Adolescence è una serie tv asciutta, cruda, reale. La cui essenzialità è in primo luogo ricreata dagli interminabili piani sequenza che caratterizzano ogni singola puntata, quasi una sfida registica per riportare la storia e le interpretazioni degli attori a un livello quasi teatrale. La soundtrack di Adolescence è opera di Aaron May e David Ridley, un duo di giovani musicisti e compositori per teatro e cinema incontratisi all’Università di Bristol, dove hanno studiato composizione musicale. Entrambi hanno come background la musica classica contemporanea ed elettroacustica, e si basano principalmente sulle composizioni di Aaron e sulle doti di polistrumentista di David, che suona il pianoforte, il violino, la viola e ama cantare.
Non era facile creare una colonna sonora funzionale per Adolescence ma May e Ridley ci riescono con un focus ben chiaro: oltre agli inevitabili utilizzi di elettronica ambientale (Chasing Ryan, Playground Fight) o di vera e propria ambient fatta con classici pad di sintetizzatori effettati in large hall (Cup of Tea), quello su cui gli autori hanno scommesso è l’uso della voce come strumento.
Sia dall’iniziale Adolescence fino alla bellissima cover di Fragile di Sting (su cui torneremo più avanti) la volontà è quella di affiancare a una serie parlata (nel senso di molto “recitata”) un altrettanto parco musicale basato sulla voce. E con un’idea concettuale molto forte: la voce nella maggior parte dei brani è proprio dell’attrice (Emilia Holliday) che nella serie interpreta la vittima, quasi a dare presenza fisica a un personaggio che è evanescente in tutta la serie, che aleggia pur essendo la protagonista (involontaria) del racconto.
Su tutti i brani spiccano come “canzoni autonome” Jamie In The Van, con un intenso crescendo finale, e soprattutto la cover di Fragile di Sting. Per questa performance costituita da un toccante coro a cappella di voci bianche May e Ridley hanno usato gli stessi ragazzi della scuola che hanno fatto da comparsa nella serie, circa 35 bambini, per due giorni di incisione (tutto il lavoro è ben spiegato in quest’intervista su GQ).
La resa è strepitosa nella sua innocenza e quasi imperfezione, si può intuire che non trattasi di professionisti, ma non c’entra: qui ci sono attori in erba che già sono stati pienamente all’interno della storia da attori, viste le innumerevoli prove per fare tutti i piani sequenza, e che davvero “sentono” quello che cantano. La voce di Emilia Holliday poi, termina, fragile e incerta, la canzone, in un silenzio assordante.
In molti hanno sottolineato che forse ci eravamo dimenticati della bellezza della canzone di Sting, quella di cui lui era molto fiero per aver suonato la chitarra (una rivincita su Andy Summers?), che aveva perso il significato primigenio per diventare una canzone per i deboli, dedicata ai sopravvissuti della guerra in Bosnia così come a quelli dell’11 settembre, qui ridotta all’osso, scarnificata, per rendere ancora più potente il significato del testo. Un po’ il lavoro che fece Gary Jules con la cover di Mad World per la colonna sonora di Donnie Darko.
Un’emozione toccante che fa il contraltare a quella Take On Me degli A-ha ascoltata così, di sfuggita (in originale), dalla radio nel van, nell’ultimo episodio, come rappresentazione di un momento (fugace) di serenità in una vita fatta di schizofrenia. Di adulti e ragazzi.
Articolo di Paolo Bardelli
Questo articolo appartiene alla rubrica Thousand Lives By Picture che nasce dalla nuova collaborazione tra NPC Magazine e Kalporz.
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