Secondo l’American Film Institute, Viale del tramonto (Sunset Boulevard) è uno dei migliori film statunitensi di tutti i tempi. All’epoca della sua uscita, nel 1950, provocò un certo scompiglio fra i divi e i produttori hollywoodiani. Il film nacque da una semplice curiosità del regista Billy Wilder, il quale, vagando tra le ville più lussuose di Los Angeles, si domandò come vivessero le star del cinema muto ormai al crepuscolo. La storia che prese forma da questo interrogativo è una delle analisi più meticolose e conturbanti del cinema e dei suoi lati più oscuri. Viale del tramonto è metacinema, ovvero cinema che parla di se stesso. Vediamo in che modo.
Lo sceneggiatore e la diva
Joe Gillis (William Holden) è uno sceneggiatore di Hollywood con discreti successi alle spalle. Ora, però, si trova in un periodo di stasi creativa. Durante una fuga da degli esattori, Joe si nasconde nel garage di una villa apparentemente vuota, sul Sunset Boulevard. Scoprirà invece che vi abita Norma Desmond (Gloria Swanson), grande diva del cinema muto, ora ritiratasi a vita privata col suo maggiordomo.
Norma sta lavorando ad una sceneggiatura di un film muto col quale vuole ritornare davanti alle cineprese, e chiede a Joe di visionare il suo lavoro. In cambio, gli offrirà denaro, alloggio e ogni comodità. L’attaccamento della diva verso lo scrittore aumenta sempre di più ogni giorno, finché Joe non si ribella e scappa dalla villa. Sarà costretto a ritornarvi perché Norma ha tentato di suicidarsi a causa dell’abbandono, e non ne uscirà più vivo.
Il cinema si autocritica: la trama di Viale del Tramonto
Il Sunset Boulevard del titolo è la strada simbolo di Hollywood e del suo glamour, dove nel 1911 aprì il primo studio cinematografico del luogo, la Nestor Film Company. Tuttavia, per il protagonista Joe Gillis, Hollywood è stata una delusione mascherata da opportunità. Il benestare iniziale che si era guadagnato dai produttori ora scarseggia e le sue sceneggiature non sono più appetibili.
Quando si reca ai Paramount Studios per discutere con un produttore, il colloquio è lo stesso che si potrebbe sentire alle bancarelle del mercato. Qui l’arte sottostà al guadagno, le pellicole vengono girate e impacchettate secondo formule fisse e sicure. Viale del tramonto si rivela così essere una critica brutale agli studios che soggiogavano attori, sceneggiatori e registi, spesso soffocandone la creatività.
L’altro aspetto di Hollywood che non viene risparmiato dal biasimo in Viale del tramonto è lo star-system, quello che noi conosciamo come il fenomeno del divismo. Nato agli inizi del Novecento, il divismo si acuì sempre più, raggiungendo il picco tra gli anni Venti e Trenta. Proprio in quest’epoca Norma Desmond rivela di aver girato i suoi più grandi film muti, grazie ai quali diventò un volto riconosciuto e desiderato sia dal pubblico, che dai produttori.
Se possiede un’immagine alterata di sé, è perché è stata ingannata e sfruttata da un sistema che si è servito di lei e che poi, con il cambio di moda dal muto al sonoro, l’ha dimenticata. Per questo motivo cerca l’affetto di Joe (che, ricordiamo, è il quarto uomo di cui si innamora) e lo accoglie subito nella sua casa: ha bisogno di essere al centro della vita di qualcuno, ancora per una volta.
Il cinema riflette sul suo passato
La seconda tematica di eguale rilevanza è il conflitto tra cinema muto e sonoro. Norma Desmond, uno dei volti preferiti del cinema muto, ha perso la sua popolarità con l’approdo del sonoro, ed è per questo che si è ritirata a vita privata. Si rifiuta di concedere il proprio talento a delle pellicole che, secondo lei, umiliano il vero cinema.
È stato questo risentimento a farla rinchiudere in una villa che è la proiezione di lei stessa e un ricordo dei suoi anni di gloria: un edificio degli anni Venti, solitario, austero, maestoso. Inevitabile nelle sue condizioni è anche la nostalgia, sentimento che la porta a circondarsi di un gruppo di amici formato dai divi del muto: Buster Keaton, Hedda Hopper e H.B. Warner.
