È nota a chiunque la passione del maestro newyorkese per il gruppo britannico, così come la sua voglia quasi irrefrenabile di inserire una loro traccia in quasi ogni film. Lo si potrebbe definire ormai un marchio di fabbrica. In molti sicuramente si saranno chiesti dove sia nato il suo interesse per la componente musicale pop di un film e come questa sia diventata parte integrante di una cifra stilistica sempre più riconoscibile. Seguiteci in questo articolo e reggetevi forte perché sarà un bel “Jump Back“.
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Partiamo dal “Vinile”
Erano gli anni Sessanta quando un giovane Martin Scorsese, abbandonato il Queens e la deludente Little Italy, decise di coronare la sua vera “vocazione” presso la NYU film school. Erano gli anni in cui la band britannica, già reduce del loro primo EP intitolato “The Rolling Stones”, cominciava a farsi strada verso il successo internazionale grazie al nuovo album in studio Aftermath, un album che rinnovò completamente le loro radici inglesi all’insegna di tonalità dark dal richiamo sempre più americano (ad esempio l’apocalittica Paint It Black), accompagnando la nascente rivoluzione musicale verso le incontenibili contestazioni rivolte alla guerra del Vietnam. Furono anni decisivi per tutti gli artisti che vivevano la vita all’interno della “Grande Mela”, spesso avvistati bazzicare la East 47th, dove da poco era sorta la promettente e provocatoria The Factory: inventata dal genio avanguardista, nonché padre della Pop art americana, Andy Warhol.
Ricordiamo che Warhol fu la mente dietro ad una delle formazioni musicali più innovative ed importanti del panorama rock degli anni ’60/’70: i The Velvet Underground & Nico…quindi di musica ne capiva. Il regista sperimentale fu uno dei primi a sfruttare ed unire il cinema moderno e la musica contemporanea, sempre con il giusto pizzico di follia ed una buona dose di sfrontatezza. La Factory era nata come esperimento per un laboratorio creativo, atto ad introdurre chiunque allo psichedelico mondo dell’artista. Diciamo che quest’ultimo non si è mai distinto tra i registi più influenti del secolo, bensì come visionario talento anti cinematografico. I suoi prodotti, comprese le pellicole proiettate a New York, sguazzavano perennemente nella follia prodotta dagli effetti allucinogeni delle anfetamine e le “scenografie” serigrafiche della Factory.
Veniamo al dunque: La parola Vinyl dovrebbe riportare alla memoria, non solo l’omonima serie televisiva sulla musica degli anni Settanta (il cui episodio Pilota fu diretto dallo stesso Scorsese) che ha come sfondo proprio la Factory di Warhol, ma anche il titolo di un film (dal significato sconosciuto) firmato da quest’ultimo. Vinyl è una pellicola del 1965 (Auricon 16mm, bianco e nero), diretta e prodotta da Andy Warhol, interpretata dall’immancabile superstar Edie Sedgwick. Fu il primo film a rileggere, in chiave totalmente anti filmica e cupa, il romanzo del 1962 scritto da Anthony Burgess, dal quale venne tratta un’ulteriore versione più famosa: ovviamente l’omonimo capolavoro distopico di Stanley Kubrick, Arancia Meccanica. Ma torniamo a noi…il film di Warhol, oltre ad adottare una visione completamente straniante ma allo stesso tempo vicina al modello di Burgess, rivela un interessante uso della musica, più precisamente di quella rock in voga in quegli stessi anni, potremmo dire “Pop“: dai The Kinks…ai The Rolling Stones, con la famosa The Last Time, uscita sotto forma di singolo nello stesso anno, ancor più conosciuto è il suo arrangiamento orchestrale curato dalla The Andrew Oldham Orchestra.
I Rolling Stones di “Sticky Fingers”
Passarono sei anni da quando Mick Jagger (che già da qualche tempo frequentava la Factory) incontrò Andy Warhol dopo un concerto degli Stones e, dopo una lunga lettera inviata dal frontman della band al pittore statunitense nel 1969, iniziò la loro prima collaborazione. Mick chiese quindi ad Andy di progettare la cover del loro ultimo album in studio, proponendogli qualche spunto attraverso alcune foto di backstage ma lasciandogli ovviamente carta bianca. Nacque così l’irriverente copertina di una pietra miliare del rock anni Settanta, Sticky Fingers (1971)…con tanto di zip scorrevole.
Lo scoppiettante duo Jagger/Richards e le “strimpellate” della band scalarono rapidamente le classifiche, riscuotendo grande successo tra le maggiori stazioni radiofoniche grazie ad alcune tracce indimenticabili contenute nel nuovo album: dal riff geniale di Brown Sugar (traccia di apertura) alla struggente Dead Flowers…qualcuno ha detto Lebowski? Con l’avanzare degli anni e le sue varie sperimentazioni, la musica si rivelò uno strumento assai potente, in grado di smuovere le masse verso correnti spesso politiche. Molto più potente del cinema, che in quegli anni stava pian piano covando una nuova ondata di registi pronti a farsi avanti in quella che tutt’ora conosciamo come Nuova Hollywood, che ancora adesso riesce a fungere da chiave di lettura per il nuovo cinema e quello che fu.
Il primo Scorsese e la musica popolare
A due anni dal successo di quelle “dita appiccicose” dei Rolling Stones ed una una breve carriera presso la factory di Roger Corman (America 1929 – Sterminateli senza pietà), il trentenne Martin Scorsese diresse e scrisse assieme all’amico Mardik Martin (conosciuto presso la stessa NYU, scomparso l’11 settembre dello scorso anno) Mean Streets: film cardine della sua grandiosa filmografia che non finisce mai di stupire. Mean Streets non è solamente un attento spaccato della tragica e peccaminosa vita suburbana newyorkese, ma è soprattutto una dichiarazione autobiografica (più o meno esplicita) del regista americano.
Una delle scene più conosciute (più pop) è quella in cui viene introdotto il personaggio di Johnny Boy, interpretato da un giovane Robert De Niro: all’interno di un nightclub è distribuita una travolgente luce rossa, a completare la scena è l’inizio di Jumpin’ Jack Flash che, con il suo ritmo calzante ed euforico, accompagna l’entrata in scena di Johnny…solo dopo essersi tirato su la zip che era rimasta aperta da Sticky Fingers. La musica di una delle band più popolari del momento è il collante perfetto, riesce a dare continuità ad un montaggio che alterna sequenze in slow motion a lenti movimenti di camera su personaggi chiassosi, il tutto uniformemente legato dal contrasto sonoro degli Stones. In questo suo primo dramma metropolitano di stampo autoriale, Scorsese ha sperimentato una tecnica originale per unire la musica pop rock del suo tempo al cinema indipendente americano, un’idea riassumibile in un unica parola: stile.
Da Mean Streets in poi il cinema di Martin Scorsese assunse una nuova forma grazie alle sue doti registiche ed un’infinita serie di risorse creative. I personaggi e gli antieroi che vivono i suoi film si muovono all’interno di spazi e situazioni sempre avvolte da un’aura teatrale, onirica, illuminati da luci verticali che ricordano quelle delle cattedrali gotiche dello Stato di New York, in netto contrasto con le “colonne sonore” di quella band che si dice abbia una curiosa simpatia per il Diavolo.
Ma non è finita qui. Siamo solo all’origine di una filmografia tutta da scoprire ed eviscerare. C’è ancora molto da conoscere e su cui riflettere, vi aspettiamo dunque per la seconda parte…
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