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Il giardino delle delizie, il film di Majewski ambientato a Venezia

Una storia di morte e amore in un film da discutere

9 minuti di lettura

Lech Majewski è ancora un nome troppo poco noto al grande pubblico. Regista di soli cinque lungometraggi, è anche autore di diversi romanzi. La sua produzione letteraria non è ancora stata pubblicata in Italia, mentre alcuni suoi lavori cinematografici hanno visto la proiezione in sala e la diffusione in dvd. In particolare, si ricorda il cofanetto contenente Il giardino delle delizie, I colori della passione e Onirica.

Cresciuto in Polonia, Majewski studia all’Accademia di Belle Arti di Varsavia per poi emigrare nei paesi anglofoni a seguito della sua contrarietà al regime comunista. Seguono anni di produzione artistica, spaziando in vari ambiti. In particolare, Majewski ha un rapporto privilegiato con l’Italia, in quanto alcuni suoi parenti vivevano proprio a Venezia ed ha avuto la possibilità fin da bambino di innamorarsi dei paesaggi della laguna.

Ed è proprio a Venezia che è ambientato il suo secondo lungometraggio, il giardino delle delizie. Siamo di fronte a un lavoro particolarmente intimo, costruito con una cura tale da poter essere quasi definita artigianale. Majewski ha un grandissimo e spiccato senso estetico che conferisce ad ogni suo lavoro un’aura personalissima ed affascinante.

Il giardino delle delizie, una storia d’amore e morte

Il giardino delle delizie

Tratto dal suo romanzo Metaphysics, Il giardino delle delizie è prima di tutto la storia d’amore tra Chris e Claudia, che soggiornano a Venezia. Chris è un ingegnere, mentre Claudia è una storica dell’arte appassionata di Bosch – l’autore, appunto, del trittico Il giardino delle delizie. Alcuni penseranno che si tratta dell’esasperato rapporto tra ragione e sentimento: lui un metodico ingegnere e lei un’appassionata d’arte. Una sorta di Dharma & Greg con tanto di regista polacco. Invece, Chris non è poi tanto razionale, visto che ha la fissazione di filmare tutta la sua vita con una “videocamera da turisti” (o forse è proprio questa l’esasperazione del “tenere tutto sotto controllo”?), mentre Claudia è sì un’appassionata d’arte, ma tenacemente indipendente e fermamente convinta di quello in cui crede.

Lontanissimo dalla commedia, Il giardino delle delizie, dopo l’essere una storia d’amore, è il lento e inesorabile cammino verso la morte. Sì, perché Claudia è malata di cancro alla gola e questo non è di certo uno spoiler: infatti conosciamo Chris che immerso nella solitudine filma la sua vita stando davanti a libri di ingegneria, videocassette e a un televisore provvisto di videoregistratore. Inoltre, tiene accanto a sé la foto di una donna – Claudia – che subito dopo appare sullo schermo. Ora, potremmo pensare che Claudia o è morta oppure l’ha lasciato; ma Claudia porta un foulard bianco intorno alla gola (forse solo per moda?) e a un certo punto tossisce. Ecco, in generale, in un film del genere soprattutto, quando qualcuno tossisce, così all’improvviso, è perché sta proprio male. Così, quel leggero colpo di tosse, andando avanti con la pellicola – o meglio con la videocassetta – peggiora, fino a quando Claudia, dando un bacio alla telecamera, sputa una discreta dose di sangue.

Il vero paradiso è in terra

Il giardino delle delizie

Ma perché Il giardino delle delizie? Come anticipato, il titolo si riferisce al trittico ad opera di Hieronymus Bosch, e Claudia – oltre a essere un’esperta d’arte – è anche una studiosa di questo pittore. La donna sa perfettamente di avere vita breve e il suo sogno, troppe volte rimandato o rifiutato dai produttori, è quello di girare un documentario sull’opera più conosciuta del Maestro. Questo può essere possibile anche grazie a Chris e la sua videocamera. Nel film, ogni tanto – ma non in maniera pedante –, si vede Claudia che descrive qualche dettaglio del trittico, come se fosse il girato del documentario. Lo spettatore più critico potrebbe lamentare la totale ingenuità dei due: quale emittente comprerebbe un documentario girato con una videocamera in maniera così improvvisata? È vero, il tutto sembra molto inverosimile, a tratti ingenuo, e lo spettatore è più volte spinto a credere che i due (tre se prendiamo il registra) stiano nascondendo qualcosa. Eppure, non è così strano: si percepisce fin da subito che quel documentario non andrà mai a buon fine e i due stanno solo passando del tempo, con la vaghissima speranza di ultimare un lavoro.

Così il progetto del documentario, anche se onnipresente, viene gradualmente abbandonato per far posto all’elemento tipico del film: rappresentare alcune scene del trittico, come se fossimo davanti a un quadro umano. Lei disegna sulle natiche di lui un pentagramma, lui tenta di tenere in equilibrio sulla testa un uovo, lei tiene un rospo sul petto ecc. Questo modello viene adottato, anche se in maniera ancora più totalizzante, ne I colori della passione con riferimento alla Salita al calvario di Pieter Bruegel il Vecchio.

Tornando a Il giardino delle delizie, potremmo dire che Dharma ha preso definitivamente il sopravvento su Greg e Greg sta al gioco, perché non si è mai sentito così spensierato e felice: d’altronde, i due passano la maggior parte del tempo nell’intimità in un’allegria sincera, non sprovvista però di una certa tensione.

In un certo senso, anche se con un linguaggio cinematografico a tratti stressato, Majewski vuole dirci che il vero paradiso è in terra, non sapendo quello che accadrà dopo la morte. Proprio da questa semplice constatazione – ma sempre più opprimente – nascono tuttavia le note più amare e toccanti dell’intera opera: Claudia si avvicina alla morte e Venezia diventa uno scenario ideale (non poteva mancare la tappa dei due nel cimitero di San Michele). Lei continua a interrogarsi su tutto e non sa darsi una risposta. Questo la porta a uno stato d’animo bipolare: a volte ha violente crisi di pianto – bellissima la scena della vasca da bagno –, a volte, invece, allegra gira per casa totalmente assorbita dal suo amore per Bosch. Chris asseconda il desiderio di Claudia e persino in ospedale, a seguito del ricovero di lei, filma la sua attesa. Però, anche quando Chris guarda le videocassette non riesce a vedere per intero la scena in cui il dottore annuncia la morte della sua amata.

Il giardino delle delizie è un film discutibile e non poteva essere altrimenti. Ci sono scene incantevoli che trasportano lo spettatore nel mondo di Chris e Claudia (e inevitabilmente di Lech e Hieronymus), ma a volte, compiacendosi nella propria particolarità, si perde il vero obiettivo del film: la narrazione di una storia d’amore e morte. Majewski è consapevole del proprio talento ed è conscio di aver creato una storia pregevole, ma questa consapevolezza – a tratti – rischia di diventare puro esercizio di stile. Rimane comunque un’opera capace di incantare, dotata di una forza lirica rara che trova un suo sfondo ideale fra le calli più o meno conosciute di Venezia.

Articolo di Lorenzo Gafforini


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