Wonder: White Bird, spin-off di Wonder (2017), è stato a lungo posticipato (era inizialmente previsto per settembre 2022, poi a settembre 2023), ma il 4 gennaio 2024 ha visto finalmente la luce qui in Italia. A chi ha amato il primo capitolo della saga, dove venivano narrate le gesta del primo anno di scuola media di Auggie Pullman, troverà conforto e sorpresa in questo nuovo capitolo dello stesso universo narrativo. In Wonder: White Bird ritornano al centro della storia i buoni sentimenti e i valori universali, quali l’amicizia, la gentilezza, il coraggio.
La novità questa volta è che si sceglie di narrare non più il presente ma ci s’immerge totalmente nel passato, scavando a fondo le verità nascoste, ritrovando il valore e la potenza della bontà d’animo e del coraggio.
Nuova storia, nuovo protagonista
Wonder: White Bird richiama a sé il suo predecessore solo nella scelta del protagonista: ritroviamo Julian (Bryce Gheiasar), il bullo di Auggie Pullman (Jacob Tremblay) in Wonder. In questo spin-off all’ormai adolescente Julien, traferitosi nella Grande Mela dopo essere stato espulso dalla sua vecchia scuola, proprio per via degli atti di bullismo nei confronti del compagno Auggie, viene a far visita la nonna, Sara (Helen Mirren), la quale sceglie di raccontare la propria storia col fine di far capire al nipote l’importanza dell’essere buoni e gentili, soprattutto verso coloro che stanno subendo ingiustizie.
Il film dunque altro non è che il pretesto per narrare la vita della giovane Sara, originaria di un piccolo paese francese. Va sottolineato però che gli anni, che sta vivendo la giovane Sara, sono quelli dell’avvento della Seconda Guerra Mondiale e del genocidio degli ebrei. Lei e la sua famiglia sono in grave pericolo in quanto ebrei, e nel momento in cui incomberanno gli orrori nel piccolo paese la giovane Sara si vedrà costretta a fuggire e ad affacciarsi alla realtà che nel momento in cui lei in primis viene vista agli occhi dei suoi compagni come un morbo da estirpare, e con l’arrivo dei nazisti in paese tutto per lei decade.
Ogni sua piccola grande certezza inizia a sgretolarsi. Sennonché troverà un eroe e un vero amico nella figura del suo compagno di classe storpio: Julien (Orlando Schwerdt). Sarà proprio quest’ultimo a salvare la giovane Sara dalla deportazione, portandola al sicuro nel proprio fienile al di fuori del piccolo paese.
Lì inizierà per la giovane Sara una nuova vita: allontanata dai genitori, i quali non sa se siano riusciti a fuggire o se siano stati sfortunatamente presi dai soldati nazisti, vedrà in Julien e nei suoi parenti la sua nuova effettiva famiglia. Impossibile non ritrovare nella madre del compagno Julien (Gillian Anderson), una figura materna per Sara. Ed è proprio in questo contesto di paura, di celarsi nell’ombra per non farsi trovare che lo sguardo di Sara cambierà per sempre.
Lei stessa inizialmente vedeva nel compagno di classe Julien una persona lontana dall’appellativo di amico, tanto da chiamarlo con il suo soprannome, datogli per il suo handicap, e non con il suo effettivo reale nome. Ma Wonder: White Bird fa questo: rimescola le carte in tavola. Cambia il punto di vista dei propri personaggi portandoli in primis a vivere in contesti differenti, lontani dalla propria comfort-zone.
Nuova regia, nuovo punto di vista
Se nel film precedente avevamo trovato una regia estremamente pulita, da manuale, senza mai cercare di voler stupire lo spettatore, ma anzi portandolo passo dopo passo verso un finale a dir poco semplificato e ricolmo dei buoni sentimenti, in Wonder: White Bird, Marc Forster (Quantum of solace, Non così vicino) osa di più, sia dal punto di vista tecnico che narrativo. Essendo tratto dall’omonimo romanzo di R. J. Palacio, l’estro narrativo si rispecchia perlopiù nel campo visivo e stilistico.
Il film adatta la narrazione a flashback, concentrandosi maggiormente nella linea narrativa che vede protagonista la giovane Sara e non l’ormai anziana Sara (Helen Mirren), né tantomeno sull’attuale vita del Julien dei nostri giorni, che ci viene solo fatta intendere in poche scene. Ma proprio perché il focus di tutto doveva essere concentrato sulla vita della giovane ragazza, usando il personaggio dell’attuale Julien solo come pretesto e filo rosso al film precedente.
Marc Forster sceglie comunque di staccarsi dai toni e colori vivi e accesi del primo film, adoperati dal regista Stephen Chbosky, ma punta tutto su uno stile morbido e improvviso. Cercando di dare un senso di morbidezza e graziosità ad una storia che si forma in un contesto aspro, crudele e triste. Suscita interesse e stupore la scelta di mostrare in più modi il nuovo mondo di Sara, ovvero il fienile nel quale trova rifugio grazie all’aiuto del compagno Julien.
L’utilizzo perlopiù della luce naturale rende l’immersione dello spettatore ancora maggiore e allo stesso tempo amplifica lo stacco alla linea narrativa ambientata nei giorni nostri. La resa della fuga dalla triste realtà che la giovane Sara e Julien scelgono di fare, salendo a bordo di un vecchio furgone scegliendo di scappare con la propria immaginazione risulta essere il tratto più interessante di tutto il film, proprio per quel senso di libertà che Marc Forster sceglie di portare in scena.
Wonder: White Bird, lo sguardo femminile al centro
Wonder: White Bird pone lo sguardo e la figura femminile al centro di tutto. Tuttavia i concetti non sono mai portati allo stremo, risultando così troppo forzato e o scelto a tavolino. Anzi, la semplicità con la quale si sceglie di far vedere il tutto allo spettatore spesso viene nascosta in maniera più che elegante dalle due protagoniste adulte del film.
In Wonder: White Bird si è fatto un passo in avanti sulla qualità tecnica e narrativa rispetto al capitolo precedente, ma si scivola più di una volta sul tanto temuto tono smielato, che era insito anche nel primo film. Ciò nonostante il film di Marc Forster riesce a superare e a battere il suo predecessore.
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