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Prospettiva Olmi

Prospettiva Olmi, come ricomporre la realtà

L'occasione per omaggiare e (ri)scoprire uno dei più importanti registi italiani

7 minuti di lettura

Inaugurato all’interno della 41esima edizione del Bergamo Film Meeting, il progetto “Cinema al cuore” si compone di un ricchissimo programma. L’iniziativa è organizzata da FIC – Federazione Italiana Cineforum, in occasione di Bergamo-Brescia Capitale della Cultura 2023. Il progetto si è aperto con “Prospettiva Olmi”, una retrospettiva itinerante dedicata al grande regista (e non solo) bergamasco Ermanno Olmi. In omaggio al maestro, diverse proiezioni e incontri speciali che proseguiranno nei prossimi mesi su tutto il territorio bresciano.

Ipotesi Cinema, la non scuola

Olmi

Il primo appuntamento della prospettiva è stato caratterizzato dall’intervento del regista e sceneggiatore Giorgio Diritti, già vincitore di Bergamo Film Meeting nel 2006 con Il vento fa il suo giro. Nel 1992, Diritti firma il suo esordio alla regia con un mediometraggio per la TV, Quasi un anno, prodotto da Ipotesi Cinema, la scuola-laboratorio fondata a Bassano del Grappa dieci anni prima da Ermanno Olmi e Paolo Valmarana. Recuperato e trasmesso per l’occasione, l’autore commenta così il ricordo di quegli anni:

Ermanno diceva che Ipotesi Cinema era una non scuola. L’obiettivo era il desiderio di trovare un senso alle cose. Il desiderio di osservare la realtà, l’uomo, di ascoltarlo e sulla base di questo di scoprire cosa poteva essere utile per il presente e per le generazioni future. Era un’opportunità legata ad un luogo”.

L’interazione con il territorio, pilastro della cinematografia olmiana, è il punto di partenza per tutti i non-studenti di Ipotesi Cinema, allora uno dei pochissimi istituti scolastici cinematografici italiani. Secondo Olmi, infatti, la componente documentaristica all’interno di un girato diventa essenziale al fine di recepire e trasmettere al meglio sensazioni ed emozioni. “Il cineasta è un comunicatore” affermava, e il suo insegnamento mirava a formare i giovani apprendisti in promotori di una realtà autentica e semplice “che è il massimo livello di qualità”.

Ci si vedeva a Bassano nei weekend lunghi, persone provenienti da diversi posti d’Italia avevano la possibilità di pernottare lì. Il punto cardine era la cucina: una dimensione di familiarità, di condivisione che passava attraverso il cibo, le storie, la vita. Era uno specchio fra noi e muoveva dimensioni di progetti, come lo è stato la nascita del film “Quasi un anno” del resto. C’era l’occasione di trovare affinità e di coltivarle.”

Dalle parole di Diritti si evince come l’incontro, la condivisione, la quotidianità di quel “luogo-opportunità” costituivano una risorsa indispensabile per stimolare i pensieri e la creatività, per trasformare storie portate da ciascuna regione in dinamiche e azioni da riprodurre su pellicola: “Parte del canovaccio del film, che era aperto e stringato si è arricchito delle cose che incontravamo nella vita, e questo ha dato un grande senso di verità nel lavoro che traspare vivamente dallo schermo”.

L’Olmi “recuperato”

Olmi

Territorio e incontro, natura e umanità: temi apparentemente facili che la profonda sensibilità di Olmi ricompone in una realtà intima e veritiera, in una cornice di bellezza e semplicità che permette di comprendere meglio il valore della vita. Passaggi delicati e concetti di cinema d’autore che grazie a FIC vengono restituiti al grande schermo.

Particolarmente appropriate in quest’ottica risultano le panoramiche riprese dell’Altipiano di Asiago, con le sue imponenti cime silenziose portatrici di testimonianza, dolore e miseria post-bellica in cui è ambientata la vicenda de “I recuperanti” (1970). Olmi immortala spazi vasti e dispersivi, perfettamente allineati con la disperazione che pervade gli animi degli amanti protagonisti, Gianni ed Elsa. Stessi luoghi di memoria e di appartenenza che si rispecchiano anche nella malinconia e nell’irresponsabilità del vecchio recuperante, Du.

Fatevi innamorare” sempre

Olmi

Diritti, in conclusione, descrive come per lui tutt’oggi fare un film significhi fare un viaggio: da una parte l’essenzialità della scoperta di un luogo, dell’attrazione verso lo stesso al fine di stabilirvi un rapporto unico; dall’altra l’importanza dei compagni di avventura, curiosi e convinti, spesso portatori di aneddoti e genuinità.

Sono molto affezionato a quel lavoro perché fonde un esperienzialità che è diventata una caratteristica di quello che è oggi il mio cinema. Quel film racconta tanto di quello che era Ipotesi cinema, del suo mondo, dei territori, dei luoghi, e anche delle persone coinvolte che vi facevano parte, la storia era davvero successa a qualcuno lì. Era un sistema produttivo che non si basava su molte risorse ma sulla dinamica di trovare persone che erano disposte ad entrare non solo in coopartecipazione, ma soprattutto in coesione e condivisione dell’intero progetto”.

Tutti elementi legati indissolubilmente anche agli insegnamenti di Olmi, divenuti poi parte della base fondante di una determinata filosofia di cinema, della marca autoriale del regista stesso: “Le decisioni le lego molto ad una dimensione emotiva, quasi un innamoramento. Innamoratevi di quello che dovete raccontare o fatevi innamorare di quello che incontrate. Questo è il segreto prezioso che mi ha dato Ermanno. E forse non è chissà cosa ma ha guidato da sempre le mie scelte”.


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