Non è mai facile raccontare la grande storia tramite il cinema. I rischi per chi sta dietro la macchina da presa sono tanti e spesso i risultati non soddisfanno le aspettative perché l’arte cinematografica si scontra – inevitabilmente – con il giudizio personale e politico del pubblico in sala o con quelle piccole inesattezze storiche che solo gli addetti ai lavori riescono a cogliere. Se poi ci si gioca la carta dell’ironia, della commedia, del buffo, allora lì le cose si complicano e il rischio è quello di ridimensionare, a volte scimmiottare, avvenimenti epocali degni invece di una riflessione più approfondita.
Si muove su questa rischiosa, tragica ironia a metà strada tra film storico e commedia, Wolfgang Becker regista tedesco classe 1954, che nel 2003 firma una delle pellicole più riuscite del cinema tedesco contemporaneo, Goodbye Lenin!
Ispirata al fenomeno post-riunificazione dell’Ostalgie, il film racconta la storia di una famiglia monogenitoriale negli anni della caduta del muro di Berlino.
Becker rischia tanto, mischia la storia del suo Paese alla finzione cinematografica, ma lo fa con cura e intelligenza: Goodbye Lenin! è un film sulla storia della Germania, ma è anche un film d’amore, di speranza e di rivincita che lascia, fino all’ultima scena, un po’ di amaro in bocca.
A 30 anni dalla caduta del Muro, torniamo a parlare del pluripremiato film che ha lanciato la carriera dell’attore tedesco Daniel Brühl e facciamo un ripasso di storia: perché la fine del mondo bipolare nel 1989 riguarda tutti noi.
«Goodbye Lenin!», la trama
Alexander Kerner è un giovane disilluso e annoiato che vive nella Repubblica Democratica Tedesca: i suoi sogni da bambino, fare il cosmonauta ed essere di ispirazione per la madre, sono svaniti e il giovane passa ora le sue giornate tra un lavoro poco qualificato e qualche birra in centro. Sua madre, Christiane, è una donna di partito: dopo l’abbandono del marito, fuggito nell’ovest alla fine degli anni ’70, Christiane ha sposato la causa socialista ed è divenuta una figura di spicco nel partito locale. Chiude il nucleo familiare Ariane, ragazza madre, studentessa all’università di economia.
La vita della famiglia Kerner è sconvolta la notte del 7 ottobre 1989, in occasione del quarantesimo anno della DDR, quando la madre Christiane assiste ad un pestaggio di alcuni manifestanti (tra cui suo figlio) ad opera della polizia durante una protesta. In quel momento la donna viene colpita da un infarto ed entra in coma.
Leggi anche:
«Il cielo sopra Berlino», quando il bambino era un angelo
Mentre la donna cade in un coma profondo di circa 8 mesi la storia della Repubblica Democratica Tedesca prende con estrema rapidità una piega drammatica: il Muro cade a colpi di picconate spazzando via in modo brutale quarant’anni di socialismo, mentre le due Germanie si avviano a passo spedito verso la riunificazione. Dopo il risveglio della madre, Alexander, spaventato dalle conseguenze traumatiche che potrebbe avere sulla psiche di Christiane il “nuovo mondo”, decide di far vivere la normalità della DDR all’interno di una stanza del proprio appartamento, recuperando cimeli, prodotti e giornali della Germania Est, realizzando improbabili ma credibili servizi televisivi pro DDR, fino a coinvolgere sempre più amici e vicini a partecipare a quel lungo, ma tenero, inganno.
Citazioni colte e buona musica: un film che funziona
È una trama che funziona quella di Goodbye Lenin! perché c’è un po’ tutto quello che lo spettatore vuole vedere sullo schermo: si ride, si piange, ci si innamora, ci si fa trasportare dalla musica (quella di Yann Tiersen, che aveva già firmato la colonna sonora del fortunato Il favoloso mondo di Amelie), si ripercorre la storia in modo leggero senza lasciar spazio alla noia.
I momenti di transizione verso la Germania unificata sono raccontati da Becker in modo abbastanza fedele, anche grazie all’uso di filmati storici. Famosissimi, a questo proposito, quelli della caduta del muro (9 novembre 1989), ma molto efficaci anche quelli dei mondiali di calcio di Italia90 e dei successivi festeggiamenti a Berlino dopo la vittoria della Germania.
Nel film spazio anche per le citazioni colte, da quelle volutamente esplicitate per Stanley Kubrick (scena del video del matrimonio, imitazione della scimmia sul tetto, scelta del nome Alex, fast motion dell’organizzazione della stanza), fino alle più nascoste, come il riferimento felliniano a La Dolce Vita nella scena dell’incontro ravvicinato tra Christiane e la statua di Lenin.
Un film di amore e protesta
Se si sa guardare, c’è tanto amore nella pellicola di Becker. È un amore dolce, tenero, affettuoso che mette al centro la dignità umana. La dignità fragile e confusa di Christiane tanto difesa dai figli, è lo specchio di quella contrariamente non concessa alla Repubblica Democratica Tedesca, umiliata e cancellata dalla storia in modo brutale nel giro di un mese. Alex, nelle stanze malconce di una Berlino pronta a svoltare, realizza il sogno della madre e costruisce a colpi di filmati una seconda DDR, una creatura giovane, aperta, inclusiva, fondata sul miglior socialismo possibile. La Repubblica di Alex è la fine dignitosa, eppure negata, alla Germania Est, oggi solo un ricordo sfuocato e lontano.
«Non è il sogno di un visionario, ma un preciso progetto politico», si sente dire nelle scene finali del film in modo emblematico e intenso, quasi fosse un’eco che dà senso ai tanti piccoli dettagli inseriti con cura nella pellicola. Becker critica con ironia e amaro sarcasmo l’arrivo del mondo occidentale, dominato dal profitto, dall’arrivismo spietato, dalla brutalità dei sentimenti. E lo fa con gli occhi di Alex, che tra difficoltà, affetto e ostinazione difende romanticamente una cosa preziosa, degna di essere preservata: la tenerezza.