Se siete tra quelli che pensano che Midnight in Paris sia il più grande capolavoro di Woody Allen, un film da far vedere assolutamente a chi vuole approcciarsi per la prima volta alle opere del regista newyorchese, beh, abbiamo una brutta notizia: questo articolo non fa per voi. Intendiamoci, Midnight in Paris è un bel film. Anzi, potremmo addirittura azzardarci a definirlo ottimo, se fingessimo che Woody Allen abbia iniziato a girare film solo nel 2011. E, badate bene, il Premio Oscar alla Miglior sceneggiatura è senz’altro meritatissimo.
Ma, se l’intento dovesse essere – e il nostro lo è – quello di prendervi per mano e accompagnarvi all’interno della folta selva della sua filmografia, potremmo solo dirvi che Woody AWllen è un’altra cosa. O, meglio, potremmo dirvi che Woody Allen è tante cose, diverse. Ma se davvero volete capire l’intima essenza del woodyallenismo, i film che dovete guardare sono altri. Sono quelli degli anni Settanta. Sebbene, a ben vedere, anche questo potrebbe essere un caso di quella sindrome dell’età dell’oro protagonista proprio di Midnight in Paris.
Nel 2021 Woody Allen è tornato in sala con Rifkin’s Festival, forse uno dei suoi ultimi film.
Woody Allen: di chi stiamo parlando?
Woody Allen nasce l’1 dicembre 1935 a Brooklyn, New York, con il nome di Allan Stewart Königsberg, in una famiglia ebraica di modeste condizioni. Il suo debutto sul grande schermo avviene nel 1966 con Che fai, rubi?, film di cui è regista, sceneggiatore e attore protagonista. Da allora ha sfornato ben 49 film in 53 anni, e un altro è in dirittura d’arrivo nel 2020. Quasi tutti questi film sono ambientati nella Grande Mela, città a cui il regista è indissolubilmente legato. Accanto al cinema, negli anni ha coltivato anche altri talenti: la musica jazz, su tutti; ma anche il teatro e la scrittura.
Se, a beneficio dello spettatore digiuno, volessimo azzardare un’ipotesi di periodizzazione della filmografia di Woody Allen, potremmo indicare una prima fase di film prettamente comici, che va da Che fai, rubi? (1966) a Il dormiglione (1973). Di questa fase segnaliamo in particolare Il dittatore dello stato libero di Bananas del 1972. Risate assicurate. Con Amore e guerra (1975) si ha poi una svolta nella produzione di Woody Allen, ed ha inizio – a nostro giudizio – la fase migliore. I toni passano dal comico all’umoristico, l’ironia pervade ogni dialogo; fanno la loro comparsa problemi di coppia, nevrosi, psicanalisi, temi esistenziali, riflessioni filosofiche. E, soprattutto, Diane Keaton. Insomma, i tòpoi alleniani per eccellenza. Appartengono a questa fase, tra gli altri, i capolavori Io e Annie (1977) e Manhattan (1979).
Nelle opere successive tanti motivi ricorrono, talvolta si ritrovano persino battute molto simili tra loro, e i temi affrontati sono più o meno sempre quelli. Tra i film degli anni Ottanta, il periodo della relazione burrascosa con Mia Farrow, meritano sicuramente Hannah e le sue sorelle (1986) e Crimini e misfatti (1989). Gli anni Novanta e primi anni Duemila scorrono con molti film ma pochi degni di nota, ad eccezione di Harry a pezzi del 1997, un omaggio a Il posto delle fragole di Ingmar Bergam (insieme a Federico Fellini, il regista più amato da Allen). Quando sembra ormai sulla via del tramonto, nel 2005 se ne esce con il drammatico Match Point, di gran lunga il suo film migliore del nuovo millennio. Di questa fase da vedere anche Vicky, Cristina, Barcelona (2008), Basta che funzioni (2009) e il già citato Midnight in Paris (2011). Negli anni più recenti la produzione di Woody Allen si è ravvivata con una nuova infornata di film, ma dai risultati altalenanti.
In attesa di scoprire cosa ci riserverà Rifkin’s Festival, annunciato in uscita nel 2020, seguiteci nella golden age di Woody Allen: il periodo che inizia nel 1975 con Amore e Guerra e, passando per Io e Annie, culmina con Manhattan nel 1979.
Con quale iniziare: Amore e guerra (1975)
Titolo: Amore e guerra (Love and Death)
Anno: 1975
Durata: 85′
Interpreti: Woody Allen, Diane Keaton, Harold Gould, Olga Georges-Picot, Zvee Scooler
Sì, è vero. Vi abbiamo detto che quasi tutti i film di Woody Allen sono ambientati (e girati) nella New York dei suoi giorni. Ma questa è una delle rare eccezioni. Le vicende di Amore e guerra (1975) si sviluppano infatti nella Russia del XIX secolo, ai tempi delle invasioni napoleoniche.
