in una truffa, l’uomo si difende dietro il peso di una povertà che obbliga ad agire. Ogni modo è concesso. Così come Vera non può che essere straniera in una borgata, in cui sostiene sarebbe stato meglio trascorrere l’infanzia, forse più sincera che all’ombra di un cognome, anche l’uomo truffatore riproporrà senza possibilità di soluzione una vita imposta dal contesto. “Cambierà, cambierà”.
Il film su Vera Gemma incrocia realtà e finzione. Cerca lo spazio impossibile dove Gemma diventa Vera, senza riuscirci. L’immagine tremolante richiama con convinzione al documentario, ma il coinvolgimento si arresta prima e la persona torna presto nel baratro del personaggio.
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