Altrettanto emblematica è la scena in cui Norma visita la Paramount dove Cecil B. DeMille, col quale aveva collaborato in passato, sta girando quello che sembra un kolossal sonoro. L’attrice si siede al posto del regista, in attesa di parlargli. Un microfono per la presa del suono orbita all’improvviso attorno alla testa piumata di Norma e lei, indignata, lo spinge via. Il disprezzo della regina del muto per l’avvento del sonoro era già stato rassodato, ma qui è stato ribadito con fugacità, destrezza ed eleganza. Norma è letteralmente sovrastata dal sonoro.
Il cinema guarda dentro di sé
Per esplorare, sfidare e onorare il cinema, Viale del tramonto si avvale di una narrazione quanto mai particolare e fuori dalle regole. Sin dalla prima inquadratura siamo accompagnati dalla voce di un narratore che ci spiega i fatti. Quando nella piscina compare un corpo galleggiante, la voce ne parla in terza persona. Non è nessuno di importante, ci dice, solo qualcuno con qualche film di serie B alle spalle. Una lenta dissolvenza ci porta a sei mesi prima, dove riconosciamo in Joe Gillis il cadavere della piscina. Joe, narratore e protagonista, è morto.
Alla fine del film, quando il cerchio si chiude e ritorniamo alla villa, il morto parla di sé in prima persona. Una contraddizione narrativa che ha permesso a Wilder di sondare la Settima arte in modo viscerale, come nessuno aveva mai fatto prima. La narrazione post-mortem implica una sospensione di incredulità, giacché non viene fornita alcuna spiegazione su come sia possibile che un morto ci stia parlando.
Tuttavia, è il mezzo migliore per raggiungere il fine della suspense. Conosciamo il finale e sappiamo che, qualsiasi cosa accadrà, Joe Gillis dovrà per forza cadere in una piscina con tre colpi di pistola. Questa atmosfera di ineluttabilità instilla più suspense di qualsiasi finale a sorpresa. Oltre a questa contraddizione, la pellicola affronta più o meno consapevolmente altri meccanismi narrativi.
Sono la casualità e il fraintendimento, due dei grandi motori di trama, a far salpare la vicenda: Joe giunge alla villa di Norma per casualità, vedendo in essa una possibilità di salvezza mentre sta scappando dai suoi creditori; viene fatto entrare, invece, per fraintendimento, quando Norma lo scambia per il becchino che avrebbe dovuto portarle la bara per il funerale della sua scimmia.
Il metacinema raggiunge però l’apice quando Joe, nello spiegare a un’amica i suoi trascorsi, imposta il discorso come se stesse dissezionando un copione – in lingua originale usa la parola setup che, assieme al payoff, è uno dei concetti cardine della sceneggiatura.
Il cinema mostra il suo lato più oscuro
Viale del Tramonto si conclude prendendo una piega inquietante. Norma spara a Joe tre colpi di pistola, lui cade a faccia in giù nella piscina – quella stessa piscina che lei aveva riempito apposta per lui. Il cerchio si chiude: ecco il cadavere che testimonia la vicenda. L’attrice si ritira in casa, in uno stato di pazzia allucinata. L’arrivo della polizia e dei giornalisti viene scambiato per l’arrivo di una troupe cinematografica, capitanata da Cecil B. DeMille. “Eccomi DeMille, sono pronta per il mio primo piano” sono le ultime parole di Norma, che si avvicina all’obbiettivo con sguardo febbrile e si prepara a girare il suo film-monumento.
Ma la pellicola non potrà essere che il suo film-funerale: essa segna infatti la disfatta di Norma Desmond, nonché la sua morte cinematografica. Possiamo solo immaginare cosa succederà dopo questi istanti: l’attrice verrà accusata di omicidio e arrestata, e il suo primo piano comparirà ad ogni telegiornale. Una fine che Norma non avrebbe certo accettato – troppo volgare, per una stella lucente come lei.
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