In attesa dell’uscita nelle sale del suo ultimo lavoro The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun, proponiamo un excursus nel mondo di uno degli autori più originali e riconoscibili del nostro tempo: Wes Anderson.
Wes Anderson è un creatore di mondi nell’accezione più ampia del termine. I suoi film sono favole contemporanee utili a raccontare le fragilità, le insicurezze, le idiosincrasie e le follie personali di personaggi che sono tutti malinconici, attraversati da una tristezza insormontabile, ma che li rende bellissimi.
Wes Anderson ha dato vita a disadattati romantici, nevrotici pieni di speranza, apatici sorridenti, depressi sognatori, tutti scritti con una cura talmente precisa da essere maniacale. I suoi mondi hanno tutti un fascino vintage di tempo perduto e un’estetica sixties super chic.
Wes Anderson e le commedie drammatiche
Non si può ascrivere Wes Anderson a un genere cinematografico preciso, ma basta un solo fotogramma per riconoscere il suo stile. I suoi film sono una rielaborazione di tutti gli stimoli, le ispirazioni e le suggestioni raccolte in una vita intera da fonti disparate secondo il suo personale immaginario estetico.
Se dovessimo attribuire un’etichetta al suo stile cinematografico sarebbe probabilmente quello di commedia drammatica. Il tono delle pellicole è, infatti, leggero e all’apparenza scanzonato anche se il più delle volte le storie raccontate sono drammatiche. Si parla del disagio personale dei personaggi e della loro difficoltà a relazionarsi con gli altri. Il lieto fine non è mai negato, ma data l’amarezza di fondo è sempre un lieto fine agrodolce. Le storie raccontate non sono molto originali, anzi, sono abbastanza banali e scontate. A renderle uniche e sensazionali è il sodalizio inscindibile tra forma e sostanza, in ogni pellicola la storia non avrebbe senso senza l’estetica e viceversa.
Wes Anderson è quindi un cantore di storie banali che narrano le vicissitudini di famiglie disadattate, di padri assenti e di madri imperturbabili, di figli senza padri, di padri senza figli, di amori romantici e dolorosi, di malinconia, depressioni e nevrosi, di infanzia perduta e futuro incerto. Sono storie reali al limite del documentarismo emotivo inserite, però, in un contesto straniante. I mondi creati dal regista sono plausibili ma sono, in ogni loro componente, fittizi. Sono mondi di cartapesta, minuziosi come solo un ossessivo-compulsivo potrebbe crearli. Sono wunderkammer personali ed eccentriche. Le sue storie sono molto diverse le une dalle altre, ma sono tutte riconducibili a temi portanti, forse ferite mai cicatrizzate, ma espresse nel più raffinato e simmetrico dei modi.
-Per quali ferite stai chiedendo scusa nello specifico?
Moonrise Kingdom
-Nello specifico? Per quelle che fanno ancora male
-Metà di quelle erano autoinflitte
Wes Anderson e di famiglie disfunzionali
Le famiglie andersoniane sono sempre, perennemente, disastrate e sgangherate, lontanissime dall’ideale di famiglia felice e coesa.
Le famiglie di sangue sono un casino, sono un gruppo di persone chiuse nella stessa stanza che si odiano e vorrebbero solo stare sole con le loro nevrosi e ossessioni. Le famiglie d’elezione sono altrettanto problematiche, dal momento che ripropongono le medesime dinamiche malate.
Ciò che interessa all’autore è raccontare i problemi relazionali che si creano in un circoscritto gruppo di persone, spesso inserito in uno spazio chiuso. In Wes Anderson l’emotività interna dei personaggi è esplicitata nell’estetica del film: per descrivere l’immobilità sentimentale dei personaggi avremo quindi inquadrature fisse e corpi trattati come manichini.
Ci sono poi temi che tornano insistentemente come la figura paterna problematica e assente, la passività delle madri e mogli, l’inadeguatezza dei genitori verso i figli, il conseguente scontro generazionale.
I Tenenbaum sono il più grande esempio di famiglia disfunzionale andersoniana. Un padre indegno, marito infedele, che non ha mai creduto nei figli, non li ha mai appoggiati e, infine, se n’è andato, abbandonandoli a loro stessi e in qualche modo impedendogli di crescere. Una madre amorevole ma un po’ distratta, come tutte le madri delle sue pellicole, succube del marito fedifrago, incapace di pretendere felicità per se stessa. Ci sono i figli, personaggi indifesi nei confronti della vita, passivi verso tutto ciò che gli succede. Ognuno di loro è bloccato emotivamente ed esteticamente all’età dell’abbandono paterno.
A raccontare il disagio e il blocco emotivo di questi personaggi sono chiamate le divise che indossano, le stanze che abitano, gli oggetti che posseggono, la musica che ascoltano. Le loro stanze, infatti, non sono cambiate dai tempi dell’adolescenza. Sono ambienti molto ricchi, di storia e di dettagli, in cui i personaggi quasi si confondono, come a rappresentare la loro inutilità. Le loro divise sono le stesse di quando erano bambini, a sottolineare nuovamente il loro essere eterni ragazzini, incapaci di affrontare la vita e compiere un cambiamento. A completare la narrazione filmica abbiamo la colonna sonora, utilizzata per trasmettere ciò che i personaggi non riescono a esprimere.
