Songs of Forgotten Trees è il film d’esordio della regista Anuparna Roy, in competizione nella sezione Orizzonti di Venezia 82. Il film rappresenta un urlo strozzato di due donne migranti che si ritrovano a condividere la stessa abitazione, e quel che ne scaturisce è un destino comune: il silenzio di chi è costretto a stare ai margini tra le quattro mura di una piccola casa di Mumbai.
Songs of Forgotten Trees ha vinto il premio Orizzonti per la Miglior Regia a Venezia 82.
Songs of Forgotten Trees, tutto scorre, anche quando non si vive per davvero
Credit: Stephanie Cornfield
In Songs of Forgotten Trees, la noia pervade l’appartamento di Thooya e Swetha, un luogo statico, bloccato, sospeso su un mondo in continuo movimento. La natura non si ferma: il sole sorge, il vento accarezza gli alberi – l’acqua scorre, le gocce cadono dai panni stesi – i ragni camminano sui muri. Per le protagoniste, intanto, l’unica costante è la noia della quotidianità. Quindi decidono timidamente di riempire i silenzi cantando, di scandire le giornate attraverso i cambi d’abito – mascherando la routine – spezzando una continuità apparentemente eterna.
Credit: Stephanie Cornfield
È così che viene tolta la voce alle donne. Roy dichiara: «Vengo da un villaggio dove le ragazze vengono date in sposa giovanissime e negli istituti governativi ricevono razioni alimentari invece di libri. La mia amica Jhuma si è sposata a tredici anni con un programma statale, poi è scomparsa. Il suo silenzio non se n’è più andato.»
Songs of Forgotten Trees, la fantasia che scardina le convenzioni sociali
In Songs of Forgotten Trees vi è una scena semplice, cruciale, costruita su una singola inquadratura fissa. Le due protagoniste sono impegnate nei lavori domestici in due piccole stanze senza porte, separate solo da un muro sottile. Appaiono rinchiuse, in uno spazio troppo stretto per loro. Ma cantano, parlano, scherzano. La loro intesa oltrepassa le opprimenti barriere dell’abitazione, fingono di essere in una telefonata (in un frangente che rimanda all’iconica scena di Before Sunrise di Richard Linklater). È un gioco di fantasia che riesce – anche solo per un attimo – a farle evadere da una realtà impantanata. Nel dialogo il gioco si interrompe proprio nel momento in cui si toccano argomenti concreti della loro vita.
Credit: Stephanie Cornfield
La fantasia distrae ma non cancella, è uno strumento che a volte aiuta a comprendere la vita reale, evadendo da ciò che è definito normale, scardinando le convenzioni sociali e aprendo la mente. Ed è proprio in questa scena che viene menzionata la leggenda degli Alberi Dimenticati (gli hollong) che dà il titolo Songs of Forgotten Trees al film, un luogo in cui se qualcuno ci si reca con le persone amate, loro si dimenticheranno di lei per sempre. Una leggenda romantica in grado di rivelare il vero amore, ma lo fa troncandolo sul nascere.
Songs of Forgotten Trees è un film che trova pace e illusione nel termine giapponese komorebi (che sta ad indicare la luce che filtra attraverso gli alberi, inquadrata più volte dalla regista), ma destinato al terreno, al fango, al claustrofobico costrutto sociale alle radici di una società patriarcale. Allora Roy inquadra gli interni e quei pochi sprazzi di natura presenti in un’abitazione, con la speranza che il suo film – così come quelli di tante altre registe donne – possa dare voce a chi è costretto a vivere nel silenzio.
Songs of Forgotten Trees, Anuparna Roy si racconta a NPC
Credit: Stephanie Cornfield
Nonostante siamo ancora lontani dalla parità di genere, oggi ci sono sempre più registe donne. Questo è un film che un uomo non avrebbe mai potuto girare perché tratta argomenti che non può comprendere a pieno in quanto fuori dalla sua esperienza. Quanto è importante dare voce a chi è costretto a stare ai margini della società?
“Girando Songs of Forgotten Trees non ho pensato di avere delle responsabilità, è stato tutto molto naturale. Quando cresci in una società come questa, in cui ti senti discriminata dalle amministrazioni, a scuola, nella vita di tutti i giorni, istintivamente vuoi mettere in risalto la figura femminile e ciò che rappresenta. Inclusi i loro sentimenti romantici (e non platonici).”
E quando un uomo guarda film di questo tipo, è possibile che questo lo aiuti a cambiare la sua visione patriarcale così radicata nella nostra società?
“Assolutamente no. Non ho la pretesa di cambiare un’ideologia così forte, e non deve essere compito di un regista. Un regista ha il compito di trattare questi argomenti, mettere in luce quel che accade, e poi si vedrà. Se succederà mi sentirò un’assistente sociale (ride ndr.), ma non mi sento di rappresentare il Paese, non mi sento di rappresentare il sistema, non mi sento di rappresentare niente. Mi sento una cittadina del mondo, e tratto tematiche globali partendo da quel che accade nel mio Paese.”
Ho apprezzato molto la scena con la finta telefonata in bagno. Credo che l’immaginazione sia uno strumento che aiuta a comprendere la realtà, rompendo le convenzioni sociali e aprendo la mente. È il miglior modo per essere davvero liberi?
“In quella scena volevo mostrare l’intimità tra le due donne, e ho scelto fin dall’inizio di non rendere i loro sentimenti così espliciti o didascalici. Non volevo avessero un contatto diretto…”
È per questo che c’è un muro tra loro.
“Esatto. Volevo fossero divise, in due stanze uguali, ognuna con i suoi problemi, che combattono la stessa guerra. Divise ma insieme. E i loro contatti dovevano sempre essere filtrati dalle faccende di casa, dai cambi d’abito, dalle canzoni.”
Ci sono dei registi che ti hanno influenzata per la realizzazione di Songs of Forgotten Trees?
“No, non per la realizzazione del film. Ma adoro i film dei fratelli Dardenne come Tori e Lokita e L’Enfant. Adoro i film imprevedibili, caotici.”
Cosa ti ha affascinato della Leggenda degli Alberi Dimenticati?
“Il fatto che gli hollong siano degli alberi in via d’estinzione e che – secondo la leggenda – attraverso i ricordi, l’amore e la sofferenza, sono in grado di far cadere da essi dei semi che genereranno altri nuovi hollong, restando quindi in vita.”
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