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Va’ e vedi e Underground, l’orrore della guerra al cinema

13 minuti di lettura

Il cinema è il mezzo più completo per raccontare delle storie. Grazie al cinema vediamo nel modo più chiaro com’è cambiata la società mondiale nel tempo, venendo catapultati negli Stati Uniti degli anni ’60, così come nella Francia degli anni ’30, o nell’Italia degli anni ’40. Tramite la settima arte possiamo vedere quel che non avremmo mai potuto vedere, sentire voci lontane, ormai sepolte, eppure oggi rimaste alla portata di tutti.

C’è chi il cinema lo ha usato per mostrare storie fantastiche in mondi immaginari, chi invece ha voluto renderlo più palpabile filmando quello che accadeva per le strade. La corrente neorealista risulta ancora oggi tra le più importanti e potenti mai esistite, poiché non ebbe bisogno di sensazionalismi per colpire lo spettatore.

La guerra appena finita, i suoi orrori nella mente di tutti, i suoi strascichi inevitabilmente impressi sulla società; così i registi girarono i film tra i detriti, colsero il dramma appena vissuto raccontando la pura e cruda realtà attraverso la finzione. Un cinema che fu attuale e che ottant’anni dopo è storia.

Questa è la potenza del cinema di guerra, il genere cinematografico che più di tutti trasforma quest’arte in una macchina del tempo. Nella storia del cinema ci sono stati numerosi grandi film di guerra: tra i meno citati, eppure tra i più interessanti, vi sono Va’ e vedi di Ėlem Klimov e Underground di Emir Kusturica, due opere che in modi completamente diversi sono riusciti ad esprimere perfettamente l’orrore commesso dal genere umano.

Va’ e vedi, la perdita dell’innocenza

guerra va' e vedi

Bielorussia, 1943. I bambini giocano a fare la guerra. Chi non ha un’arma viene preso in giro, chi non va a combattere si sente escluso. I più piccoli sono volgari e fanno versi animaleschi, come se la bestialità umana di quel periodo si riversasse su di loro. Fljora (interpretato da Aleksej Kravčenko) è un adolescente che come tanti altri vuole sentirsi adulto, perciò si prepara con entusiasmo alla chiamata alle armi. La disperazione della madre non lo fermerà. Unitosi ai partigiani incontra Glaša (Olga Mironova), una ragazza con la quale condivide il disagio d’essere il più piccolo dell’armata.

Il loro incontro è caratterizzato da comportamenti bambineschi, scherzi giocosi e pianti misti a risate, come se l’ambiente adulto della guerra enfatizzasse la loro giovinezza. L’innocenza che li caratterizza verrà presto stravolta dalle bombe, per poi perdersi definitivamente con il breve ritorno a casa di Fljora, il cui villaggio è ormai fantasma. La sofferenza inizia a trasformare fisicamente il protagonista, un ragazzino invecchiato all’improvviso, con il volto visibilmente consumato dagli orrori a cui assiste.

Va’ e vedi – che prende il titolo da un passo dell’Apocalisse di Giovanni – è la massima rappresentazione dell’orrore della guerra e il suo effetto sull’umanità. Una completa distruzione di tutto ciò che è puro, preso dai capelli e trascinato senza pietà nelle più atroci sofferenze. L’opera magna di Klimov è sconvolgente non perché voglia esserlo, ma perché è l’atto stesso della guerra ad essere tale; per quanto il film risulti sadico non c’è una singola scena ad essere gratuitamente eccessiva, piuttosto questo riesce a raccontare la guerra in modo reale ed esplicito come nessun regista ha mai avuto il coraggio di fare.

Un incubo ipnotico

guerra va' e vedi

Va’ e vedi è uno dei film più sconvolgenti mai realizzati grazie anche a una regia intelligente che coinvolge lo spettatore a trecentosessanta gradi. Klimov lo gira come fosse un horror, con scene tese composte da immagini raccapriccianti. I tanti primi piani con i personaggi che guardano in macchina lo rendono ipnotico: gli sguardi bucano lo schermo – gli occhi guardano dritto verso quelli di chi guarda e viceversa – lo spettatore è ormai dentro un incubo e non può scappare. Le soggettive amplificano l’immersione in un film che risulta straordinariamente moderno e vicino alla realtà virtuale. La lente split-diopter invece isola il protagonista, come se la sua anima avesse lasciato il suo corpo per l’insopportabile crudeltà vissuta.

Klimov e Aleksej Rodionov (il direttore della fotografia esaltato da Roger Deakins in una recente intervista) riescono a travolgere emotivamente lo spettatore tramite uno stile impressionante e innovativo, girando con una tecnica funzionale per rendere il film ancora più potente. Quando i personaggi corrono, noi corriamo dietro di loro. Quando gli esplode una bomba accanto, ci fischiano le orecchie per diversi minuti. Quando hanno perso ogni cosa e si voltano verso di noi, abbiamo il cuore spezzato.

Nel finale l’orrore della guerra prende forme traumatizzanti. Ma se anche solo per un attimo lo spettatore pensa si tratti di una crudeltà romanzata ed esagerata ai fini del film, Klimov lo riporta immediatamente alla realtà con delle immagini di repertorio da brividi. Nell’ultima scena il realismo abbandona lo schermo per far spazio a un pensiero omicida, terribile eppure umano, naturale per chiunque sia reduce dall’esperienza di questo film. Nel pensiero di Fljora si va indietro nel tempo, e lo stesso fa Klimov con un montaggio a ritroso che va fino all’avanguardia sovietica di Sergej Ėjzenštejn e Dziga Vertov.

