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Il terzo giorno di Ce L’ho Corto, all’insegna del cinema sperimentale

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9 minuti di lettura

La terza giornata del Ce l’ho Corto Film Festival, appuntamento annuale dell’Associazione Culturale Kinodromo che quest’anno si svolge online, è stata interamente internazionale. In qualità di media partner, abbiamo seguito il talk e i cortometraggi di ieri, tutti sperimentali e con focus sulla contemporaneità, ma non solo. Ecco com’è andata la terza giornata di Festival.

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Ce l’ho Corto: Internet, capitalismo, globalizzazione

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«Sono cresciuto e tutt’ora vivo a Bangkok, capitale della Tailandia. Sono circondato dalla materia, dai materiali, dagli edifici, dai soldi e da molte cose capitalistiche. Adesso queste cose sono parte dell’essere umano. Le persone passano molto tempo e lottano nel mondo materiale. Senza consapevolezza, cadiamo sotto l’oppressione di questa materialità ed è così deprimente e causa dolore alle nostre menti. La ragione che ha portato a interessarmi a questo problema fu mia madre, che in quel periodo soffriva ed era depressa. Quando le parlai, scoprii che uno dei fattori che l’avevano resa depressa riguardava l’essere sopraffatta dallo stress di vivere e di essere circondati dai materiali».

Queste le parole di Parin Intarasorn, regista di Bedsore (Tailandia, 2019, 14’55”), durante l’incontro di ieri. Il corto è una vera e propria nemesi delle sinfonie delle città, che un secolo fa puntavano a esaltare il carattere imponente delle metropoli e le possibilità che esse offrivano. Ora, il capitalismo sta opprimendo l’uomo e la natura, con conseguenze drammatiche per l’ambiente e il benessere mentale. Il tema della città è ripreso in Nevada (Argentina, 2020, 10’10”) di Guillermo Daldovo. La meccanicità delle nostre azioni, che risultano uguali tra loro e quindi anonime, ci rende invisibili; l’ordinarietà urbana ci risucchia e ci fa scomparire.

La meccanicità è anche parte integrante del lavoro di Libéral Martin, di cui è stato presentato ieri The Mecanorgans (Francia, 2020, 10′). Nel corto, creature organiche e meccaniche interagiscono all’interno di un grande ecosistema, che sia lottando per la sopravvivenza o semplicemente per fini comunicativi. Questa è a tutti gli effetti una sinfonia audiovisiva: ogni movimento avviene a ritmo di musica o produce un suono, in uno spettacolare crescendo che ipnotizza lo spettatore.

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Tra le conseguenze del capitalismo vi è la globalizzazione, che sta al centro di Searching for the Perfect Gentleman — An Investigative Journey (Germania, 2019, 9’55”) di Lena Windisch. La semplice ricerca del poster di un barbiere africano conduce l’autrice addirittura in Cina, a dimostrazione delle forti interconnessioni globali al giorno d’oggi. Il corto è molto originale nella forma: vediamo infatti le registrazioni dello schermo di un computer, da Google Maps a WhatsApp, interrotte solo da immagini di poster.

Infine, #21xoxo (Belgio, 2019, 9′) di Sine Özbilge e Imge Özbilge, opera che riflette il nichilismo della generazione dell’era post-internet. La sua peculiarità risiede nell’utilizzo di nuove tecnologie per dare una sensazione cinematografica precisa, come si è detto anche ieri sera.

La pandemia e le nostre paure in mostra al Ce l’ho Corto Film Festival

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Durante la seconda giornata del Festival, Patriots Don’t Die ci ha permesso di vedere la reazione dei sostenitori di Bolsonaro alle regole sul distanziamento sociale. Ieri sono invece stati due i cortometraggi che hanno riguardato il coronavirus e, più in generale, la vita durante una pandemia.

