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Pinocchio, c’era una volta Matteo Garrone

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6 minuti di lettura

“C’era una volta un pezzo di legno” direbbe chiunque abbia in mente, anche un minimo, la storia scritta da Collodi…e invece no, o meglio, quasi. Matteo Garrone, a distanza di un solo anno dal meraviglioso Dogman, torna al cinema con il racconto italiano più amato (all’estero) di sempre, Pinocchio.

Pinocchio è candidato agli Oscar 2021 per il miglior trucco e i miglior costumi.

Un inizio convincente

Pinocchio

Dopo la comparsa del titolo, sotto forma di una possente incisione capace di imprimere nella memoria la natura classica dell’opera di partenza, una leggera ed evanescente dissolvenza ci trasporta, come in un sogno, al di sopra di un paesaggio montano sul quale possiamo scorgere una manciata di casupole che sembrano appartenere all’Italia preunitaria del romanzo di Carlo Lorenzini, detto Collodi. Il rumore sordo di un martello rompe il silenzio, un suono talmente riconoscibile che invita lo spettatore a ricostruire la scena successiva, ma a mostrarsi è un’immagine del tutto inaspettata: Geppetto, interpretato da Roberto Benigni, con l’aiuto degli immancabili strumenti del mestiere, sta scavando, raschiando, riducendo, distruggendo una grossa crosta di formaggio, alla ricerca di una misera briciola che sia più commestibile d’un briciolo di segatura.

Pinocchio di Garrone

Pinocchio di Matteo Garrone si presenta fin da subito come una fiaba cinematografica in grado di conferire nuova linfa vitale ad un classico, proponendo un nuovo traguardo estetico e tecnico per il cinema fantastico italiano. Le nuove avventure filmiche del “discoletto” di legno tornano sullo schermo grazie ad una sceneggiatura, a tratti eccessivamente didascalica, firmata dallo stesso Matteo Garrone assieme all’amico Massimo Ceccherini, già autore di una versione teatrale del 2009. Quest’ultimo, oltre a fornire un buon contributo ironico alla sceneggiatura, presta la voce e le fattezze ad uno dei personaggi iconici del romanzo: la Volpe, ovviamente affiancata dall’immancabile Gatto, qui in versione Rocco Papaleo.

Matteo Garrone, da sapiente “burattinaio”, unisce un cast d’eccezione completamente azzeccato: dal sopracitato Roberto Benigni al Pinocchio di Federico Ielapi, Marine Vacth come Fata Turchina, Gigi Proietti nei panni di Mangiafoco e Davide Marotta in un Grillo Parlante un po’ troppo freak.

Garrone attraverso Pinocchio

Pinocchio di Garrone

La sublime fotografia, curata per la seconda volta (dopo Dogman) dal danese Nicolaj Brüel, attinge, anzi, “spizzica” dai quadri Macchiaioli di metà Ottocento e sprofonda piacevolmente in una dimensione pittorica dove ogni elemento delle scenografie di Dimitri Capuani sembra evadere tridimensionalmente dallo schermo come se fosse stato intagliato nel legno.

Le musiche di Dario Marianelli accompagnano il pinocchietto vagante lungo il suo cammino con una melodia calda e rassicurante, a volte spaesante, strizzando l’occhio a Fiorenzo Carpi, autore dell’indimenticabile colonna sonora dello sceneggiato televisivo diretto da Luigi Comencini del 1972.

Il trucco, parte della magia di Pinocchio

Pinocchio di Garrone

Il trucco di Mark Coulier è forse l’aspetto più interessante dell’intera pellicola: un effetto inevitabilmente rétro ma efficace, che gli permette di osservare dall’alto quella manciata di scene in CGI ben realizzate ma destinate al dimenticatoio a causa di un’eccessiva ricerca dell’effetto wow.

Ma veniamo alla vera e propria “creazione”: Pinocchio non è un automa di legno come quello che fu nella già citata miniserie del ’72, né un’animazione in CGI, bensì un trucco realizzato con maschere prostetiche applicate sul corpo di Ielapi. Queste protesi non vengono nascoste dal regista con un ulteriore make up digitale, anzi, esse enfatizzano l’andatura goffa, la voce nasale e la pronuncia “biascicata” tipica dei bambini: caratteristiche che lasciano già intendere l’aspetto simbolico della carne racchiusa nel legno.

Pinocchio, la sfida

Pinocchio di Garrone

Matteo Garrone è uno dei registi più conosciuti ed influenti del Cinema italiano contemporaneo ed è proprio grazie ad opere apparentemente semplici come questa che è possibile percepire lo sguardo profondo e personale dell’autore.

Pinocchio è sicuramente un prodotto imperfetto, destinato a crescere nel tempo. Un film esteticamente eccelso ma narrativamente superato che conserva timidamente al suo interno momenti di grande cinema: come il suo Paese dei Balocchi che ricorda un freddo campo di lavoro, tanto grande quanto privo di elementi stupefacenti, colorati o meravigliosi, in cui l’unico divertimento possibile è frutto dell’immaginazione dei bambini (chiamati dal proprietario “amorini”, ricorda qualcosa?), ignari della loro dolorosa sorte.

Il Pinocchio di Garrone è un film per tutti?

Pinocchio di Garrone

Il film gode di una regia genuina e consapevole che restituisce lo stupore necessario per mantenere ancora vivo quel ciocco di legno che dal lontano 2002, data di uscita del Pinocchio firmato Benigni, sembrava essersi irrigidito, presentando agli occhi delle nuove generazioni uno degli adattamenti più vicini alla versione di Collodi.

Purtroppo, seppur Pinocchio riesca a convincere anche gli appassionati, reduci dalle visioni delle passate trasposizioni cinematografiche e vogliosi di qualcosa di nuovo, il film di Matteo Garrone trasmette un incredibile sforzo ma lascia sbadatamente trapelare anche il senso decadente di un immaginario lontano che potrebbe non avere più nulla da dare. [aggiornato il 02/04/2021]


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