Quel che resta è il volto sofferente di un ragazzo cresciuto troppo in fretta, con le lacrime che gli puliscono il viso sporco dagli orrori della guerra. Chiude il film Lacrimosa di Wolfgang Amadeus Mozart, e lo spettatore resta lì, distrutto, inerme, senza fiato né parole.

Underground, ironia e surrealismo al servizio del cinema di guerra

underground guerra

Jugoslavia, 1941. In seguito ai bombardamenti aerei tedeschi, Marko (Miki Manojlović) e Petar (Lazar Ristovski) portano al riparo amici e parenti in un rifugio sotterraneo. Diventa difficile calcolare il tempo che passa, così come comprendere cosa è reale e cosa no. Kusturica omaggia più volte L’Atalante di Jean Vigo, in particolare l’immortale scena della sposa sott’acqua; un miraggio – un desiderio d’amore fluttuante – da raggiungere nuotando, ma impossibile da afferrare.

L’elemento onirico del maestro francese incontra quello felliniano in un film agrodolce che esorcizza gli orrori della guerra. Le musiche folkloristiche di Goran Bregović sono spesso allegre e accompagnano i personaggi nelle loro avventure personali, tra guerra reale (quasi mai messa in scena) e guerre interne tra i protagonisti per la conquista di Natalija (Mirjana Joković), un’attrice di cui entrambi sono innamorati. Marko e Natalija saranno gli unici a uscire frequentemente dal sotterraneo, ingannando gli altri sullo stato della guerra (ormai terminata).

Il secondo capitolo prende luogo nel 1961, durante la Guerra Fredda. Petar crede si tratti ancora della Seconda Guerra Mondiale, e motivato a combattere i fascisti evade dal sotterraneo con il figlio, ventenne, quindi mai spettatore del mondo reale. Un ragazzo senza un’istruzione, cresciuto dai racconti e dalle convinzioni del padre; vede per la prima volta un cervo e crede sia un cavallo, non sa cosa sia la Luna. La guerra è anche questo: persone nate e cresciute in situazioni anomale con un concetto di normalità differente da quello reale.

Il terzo capitolo prende luogo nel 1991, con l’inizio della guerra civile (non ancora terminata all’uscita del film). Petar è ancora convinto di dover combattere i fascisti in quella che sembra dunque essere una guerra lunga cinquant’anni, ma è in realtà la storia di un Paese e di un popolo costantemente tra le macerie.

Una favola senza fine

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L’ironia messa in scena da Kusturica indora la pillola senza togliere potenza al dramma bellico, facendo leva sulle tristi conseguenze nel tempo più che sulle ferite istantanee. Il regista mette in scena una favola che inizia con “C’era una volta un Paese…”, ma la chiude con “Questa storia non ha una fine”.

Kusturica nel finale utilizza nuovamente il surrealismo onirico per mostrare una felice fantasia dove tutto è finito, dove la guerra non è mai esistita, per cui gli abitanti del sotterraneo sono tutti vivi, giovani, perfettamente sani e felici. Ma il “Vissero per sempre felici e contenti” è solo immaginario, e allora allo spettatore restano due opzioni: commuoversi per quel che è stato, oppure piangere dopo aver vissuto il rimpianto di quello che poteva essere.

L’orrore della guerra tra incubo e sogno

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Klimov in Va’ e vedi ha deciso di filmare la guerra in modo reale e spietato, con tecniche innovative ma senza il filtro cinematografico della finzione; Kusturica in Underground ha preferito usare il cinema in modo più fantasioso, sdrammatizzando ma riuscendo comunque a far riflettere sugli orrori commessi dal genere umano. Da un lato la realtà filmata come un incubo, dall’altro la finzione filmata come un sogno.

Nonostante il cinema aiuti a sognare e a distrarsi dai tristi avvenimenti reali, è naturale prima o poi svegliarsi. Allora è difficile capire se sia più terrificante l’incubo o la sensazione al risveglio con la conseguente realizzazione che la felicità era solo un bel sogno.

Fortunatamente tanti di noi non hanno mai vissuto una guerra in prima persona, ma ancora una volta il cinema prova a farci vivere un’esperienza nuova, in questo caso necessaria per comprendere la gravità della situazione in altre parti del mondo. Il mezzo cinematografico genera un’empatia superiore a qualsiasi altra arte, indispensabile in un’epoca desensibilizzata in cui a volte i morti sono solo dei numeri in un notiziario. 

I capolavori di Ėlem Klimov e Emir Kusturica sono quindi arte al servizio della tragedia, rappresentazioni fittizie talmente reali da bucare lo schermo, talmente fulminanti da coinvolgere e sconvolgere lo spettatore, che una volta finiti i titoli di coda non è più lo stesso.


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Classe 1997, appassionato di cinema di ogni genere e provenienza, autoriale, popolare e di ogni periodo storico. Sono del parere che nel cinema esista l'oggettività così come la soggettività, per cui scelgo sempre un approccio pacifico verso chi ha pareri diversi dai miei, e anzi, sono più interessato ad ascoltare un parere differente che uno affine al mio.

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