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Natale Cult: 4 film all’insegna della tradizione

7 minuti di lettura

Natale è sinonimo di cioccolata calda, addobbi festivi e una morbida coperta dove rintanarsi dalle fredde giornate invernali. Cose c’è di meglio, dunque, che abbandonarsi davanti a classici film di Natale. In chiusura di un anno particolarmente burrascoso, il cinema offre ancora una volta al suo spettatore un rifugio consolatorio. Più generi diversi si affacciano così su una ricca programmazione, di cui però vi offriamo un assaggio con quattro cult del genere.

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Non li troverete sulle tradizionali piattaforme streaming, ma è proprio questa la loro peculiarità. Riportare alla memoria chicche cinematografiche che hanno accompagnato il Natale negli anni, forgiando una tradizione sullo schermo. Allora non vi resta che rilassarvi sul divano, sulla poltrona o sul letto e, come il buon lettore di Italo Calvino in Se Una Notte D’Inverno Un Viaggiatore, trovare la posizione più comoda per godervi un Natale all’insegna della tradizione.

«Elf – Un Elfo Di Nome Buddy» (2003)

Da dove arrivano gli Elfi? Forse non lo sapremo mai. Ma per un piccolo orfano di città, Buddy, la sacca di Babbo Natale è l’occasione per essere portato involontariamente in un mondo fatato. E, tra giocattoli, dolci e completini rossi e verdi, Buddy cresce come un elfo, con la consapevolezza però di appartenere a un’altra realtà.  Ormai adulto e nei panni dell’iconico Will Ferrell, il non-elfo si ritrova quindi nella frenetica New York sotto le feste, alla ricerca di suo padre. Così, con un tocco comico e irriverente sullo sfondo di una storia d’amore, Elf incornicia la magia del Natale nello spirito affettivo. Con la consapevolezza che il più bel regalo per un bambino non può essere costruito dalla magia di un elfo, ma dall’amore dei propri cari. 

«Parenti Serpenti» (1992)

Quattro fratelli, con le rispettive famiglie, si ritrovano nella casa paterna per le festività natalizie. Il classico succedersi di abitudini, tra preparazioni culinarie, discorsi segreti tra sorelle, giochi intorno al tavolo, viene interrotto dall’annuncio della nonna di voler andare a vivere con il marito a casa di uno dei figli, non importa quale, che siano loro a scegliere. Il silenzio cala sulla tavola imbandita. Da ritratto di una tipica famiglia italiana, Parenti Serpenti diventa rappresentazione satirica e dissacrante della piccola Italia, rivelazione dello sporco nascosto sotto il tappetto, mostra dell’ipocrisia che si cela in ogni famiglia, disvelamento delle menzogne e delle falsità che governano i rapporti anche, e soprattutto, tra parenti. Realizzato da Mario Monicelli nel 1992, il film appare ancora attuale nel disegno delle grettezze piccolo borghesi e delle conseguenti dinamiche famigliari.

In occasione del Natale 2020, riguardare Parenti Serpenti farà forse rimpiangere meno il mancato cenone o il pranzo interminabile con la zia, e, forse, farà sorridere in maniera amara della nostra italianità, dei nostri comportamenti macchiettistici.

«Vacanze di Natale» (1983)

La prima volta non si scorda mai. Antesignano della lunga tradizione dei Cine-Panettoni. Ambientato a Cortina D’Ampezzo, la località più di moda per le vacanze natalizie. Famiglie ricche, famiglie meno ricche e indebitate per concedersi un momento VIP, si ritrovano, nella perla delle Dolomiti, a vivere disavventure e tradimenti. In questo primo film di Natale della serie, il canovaccio porta alla messa a nudo dell’italiano medio, ricco o piccolo borghese. I momenti di ilarità non mancano, con Jerry Calà e Christian De Sica particolarmente ispirati. Le repliche commerciali degli anni successivi divoreranno l’intento positivo di questo pionieristico lavoro, specchio di un’Italia che a Natale esprimeva il meglio/peggio di sé.

«Incontriamoci a St. Louis» (1944)

Natale

Ai margini dell’intrattenimento natalizio, stretta fra i drammi della guerra e l’oblio del post-conflitto, Meet Me in St. Louis è un’opera cardine del genere musical, perfetta sintesi dell’estro creativo di Vincente Minnelli. Ispirandosi ai racconti di Sally Benson, il regista lavora su un immaginario “fluido”, a tratti puntellato da codici identificativi: gli Smith – cognome tipo dell’America wasp – sono in procinto di lasciare il Missouri per trasferirsi a New York. È il mito del paese in costruzione, di un pionierismo endemico e retto. La nostalgia di Esther (Judy Garland), il dispiacere per un amore sfiorato, si sommano al desiderio di un Natale comune – l’ultimo lontano dal tran tran cittadino. Tutto, nell’opera di Minnelli, rivela un trasporto verso il “mito”: quello americano, sociale, e quello più vivo, interno allo stesso cinema. In quest’ottica, l’interpretazione di Garland si carica di simboli potentissimi, volti a “colonizzare” il racconto di Natale: dalla rendition di Have Yourself a Merry Little Christmas, al rapporto d’affetto con la piccola Margaret O’Brien, futura Beth del Piccole donne di Mervyn LeRoy. Ne viene fuori un gioiello impareggiabile, a cavallo fra l’oleografia impressionista e le atmosfere alla Rockwell.

Articolo di: Stefano Sogne, Ginevra Amadio, Chiara Cazzaniga, Francesca Brioschi.


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