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Angeli, bordelli e altri equivoci: quando la commedia italiana inciampa sul lavoro sessuale

4 minuti di lettura

Diciamolo: ogni due o tre stagioni, la commedia italiana prova a raccontare il lavoro sessuale come se fosse una ga. 

Si entra in sala con buone intenzioni e si esce con la sensazione di aver visto un sermone travestito da barzelletta. Il punto non è scandalizzarsi, ma chiedersi: perché quando si parla di sesso a pagamento finiamo quasi sempre nell’equivoco tra “satira” e “predica”? 

Spoiler: perché è più facile ridere dei personaggi che ridere con loro.

Il prete, il bordello e l’arte di prendersi troppo sul serio

C’è un pattern ricorrente: il protagonista moralmente perbene che eredita, scopre o “si trova in mezzo” a una casa chiusa. 

Dapprima smarrimento, poi tentazione, infine redenzione. Nel mezzo, un po’ di vento tra i capelli, due gag di situazione e quel finale “perbene” che rimette tutto in ordine, come se l’asticella del dibattito non fosse mai stata davvero alzata. 

Il risultato? Un film che parte con un’idea interessante e si perde proprio quando dovrebbe affondare il colpo.

Tra trash e satira: dove si ride meglio?

Attenzione: un’aria trash non è un reato. A volte è pura ossigenazione del genere. Il problema sorge quando il trash diventa scorciatoia e non lente critica. 

La satira funziona se punge poteri e ipocrisie, non se graffia i più fragili. Nel microcosmo della parrocchia cinematografica, tra sacrestani svampiti e fedeli caricaturali, si intravede il film che sarebbe potuto essere: quello che usa il paradosso per farci vedere l’elefante nel salotto, non per nasconderlo dietro il divano.

Lavoro, non favola: personaggi con un mestiere, non con un destino

Un’altra trappola: l’idealizzazione. 

Da sogno erotico a santa la strada è breve, e poco interessante. Più che figure-simbolo, servono professionisti con motivazioni, limiti, routine, prezzi, orari, rischi. Tradotto: persone. Quando accade, anche la questione spinosa della regolamentazione smette di essere uno slogan e diventa materia narrativa. Provate a fare un giro e a chiedere a dei veri sex worker cosa vuol dire alienazione professionale. 

Solo così, all’improvviso, la commedia trova peso specifico: fa ridere e pensare senza alzare la voce.

Critica con guanto di velluto (ma polso fermo)

Un film non deve promuovere nulla, se non la complessità. Parlare di lavoro sessuale al cinema significa chiedere alle narrazioni di essere responsabili, non bigotte. Niente caricature comode, niente colpi di scena pagati coll’umiliazione dei personaggi. Se si parte “frizzanti” e si atterra nel moralismo, è come ordinare un Negroni e ricevere una camomilla: gentile, ma fuori tema.

Piccolo promemoria per sceneggiatori affamati di risate:

  • La gag funziona meglio quando nasce dalla realtà, non dal pregiudizio
  • Il “finale edificante” non è un obbligo contrattuale
  • Se la satira non morde il potere, morde a caso
  • Ridere con è più difficile che ridere di. Ma resta l’unica risata che non scade

Chiusura con applauso leggero

La prossima volta che il cinema italiano decide di entrare in “zona rossa” tra eros, denaro e morale, portiamo con noi due strumenti: ironia che pensa e scrittura che rispetta. Il resto, la risata, l’imbarazzo, perfino la tenerezza, verrà da sé. 

E forse, finalmente, usciremo dalla sala senza chiedere rimborso, ma con una domanda nuova da farci. Che, in fondo, è il motivo per cui andiamo al cinema.

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