Arrivata su Netflix quasi in sordina, sbancando poi al momento del suo rilascio, Baby Reindeer è la nuova miniserie in 7 episodi disponibile sulla piattaforma streaming dall’11 aprile scorso, e ancora collocata al primo posto dei contenuti più visti della settimana. Ispirata ad una storia realmente accaduta, la miniserie si è trasformata in poco tempo in un vero e proprio fenomeno seriale, dove il successo si è rapidamente mescolato con le polemiche. Di che dimensioni è quindi la sua incredibile portata?
Baby Reindeer, oltre il “semplice’’ true crime
Scritta, interpretata e ideata da Richard Gadd, Baby Reindeer è la storia di Donny, un barista e aspirante comico. La sua vita cambia drasticamente il giorno in cui nel bar in cui lavora arriva Martha (Jessica Gunning), una ragazza all’apparenza normale che si invaghisce di lui, arrivando a mandargli numerose mail al giorno, e convinta di essere in una relazione con lui. Da quel momento Donny diventa vittima di stalking da parte della donna e nulla per lui sarà più come prima. La particolarità di questa serie? La storia raccontata è proprio quella della vita di Richard Gadd.
Baby Reindeer non è una semplice miniserie true crime. Baby Reindeer è una storia reale su un argomento estremamente delicato da raccontare, soprattutto al giorno d’oggi: quello dello stalking. A un mese di distanza dal suo rilascio, la serie ha raggiunto un totale di circa 22 milioni di visualizzazioni globali, catturando l’attenzione del pubblico attraverso un racconto morboso quanto peculiare, perché non segue i normali e consueti canoni di rappresentazione di una storia di questo calibro. Ed è proprio riscontrabile all’interno di questa variabile il vero significato del suo successo.
La vittima e il carnefice. Questi sono i due personaggi principali della serie, ma se normalmente il carnefice è rappresentato solo come la parte cattiva della storia, qua si va oltre a questa mera e semplice rappresentazione. Del carnefice, in questo caso Martha la stalking, vediamo anche la parte più vulnerabile, quella che convince la giovane che quello che sta facendo sia giusto (quando chiaramente non lo è). Tratti notati non solo dallo spettatore, ma anche dalla vittima della storia, ovvero Donny, che prova compassione nei suoi confronti, nonostante tutto.
La collisione con la realtà
Una cosa è certa, nessuno, probabilmente nemmeno lo stesso Richard Gadd, si aspettava l’enorme successo di Baby Reindeer. In una storia però esistono sempre due verità, e cavalcando l’onda dello share, la vera Martha ha deciso di uscire allo scoperto e di dire la sua. Fiona Harvey -questo il vero nome della donna- ha da poco spontaneamente rilasciato una lunga intervista a Piers Morgan, dove spiega la sua versione della storia, sostenendo di essere totalmente innocente e minacciando di denuncia i creatori della serie, tra cui lo stesso Gadd.
Un caos irrimediabilmente amplificato, oltre che dal successo e dall’impatto che la serie ha avuto sul pubblico, soprattutto dagli spettatori stessi che si sono trasformati nella vera parte attiva della vicenda. Sui social ha spopolato una vera e propria caccia alle streghe, con numerosi video di persone comuni che tentavano di far luce, a modo loro, sul terribile fatto, indagando, scovando i reali nomi di coloro rappresentati sul piccolo schermo, accusando e traendo conclusioni di una vicenda di cui noi, è bene ricordare, rimaniamo pur sempre spettatori. Circostanza che ha portato lo stesso Gadd a chiedere privacy e rispetto, sia verso di lui che soprattutto verso le altre persone coinvolte in prima persona.
Baby Reindeer, spettacolarizzazione del dolore o ricerca di compassione?
Tutto questo ha portato i più a porsi numerose domande, tra cui, forse la più comune: per quale motivo abbiamo bisogno di raccontare eventi traumatici di tale portata attraverso mezzi come TV o social? Siamo alla ricerca di compassione o comprensione? Ma soprattutto, ci troviamo davanti ad una spettacolarizzazione del dolore? In un mondo in cui il true crime ha terribilmente influenzato le nostre vite, nel bene e nel male, e molti campi diversi dell’intrattenimento, è sicuramente difficile trovare risposte a queste domande, ma non impossibile.
Analizzando le parole di Gadd, che non manca mai di sottolineare quanto poco sia romanzata la storia raccontata e di quanto sia ancorata alla realtà, si può facilmente intuire che c’è bisogno di raccontare e di far conoscere storie del genere. Il problema risiede nel pubblico stesso e di come questo faccia uso di determinati prodotti di intrattenimento ispirati a storie vere. Il confine, già labile, tra privato e pubblico cessa di esistere proprio nel momento in cui queste storie vengono offerte agli spettatori, e nel momento in cui questi ultimi decidono di padroneggiarle, molto spesso pretendendo di conoscere di più dei protagonisti della vicenda in sé.
Baby Reindeer è l’esempio perfetto di serie sullo stalking atipica perché utilizza e analizza tematiche importanti in maniera differente rispetto ad altre dello stesso genere. La vittima è imperfetta, il carnefice è insicuro, il dolore è allo stesso tempo necessario per trovare il coraggio di parlare e farsi sentire. Richard Gadd con Baby Reindeer non è alla ricerca di compassione e non attua la spettacolarizzazione del suo dolore, bensì se ne libera definitivamente. Una serie dal potere attrattivo elevato che deve essere assolutamente vista, ma soprattutto compresa, non tramite manie di protagonismo dello spettatore, ma tramite l‘immedesimazione.
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