Un’immagine quadrata e minuta, inghiottita dal nero mentre mostra il sorriso di due anziani che si salutano da due finestre della stessa casa, un’immagine chiusa e confinata che però inizia a dilatarsi e allargarsi per poi dividersi senza mai più riunirsi. Gaspar Noé apre il suo ultimo film, Vortex, così, sbaragliando e mescolando ancora una volta le regole del cinema, rompendo e separando il grande occhio della camera per costruire una barriera capace di disegnare due occhi di colore diverso, che si seguono senza mai incrociarsi.
Una rottura strutturale che però il tanto divisivo regista argentino inscena spogliandosi di tutte le peculiarità che lo hanno da sempre contraddistinto. Le follie visive tra droga e carnalità di Enter the void e Climax e l’eccentrica narrazione di Irréversible vengono placate per lasciare spazio a una storia quotidiana, a una storia che esplora la vecchiaia nella sua fredda crudeltà e l’arrivo lento e inesorabile della morte.
Vortex, che dopo essere stato presentato a Cannes nel 2021 arriva in Italia grazie a MUBI, è un drastico cambio di rotta, una direzione alternativa al cinema provocatorio e sempre al limite che ha reso Gaspar Noé uno dei registi più influenti del nuovo millennio, ma Vortex è forse il tassello che mancava per chiudere il cerchio di un’idea cinematografica a cui mancava la calma per placare la tempesta.
Vortex è un vortice verso la morte
Vortex con due prospettive segue da vicino la quotidianità di un critico cinematografico (un Dario Argento calato ottimamente nel ruolo di attore) e una psichiatra (l’attrice francese Françoise Lebrun), insieme da tutta la vita e giunti in quell’interregno spoglio e difficoltoso che è la vecchiaia. Lui alle prese con una tosse che lo perseguita, un infarto precedente che incombe ancora sulla sua ombra e un libro sul rapporto tra cinema e sogno da finire, lei costretta a scontrarsi e convivere con un Alzheimer che lentamente la sta trascinando in una realtà vuota e irriconoscibile.
Assistiamo da intrusi non invitati allo scorrere delle loro giornate, lei e le sue fughe inaspettate alla ricerca di qualcosa che le restituisca un senso di familiarità, lui e il suo cercarla preoccupato tentando ingenuamente di risolvere una soluzione irrisolvibile con le sue sole e poche forze.
Assistiamo inermi a una donna che non riconosce più il suo compagno di vita, il proprio figlio, la propria casa, che è convinta di stare bene mentre sprofonda piano piano in un abisso dove il vuoto è onnipresente, a un marito con dei segreti sotterranei che deve realizzare di star perdendo un pezzo della propria vita e che combatte per difendere quei luoghi che il figlio gli vuole far lasciare.
Un valzer di prospettive e punti di vista
Vortex è un crudele viaggio al confine, un confine che la vita prima o poi deve raggiungere e oltrepassare, il confine labile ma così fondamentale tra la vita e la morte. Vortex tramite l’uso dello split screen diventa un valzer di camere e prospettive, di punti di vista che si osservano senza mai guardarsi, un viaggio nella vecchiaia e nelle sue fragilità tramite due storie che scorrono vicine ma sono completamente diverse.
È un film di indicazioni e di istinto, la sceneggiatura spoglia lascia spazio all’improvvisazione degli attori che si lasciano andare al flusso creativo e di coscienza dei loro complicati personaggi, ma è la regia chirurgica e innovativa che spinge Vortex a riflettere sulla vecchiaia in un modo inedito tramite la messa in scena in contemporanea di due poli opposti, chi deve vivere la malattia dall’interno e chi deve conviverci da fuori.
Da un primo sguardo Vortex non assomiglia neanche lontanamente a un film di Gaspar Noé, ma le ossessioni e i temi cardini della poetica del regista argentino sono presenti ma travestiti e mostrati in una maniera che ancora non aveva esplorato. La droga, il sesso, l’allucinazione e la violenza sono traslati e trasportati in una realtà diversa per approfondirli e analizzarli da una prospettiva differente, da un punto più vicino alla morte e alla sofferenza.
Gaspar Noè con il suo ultimo lavoro completa un puzzle a cui mancava ancora un film silenzioso e paziente, un film dedicato a tutti coloro il cui cervello si decomporrà prima del cuore, un film che inizia dai titoli di coda perché è la fine a essere protagonista.
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