The Day After (Belgio, 2020, 5’45”), diretto da Lisa Carletta, presenta un’esagerazione della situazione attuale. Cibi e individui sono avvolti nella plastica; si vive soli, tra la paura e la monotonia, fino a dimenticare anche la sensazione del contatto fisico con gli altri. Le strade sono vuote, il silenzio regna sovrano e le architetture sovrastano i personaggi, quasi li opprimessero proprio come le nostre case hanno assunto sempre più l’aspetto di una prigione nel corso dei mesi. Fragments (Spagna, 2020, 2’02”), di Andrea Salibra, è invece un rapido susseguirsi di inquadrature che narra le quotidianità nel corso del lockdown. A differenza di The Day After, questo corto è meno pessimista: le luci, come ha affermato il regista durante il talk serale, rappresentano la speranza nella fine di questa situazione e nel ritorno alla normalità.

Famiglia, morte, ambiguità

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Il rapporto coi genitori e il rapporto con la morte sono rispettivamente al centro di Bussi, Baba (Austria, 2020, 7’34”) di Bahare Ruch e Todem (Danimarca, 2020, 8’26”) di Oliver Folcarelli. Nel primo, le violenze subite da un padre e dalla propria figlia da parte della moglie/madre permettono l’instaurarsi tra i due di un legame molto forte. Il racconto del passato familiare e soprattutto l’incontro finale, seppur non di persona, rendono il corto molto toccante. Nel secondo, invece, un prete vive strani eventi prima di andare a dormire, fino a vedere il giardino prendere fuoco. Uscito di casa, incontra una figura incappucciata e la segue. Il regista, durante il dibattito, ha evidenziato come l’opera possa rappresentare l’impossibilità di sfuggire alla morte; tuttavia, non ha voluto offrire vere e proprie spiegazioni per mantenere viva l’ambiguità. Di particolare rilievo l’estetica appagante e l’ottima colonna sonora.

Questa ambiguità la ritroviamo anche in Ladies Crepé (Messico, 2020, 8’18”), diretto da José Ignacio Mancilla Cruz. Ambientato negli Anni Sessanta, il cortometraggio tratta la relazione tra il consumo e la bellezza femminile. Una donna, infatti, si reca dall’estetista ma finisce per trovarsi in una situazione parecchio inquietante, a seguito della quale non si renderà conto di ciò che ha perso.

Citazionismo e sperimentazione

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L’opera caratterizzata dallo sperimentalismo più estremo presentata ieri è stata sicuramente Mary, Mary So Contrary (Singapore, 2019, 15′) di Nelson Yeo. In essa, due film preesistenti vengono manipolati per generare un nuovo significato, una nuova storia. Yeo ha paragonato il processo creativo per la realizzazione del corto all’esecuzione di una performance jazz: in entrambi i casi, il lavoro è stato casuale e ha prodotto un risultato inaspettato. Ha poi aggiunto che il titolo del film è la traduzione in mandarino di Marilyn Monroe.

Mary, Mary So Contrary è molto gradevole alla vista: rosso, blu e verde si alternano in un viaggio quasi onirico, reso epico dall’utilizzo de L’amour est un oiseau rebelle dalla Carmen di Bizet.

Caso a parte è quello di Silent Movie (Brasile, 2020, 15′) di Melo Viana. Il cortometraggio è stato realizzato all’interno di un progetto di integrazione e di aiuto a favore dei bambini (gli stessi che vediamo) che risiedono in un’area ad alto rischio in Brasile. Viana riprende immagini dai film del periodo di transizione tra il cinema muto e quello parlato (nella sequenza d’apertura, per esempio, viene citato M – Il Mostro di Düsseldorf di Fritz Lang) per raccontare la storia di un gruppo di adolescenti che allestisce una sala di proiezione con mezzi di fortuna. La prima fatica del regista è ora in competizione in oltre 100 festival in tutto il mondo.


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Classe 1999, pugliese fuorisede a Bologna per studiare al DAMS. Cose che amo: l’estetica neon di Refn, la discografia di Britney Spears e i dipinti di Munch. Cose che odio: il fatto che ci siano ancora persone nel mondo che non hanno visto Mean Girls.