Identità e luogo è il filo rosso che incornicia la giornata d’apertura del Vertigo film festival. Durante la serata questi due concetti si mischiano e acquisiscono diverse sfumature attraverso i sei corti protagonisti, che riescono a portare lo spettatore verso una riflessione sul significato più profondo e sul ponte che lega l’identità dell’individuo, spazio interiore e intimo, al luogo, che a volte può essere ostile o rappresentare casa.
I sei cortometraggi presentati nella prima serata del Vertigo film festival mirano dritti al cuore del tema e lo fanno con linguaggi estremante diversi ma tutti in grado di colpire chi guarda.
Mettere a nudo lo spazio interiore
Golem, Etrio Fidora
L’interiorità del protagonista diventa una dimensione del racconto in Golem per la regia di Etrio Fidora. Il cortometraggio è potente, crudo e mette a nudo il rapporto intimo che si cela dietro l’accettazione di sé in relazione al proprio corpo e alla visione di sé in rapporto alla società. Il corpo è un soggetto fisico ma specchio di un disagio interiore.
Golem è un film che permette allo spettatore di “sentire” le scene, toccarle con mano, entrando nell’ottica di una storia disturbante di cui si percepisce la potenza narrativa grazie alla volontà del regista di tenere un’inquadratura stretta sul protagonista per la maggior parte della pellicola.
Everything about the actual difference, Anton Forsdik
Nel cortometraggio Everything about the actual difference, per la regia di Anton Forsdik, invece, il giovane regista svedese decide di raccontarci le sue paure ed ansie verso il futuro quasi adottando un flusso di coscienza, in cui il personaggio principale non sembra essere protagonista della sua vita e vede dall’esterno il suo sé futuro.
Il regista, nonché attore protagonista del corto, rompe spesso la quarta parete, adotta la tecnica della voce fuori campo e inquadrature piuttosto statiche, che si pongono in netto contrasto con il dinamismo della crisi interiore che ci vuole raccontare.
Come un posto è considerato casa: 54 duomo e Bye little block
Luogo e identità coincidono in maniera sublime nei due corti 54 duomo, per la regia di Nicolò Piccione, e Bye little block per la regia di Eva Darabos, rispettivamente un documentario e un corto d’animazione.
Un luogo, che siano i blocchi di case popolari ungheresi o che sia un quartiere alla periferia di Milano, è casa quando si lascia un pezzo della propria storia e identità.
54 Duomo, Nicolò Piccione
In 54 Duomo, il quartiere di Ortica rivendica la sua identità attraverso dei meravigliosi murales che parlano dell’italia, di temi sociali e che raccontano l’identità del quartiere. Ma non solo i murales parlano dell’ortica. Infatti, una serie di testimoni raccontano l’attaccamento al quartiere come parte fondante della loro identità.
Bye little block, Eva Darabos
Bye little block invece, sceglie una narrazione più surreale rispetto al “documento” di 54 Duomo. Il corto, progetto di laurea della regista, racconta di un distacco da un luogo che definisce l’identità della protagonista. Distacco che ci viene raccontato in maniera surreale, meccanismo narrativo che permette di capire il tumulto interiore di chi riceve una notizia così e vede il suo mondo deformarsi davanti agli occhi.
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