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Viaggio a Tokyo

Viaggio a Tokyo, compie 70 anni il capolavoro di Ozu

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8 minuti di lettura

Cosa si ottiene se si combina uno dei maestri della cinematografia giapponese e mondiale con uno dei film più belli di sempre? Ovviamente Viaggio a Tokyo di Ozu Yasujiro. Oggi ricorre il settantesimo compleanno di questo film definito il più significativo della storia del cinema da un consesso di 358 registi di tutto il mondo interpellati dalla rivista inglese Sight & Sound nel 2012. Già venti anni prima, nel 1992, un analogo sondaggio della stessa rivista aveva visto Viaggio a Tokyo dietro solo a Quarto potere di Orson Welles e La regola del gioco di Jean Renoir.

Viaggio a Tokyo è una storia semplice, ma profondissima

Viaggio a Tokyo

La storia è semplice: due anziani coniugi, Shukichi e Tomi, residenti in una piccola cittadina, vanno a trovare i figli che abitano nella grande metropoli, Tokyo, lasciando a casa la figlia più piccola, Kyoko, che vive ancora con loro. I due, però, non ricevono l’accoglienza sperata, infatti i figli, un medico e una parrucchiera, assorbiti dalle loro vite e dai loro impegni, non riusciranno a occuparsi dei genitori. L’unica persona che si prenderà cura della coppia sarà la nuora, Noriko, moglie del loro secondogenito morto in guerra. I due torneranno a Tokyo e l’anziana donna, poco dopo, morirà.

Il viaggio (a Tokyo) dell’anziana coppia diventa paradigma della vita, viaggio nell’esistenza umana, delicata panoramica di sentimenti di cui lo spettatore si appropria e che reinterpreta secondo la propria sensibilità. Tokyo, metropoli in grandissima espansione post bellica, divora letteralmente la concezione tradizionale della famiglia giapponese (fondata sullo ie, ovvero la famiglia allargata che vive sotto lo stesso tetto) e, a quanto pare, anche i sentimenti sottostanti: i figli non riescono a mostrare grande affetto per i genitori e anzi appaiono infastiditi perchè presi dalle proprie vite frenetiche1. I genitori, per una forma di pudore tutta giapponese, eviteranno di colpevolizzare i figli cercando giustificazioni ai loro comportamenti e tornando a casa in punta di piedi, ma con un peso nel cuore.

Ozu, regista controcorrente

Viaggio a Tokyo

Perché uno dei più belli di tutti i tempi? Cosa rende unico Viaggio a Tokyo? Intanto partiamo dal regista. Ozu è considerato da molti il più grande regista giapponese, uno dei più ammirati, con una cifra stilistica personalissima e raffinatissima che risulta, per questo, facilmente riconoscibile. Essere considerato il miglior regista giapponese non è una circostanza banale, laddove la “concorrenza” è rappresentata dai nomi di Kenji Mizoguchi e Akira Kurosawa.

Tra gli aspetti maggiormente distintivi di Ozu sempre (o quasi) presenti nei suoi film, ricordiamo la particolare altezza della macchina da presa (ancora oggi studiato e interpretato in più modi); il campo e controcampo dei dialoghi e l’originale uso del sonoro.

Disprezzando espedienti come le dissolvenze, le riprese mobili e le panoramiche, girò spesso con una macchina da presa per lo più fissa, quasi sempre a poco meno di un metro da terra: più o meno l’altezza degli occhi di una persona seduta a gambe incrociate su un tatami2.

In realtà, come chiarito da Mark Cousins ne La storia del Cinema, le riprese dal basso sono presenti anche nelle scene di esterni, pertanto la scelta non è legata strettamente alla posizione seduta o accovacciata degli attori. Ozu tende a puntare leggermente la macchina da presa verso l’alto e questo, soprattutto nei campi medi e lunghi, erode il terreno, lo spazio sottostante, rendendo privi di peso, quasi fossero sospesi, i personaggi rappresentati3.

Il genere più amato da Ozu è il cosiddetto shomingeki, ovvero i film sulla gente comune, genere che rappresenta i suoi maggiori successi. Questo è il motivo per cui è facile universalizzare e anche immedesimarsi nelle sue storie. Viaggio a Tokyo rappresenta il capolavoro di Ozu: il film fu realizzato nel 1953, anno magico in cui furono prodotti altri due gioielli della cinematografia giapponese (e mondiale): I racconti della luna pallida d’agosto di Kenji Mizoguchi e La porta dell’inferno di Teinosuke Kinugasa.

Il Giappone come specchio universale

Viaggio a Tokyo

La storia, il modo di rappresentarla, i modelli comportamentali che troviamo in Viaggio a Tokyo offrono una panoramica della cultura e della società giapponese dell’epoca4. Agli occhi occidentali, forse è proprio la distanza culturale a rendere così affascinante il film: i temi toccati dall’autore, come accennato, rimangono più universali che mai e, per certi aspetti, anche molto attuali.

Altra caratteristica peculiare e curiosissima di Viaggio a Tokyo e, in genere, di molti film di Ozu è la rappresentazione dei dialoghi. Ozu, infatti, non utilizzava il classico campo e controcampo in cui due attori che dialogano guardano uno verso destra e l’altro verso sinistra e vengono ripresi di sbieco, ma preferiva porre la cinepresa proprio davanti all’attore che, peraltro, guardava direttamente in macchina, un vero e proprio tabù cinematografico. Questa scelta stilistica ben precisa fa si che il personaggio/attore dialoghi, in questo modo, non solo con l’interlocutore nel film ma anche direttamente con lo spettatore, creando un particolare coinvolgimento emotivo.

Ulteriore elemento da sottolineare è l’originalità nell’utilizzo del sonoro. Esempio mirabile è l’inizio del film, le prime cinque inquadrature: un fiume, una strada, una ripresa dall’alto di alcune case, la ferrovia e un tempio. Ognuna di esse è caratterizzata un rumore: zoccoli di legno, cicale, motore di un battello, un treno che sfreccia.

Ognuno di questi suoni può durare per una o più inquadrature, sentirsi da solo o insieme ad altri, scomparire perché ci allontaniamo dalla sua fonte o perché un rumore più forte lo copre. Comunque sia l’impressione è quella di un flusso sonoro continuo, dal momento che ognuno di questi rumori è costruito su uno stesso regolare e ritmato scandire che consente di passare senza soluzione di continuità dall’uno o dall’altro5.

  1. cfr. Dario TOMASI, Ozu Yasujiro, Viaggio a Tokio, Torino, Lindau, 2007, p.7. ↩︎
  2. Steven Jay SCHNEIDER (Ed.), 501 Grandi registi, Bologna, Atlante, 2009, p.135. ↩︎
  3. cfr. Mark COUSINS, La soria del cinema, Novara, UTET, 2017, p. 128 ↩︎
  4. Ibid. TOMASI, Ozu Yasujiro, p. 18-19 ↩︎
  5. Gianni RONDOLINO, Dario TOMASI, Manuale del film, Linguaggio, racconto, analisi, Novara, UTET, 2022, p. 278. ↩︎


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Maestro di scuola elementare, avvocato, cuoco sconclusionato, scacchista senza talento. Anamnesi: affetto da curiosite cronica, malato di cinema, insana passione per Eric Cartman e Mr. Hankey. Autori preferiti (impossibile citarli tutti) "Beat" Kitano, Lars Von Trier, Aki Kaurismaki, Kim Ki-duk, Buñuel, fratelli Coen, Tarantino, Hitchcock, Argento, Mario Bava, Fernando di Leo. Eroe preferito: Superman? Batman? Macchè! Arturo Bandini

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