Protagonista è Boris Grushenko (Woody Allen) che, come tutti gli “eroi” alleniani, è impacciato e intellettuale: il suo sogno è fare il poeta. Ma arriverà il momento in cui Boris dovrà scontrarsi con la dura realtà della guerra contro Napoleone, mettere da parte la sua proverbiale codardia e dar prova del suo coraggio per difendere la Santa Madre Russia. O forse no. Sullo sfondo, l’amore per la cugina Sonja (Diane Keaton). Il film scorre tra gag esilaranti e filosofici dialoghi surreali, di cui vi riportiamo un esempio.
Fin dal titolo del film sono numerosi i riferimenti alla letteratura russa: Amore e guerra richiama infatti Guerra e pace di Lev Tolstoj e in tutto il film abbondando le battute con riferimenti alle opere di Dostoevskij e dello stesso Tolstoj. Pur essendo un film comico, i riferimenti colti sono numerosi al punto che potremmo definirlo un film intellettuale. Il primo film intellettuale di Woody Allen. Per questo motivo, a nostro avviso, Amore e guerra rappresenta il punto di svolta nella sua filmografia tra la fase comica e la fase umoristica, nonché la porta di accesso privilegiata all’universo alleniano degli anni Settanta. Insomma, se volete guardare un film di Woody Allen per la prima volta, potete partire da qui.
Con cosa proseguire: Io e Annie (1977)
Titolo: Io e Annie (Annie Hall)
Anno: 1977
Durata: 93′
Interpreti: Woody Allen, Diane Keaton, Tony Roberts, Carol Kane, Paul Simon, Shelley Duvall
Quattro Premi Oscar – miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura originale a Woody Allen e miglior attrice protagonista a Diane Keaton – sono il biglietto da visita di tutto rispetto con cui si presenta Io e Annie (1977). L’intero film è una grande e romantica dedica a Diane Keaton: il titolo originale è infatti Annie Hall, dove Hall è il vero cognome della Keaton e Annie il soprannome con cui la chiamava lui (i due hanno avuto una relazione dal 1973 al 1978 circa, Allen l’ha sempre definita il suo grande amore e tuttora sono in ottimi rapporti).
Con Io e Annie si torna a New York. Protagonista il comico Alvie Singer (Woody Allen), alter ego del regista, che, in un flashback, ripercorre in modo frammentario, nevrotico e sconnesso la sua storia d’amore con Annie Hall (Diane Keaton): dal primo incontro alla fine dell’amore, passando dal plateau. Il film – allo stesso modo di tanti altri successivi – è umoristico e autobiografico e la psicanalisi riveste un ruolo centrale. Si potrebbe anche pensare a tutto il film come una sorta di seduta psicanalitica: il pubblico è l’analista, l’opera d’arte è lo strumento catartico. E la funzione catartica dell’arte è richiamata esplicitamente nel finale, quando Alvie mette in scena la sua storia con Annie in una commedia, ma con un lieto fine: «Be’, che volete, era la prima commedia… Sapete come si cerchi di arrivare alla perfezione almeno nell’arte, perché è talmente difficile nella vita». Tutto il senso di Io e Annie – ma probabilmente anche di tutta la filmografia alleniana – è racchiuso in questa battuta.
Numerose scene del film sono diventate cult e sono entrate a buon diritto nell’immaginario collettivo. Segnaliamo in particolare: il monologo introduttivo di Alvie Singer, il dialogo e i non-detti-ma-pensati tra Alvie e Annie sulla terrazza alla loro prima uscita, i cameo di Marshall McLuhan e di Paul Simon, Alvie e Annie seduti su una panchina che commentano i passanti, Alvie che ferma le persone per strada chiedendo loro cos’è l’amore, l’explicit con il paragone tra le relazioni e le uova. E tutto il film è impreziosito da battute iconiche. Un esempio? «Ehi, non denigrare la masturbazione: è sesso con qualcuno che amo!».
A detta di molti, Io e Annie è il film di Woody Allen più riuscito (e i quattro Oscar ne sarebbero la prova). Il dibattito è aperto, ma almeno una certezza c’è: è un film da vedere almeno una volta nella vita. Fatelo e non ve ne pentirete. Non fosse altro perché non potete dire di aver visto Woody Allen finché non avete visto Io e Annie, con buona pace dei midnightinpariserz.
Per innamorarsi di Woody Allen: Manhattan (1979)
Titolo: Manhattan
Anno: 1979
Durata: 96′
Interpreti: Woody Allen, Diane Keaton, Michael Murphy, Mariel Hemingway, Meryl Streep, Anne Byrne
«New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata». E poi una carrellata di scorci in bianco e nero di New York, con Rhapsody in Blue di George Gershwin in sottofondo. Inizia così Manhattan (1979). Un opening che è un’opera d’arte.