Di padri assenti
I protagonisti maschili nei film di Wes Anderson incarnano un’ideale di figura paterna negligente, ma d’altro canto molto carismatica, come possiamo notare osservando Royal Tenenbaum, Steve Zissou, Mr. Fox e in qualche modo anche il concierge Gustave. Questi padri sono i personaggi più affascinanti dei film andersoniani.
«Ho bisogno di trovare un figlio a questo padre» dice Jane in Le avventure acquatiche di Steve Zissou, a rimarcare il fatto che questi uomini, per crescere, hanno solo bisogno dei loro figli, di prendersi delle responsabilità. Sono eterni ragazzini e come tali si comportano. I loro saranno figli disagiati, in eterno conflitto con un padre assente ma di cui cercheranno sempre un’approvazione che il più delle volte non arriverà.
Emblematico è l’esempio fornito da Il treno per Darjeeling, in cui il padre è morto e il regista ricorre a un set di valigie (appartenuto proprio al padre) per rappresentare la sua assenza e, contemporaneamente, la sua presenza ingombrante. Il lancio di queste raffinate valige firmate Louis Vuitton è un atto simbolico volto a rappresentare finalmente la liberazione di un peso ingombrante.
Per Anderson i rapporti interpersonali non sono facili, anzi, sono portatori di problematiche profonde, egoismi, invidie, disaccordi e di sicuro quelli famigliari sono i peggiori. Ma tra i sentimenti rappresentati ce ne è uno che ritorna sempre, in ogni film, presentato in una sfumatura sempre diversa: l’amore.
Di amori in tende gialle
«Ti amo ma non avrei mai dovuto sposarti» dice Felicity a Mr. Fox.
È tutto in questa frase il senso dell’amore per Wes Anderson. È un amore pazzesco e tanto grande da fare male. I suoi personaggi ne amano altri che portano sofferenza insieme all’amore.
Ritchie Tenenbaum ha tentato il suicidio per Margot, Eleanor Zissou è gelida e insofferente verso l’uomo della sua vita, Felicity Fox esprime l’amore di un matrimonio imperfetto, Zero perde Agatha e con lei tutto ciò che ha di più caro.
Solo i pre-adolescenti di Moonrise Kingdom non si pentono mai del loro amore, per lo meno per la durata del film. Il loro sentimento è talmente innocente e ingenuo da essere il più puro e vero di tutti quelli rappresentati. L’amore è raccontato nella sua accezione più dolce e romantica. Per un attimo anche l’altero Wes Anderson sembra commuoversi e abbandona le sue inquadrature statiche e rigide riprendendo la scena con camera a mano, per trasmettere al meglio la profondità del momento. Sam e Suzy hanno dodici anni, si sento diversi e si amano e sono convinti che questo loro amore possa trionfare su ogni cosa. Quando si ha dodici anni si ama davvero con una potenza inaudita, ogni cosa è accompagnata da una tragicità e da un’epicità che rende gigantesca ogni emozione provata.
Moonrise Kingdom è la storia di una fuga d’amore, tra le più strampalate e romantiche che il cinema ci abbia offerto.
Ma Wes Anderson ci ha insegnato che gli incontri d’amore avvengono sempre in slow motion e con These Days di Nico come colonna sonora. Come non commuoversi nel momento in cui partono le note dolcissime e strazianti di questa canzone, alla vista degli occhi sempre troppi tristi di Richie e dell’unico sorriso abbozzato che vedremo in tutto il film di Margot?
Quello di cui ci parla Anderson è un amore doloroso, che fa male talmente è grande. Ma l’amore è anche questo, soprattutto nella vita reale. Margot e Richie Tenenbaum sono due fratellastri innamorati a cui manca il coraggio di vincere le convenzioni e preferiscono cullarsi in un amore platonico. Uno prova un dolore costante, l’altra passa le giornate nell’apatia. Margot Tenenbaum è fragile, disperata, tragica e spinge involontariamente il fratellastro al suicidio.
I Tenenbaum può essere visto come un film sul dolore e ci regala una delle scene più belle e spezzacuore dell’intera filmografia andersoniana: completamente virata al blu, Needle in the hay di Elliot Smith in sottofondo, camera frontale, sguardo in macchina, occhi tristi, ripresa zenitale, sangue dalle vene e un profondo dolore che sembra incolmabile.
L’amore ai tempi dei Tenenbaum fa male. Forse Margot e Richie sono un possibile futuro ipotizzato per Sam e Suzy e se l’infanzia è il luogo prediletto la crescita non può che essere dolorosa.
Anche l’amore per Anderson ha un finale agrodolce. Tutte le storie d’amore sono tragicamente difficili e complicate ma lui riesce, grazie a un giradischi e una tenda gialla, a renderle apparentemente semplici. E noi ci commuoviamo. Wes Anderson è un regista dei sentimenti, e con i sentimenti gioca. Ci fa emozionare, ci regala caramelle amare nella più dolce delle confezioni, e noi ci caschiamo ogni volta e ogni volta ne usciamo con il cuore spezzato e un sorriso sulla faccia.
Seguici su Instagram, Facebook, Telegram e Twitter per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!