Protagonista del film è Isaac (Woody Allen), 42enne autore televisivo che vorrebbe scrivere un romanzo – anche in questo caso alter ego di Allen. Isaac ha una relazione con una ragazza molto più giovane, Tracy (Mariel Hemingway, nipote di Ernest), 17 anni e aspirante attrice teatrale. Ad un certo punto però, quando Isaac si accorge che lei si sta innamorando troppo di lui, la lascia e inizia a frequentare Mary, intellettualoide critica letteraria già amante del professore universitario Yale, il miglior amico di Isaac. Intorno a questo quadrilatero Isaac-Tracy-Mary-Yale si sviluppa tutta la trama di Manhattan. Ma ad essere veramente protagonista del film è proprio la città di New York: la pellicola è una struggente dichiarazione d’amore di Woody Allen per la città che non dorme mai – la sua città.
Per molti versi simile (nel mezzo c’è l’interessante esperimento esistenzialista di Interiors, 1978), a cominciare dalla fotografia che in entrambi i casi porta la firma di Gordon Willis, in Manhattan si ritrovano molti dei temi già presenti in Io e Annie, che sono poi i temi classici del woodyallenismo: l’humour, l’intellettualismo, le nevrosi, la psicanalisi, la fragilità delle relazioni. Tuttavia, possiamo azzardare che Manhattan forse è più “difficile”, anche per via della scelta di girare il film in bianco e nero. E che senz’altro, tra tutti i suoi lavori, questo è il più intellettuale. Ma l’essenza di Woody Allen è tutta dentro questo film: New York e gli anni Settanta.
Se non avete mai visto nulla di Allen, probabilmente potrebbe essere un errore cominciare proprio da Manhattan: la visione di questo film dev’essere l’atto finale di un percorso di avvicinamento a quella che abbiamo definito la golden age alleniana. Se ci avete seguiti pedissequamente in questo cammino, Manhattan vi conquisterà. E voi resterete per sempre innamorati di Woody Allen.
Da dove non partire: To Rome with Love (2012)
Titolo: To Rome with Love
Anno: 2012
Durata: 111′
Interpreti: Woody Allen, Roberto Benigni, Penélope Cruz, Alec Baldwin, Judy Davis, Jesse Eisenberg, Greta Gerwig, Ellen Page, Alessandro Tiberi, Alessandra Mastronardi, Antonio Albanese
Se c’è un film da cui non dovete partire per approcciarvi a Woody Allen, quello è senz’altro To Rome with Love del 2012. Osiamo di più: non solo non dovete partire da lì, ma vi consigliamo di evitarne del tutto la visione. Non fatevi ingannare dal fatto che sia stato girato in Italia, a Roma, o dal suo cast importante: Roberto Benigni, Penélope Cruz, Alec Baldwin e lo stesso Woody Allen su tutti, ma anche i «troppo italiani» Alessandro Tiberi (a proposito di Boris…), Alessandra Mastronardi, Antonio Albanese, Edoardo Leo e persino Riccardo Scamarcio e Ornella Muti. Fatevi un favore. Anzi, fate un favore a Woody Allen stesso, al suo genio e alla sua creatività: non guardate To Rome with Love. Risparmierete 111 minuti di cliché.
Per gli intenditori: Crimini e misfatti (1989)
Titolo: Crimini e misfatti (Crimes and Misdemeanors)
Anno: 1989
Durata: 104′
Interpreti: Caroline Aaron, Alan Alda, Woody Allen, Claire Bloom, Mia Farrow, Joanna Gleason, Anjelica Huston, Martin Landau
Se, nonostante il nostro avvertimento, avete commesso l’errore di guardare To Rome with Love e sentite la necessità di riappacificarvi con Woody Allen, potete guardare Crimini e misfatti del 1989. Non vi sveliamo di più, se non che è una chicca per veri intenditori. E che il monologo finale è da brividi. Guardatelo, e poi ringraziateci.
In copertina: Artwork by Madalina Antal
© Riproduzione riservata
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Come entusiata sfegatato di Woody Allen, essere arrivato per caso in questo sito e con curiosità leggere una recensione su Allen, ma accorgersi appena alla seconda riga dell’uso del termine: “approcciarsi”, beh ci sono rimasto male, considerando che la lingua italiana è la più bella del mondo e l’estensore dell’articolo avrebbe con pochissimo sforzo trovato sicuramente qualcosa di più gradevole da usare. Ad maiora
Buongiorno Angelo,
il verbo approcciare non solo è italianissimo, ma è così tanto italianissimo da essere stato usato persino da Dante.
https://www.treccani.it/vocabolario/approcciare/
Saluti