Nell’ultimo giorno dell’81a Mostra Internazionale del cinema di Venezia, è approdato in concorso Youth (Homecoming), l’ultimo lavoro di Wang Bing, documentarista di origine cinese tra i più stimati e celebrati al mondo. Unico film appartenente al cinema del reale nella competizione veneziana di quest’anno, l’opera inquadra e analizza con rara sensibilità estetica e umana le condizioni di vita della gioventù cinese contemporanea, tra lavori sottopagati e momenti di grande vitalità, attraverso un lavoro produttivo e registico immenso.
Il progetto Youth
Youth (Homecoming) è il terzo capitolo della “trilogia della giovinezza“, Youth appunto, progetto cui il regista Wang Bing ha dedicato più di un decennio della propria vita e della propria carriera. La produzione di quest’opera imponente, infatti, ha richiesto cinque anni di riprese – dal 2014 al 2019, durante i quali il cineasta è riuscito a raccogliere oltre 2700 ore di girato, successivamente editato e diviso in tre capitoli: Youth (Spring), primo capitolo della trilogia datato 2023, è stato presentato al Festival di Cannes di quell’anno: Youth (Hard Times), il capitolo successivo del 2024, è stato mostrato in anteprima al Festival di Locarno 2024; infine quest’ultimo capitolo, per l’appunto in concorso al Festival di Venezia 2024.
Al centro dei materiali raccolti da Bing vi sono scene di vita di giovani operai tessili (tra i 16 e il 27 anni circa) nella città di Zhili, a circa 150 chilometri da Shanghai: i protagonisti di queste riprese vengono rappresentati sia a lavoro, in fabbrica, ma anche nei momenti di vita di tutti i giorni, nelle loro camere, nelle loro uscite, nella loro quotidianità.
Il materiale registrato è stato poi organizzato in sede di montaggio all’interno dei diversi capitoli della trilogia, ognuno dei quali sviluppa un aspetto tematico proprio: Spring esplora le contraddizioni in essere della vita di questi ragazzi, sospesi tra sfruttamento e leggerezza giovanile; Hard Times inquadra principalmente il senso di precarietà di queste persone; Homecoming, dal canto suo, analizza un momento preciso dell’anno, ovvero il Capodanno cinese, che vede il rientro di molti di queste persone nelle loro città natale, situate nella Cina più rurale e montanara.
Il senso ultimo di questa operazione, esempio contemporaneo di cinema documentario osservazionale, è la costruzione di un ritratto generazionale; attraverso l’osservazione della vita quotidiana di questi giovani il regista cinese riesce ad osservarne anche il contesto circostante, la società e il tempo in cui questi ragazzi vivono, che sono la ragione stessa del loro modo di agire e comportarsi: i giovani, insomma, come sineddoche, come cartina tornasole della Cina tutta.
Spazi urbani e rurali della Cina di Wang Bing
Il racconto che Wang Bing imbastisce con Youth (Homecoming) si struttura come un mosaico fatto di tanti tasselli autonomi, che se messi insieme compongono un quadro chiaro e coerente. Ogni scena all’interno del film presenta situazioni, personaggi che nella maggior parte dei casi non ricompariranno nel resto della pellicola; nel loro complesso, tuttavia, queste scene costruiscono qualcosa di più grande, un ritratto complessivo e generazionale, in cui la totalità delle figure e dei personaggi è più importante delle singole parti.
Ad accomunare le diverse sequenze che compongono Youth (Homecoming) vi è il rientro dei giovani nelle loro città natali. Questo elemento porta con sé un cambio nell’ambientazione rispetto agli altri due film: dai laboratori tessili di Zhili si passa alle cittadine rurali sperdute nelle catene montuose cinesi. Nonostante questa discontinuità spaziale rispetto agli altri film della trilogia Youth, il rapporto tra persone e spazio rimane uno degli elementi di maggiore interesse: i giovani protagonisti dell’opera sono sempre immersi in ambienti all’aperto iperbolicamente grandi – le vie dei quartieri operai, nel caso di questa pellicola anche le strade di campagne, costeggianti le vallate immense – oppure in spazi interni ristrettissimi, claustrofobici – le stanze in cui vivono, le fabbriche in cui lavorano.
Questa continua tensione spaziale viene impiegata non solo per evidenziare, da un punto di vista più strettamente documentaristico, gli spazi veri in cui queste persone si muovo, ma anche per sottolineare la piccolezza di queste vite: i protagonisti dell’opera di fatto sono persone appartenenti al sottoproletariato della società cinese, l’ultima ruota del carro, persone fondamentali per la società eppure non tenute in considerazione, centinaia di migliaia di persone che ogni giorno vivono una vita minuscola, socialmente insignificante, dimenticata o ignorata da tutti.
La gioventù di Youth: sfruttamento e vitalità
Eppure, il lavoro di Wang Bing non riduce i suoi protagonisti a numeri, anzi. Essi appaiono, sì, ma solo alla fine, nell’ultimo cartello prima dei titoli di coda: il resto del film è dedicato al mettere al centro le loro vite, trasformando quell’apparente insignificanza nel centro stesso dell’universo narrato. La rimessa al centro di queste vite, di queste esistenze in Youth (Homecoming) dimostra il grande sguardo documentaristico del suo regista: la giovane generazione viene raccontata nella sua complessità, creando così una contro-narrazione rispetto all’immaginario tipico delle fabbriche tessili.
La vitalità che le persone raccontate da Wang Bing sprizzano, infatti, emerge e irradia alcuni dei momenti più memorabili della pellicola: le persone che abitano questi luoghi non vengono mai ridotte al loro lavoro, ma dimostrano una giovialità, una leggerezza nella loro vita intima e personale davvero non scontata. I protagonisti del film ballano, si sposano, giocano, scherzano, celebrano: la levità della vita e della gioventù non li abbandona. Questa leggerezza tuttavia non oscura il lato più negativo della vita: Wang Bing non ignora le sofferenze e i dolori della vita privata e non – la precarietà di una vita incerta, ma anche dolori privati legati alla sterilità ad esempio.
Soprattutto, non ignora lo sfruttamento negli sweatshop: le numerose riprese di giovani operai costretti a lavorare a ritmi martellanti per una paga misera, le litigate per chi è riuscito a produrre (e quindi a guadagnare) di più, sequenze intere fatte di persone che vagano per le strade di Zhili alla ricerca di un luogo dove poter lavorare e sostentarsi, anche se per una paga da fame, insistono e sottolineano proprio il problema sistemico dell’iper-capitalizzazione, sui loro effetti che colpiscono gli ultimi – coloro che di fatto pagano le conseguenze della società in cui vivono.
L’occhio documentaristico straordinario di Wang Bing però sta proprio in questo: nel cercare la sintesi, la crasi tra queste due visioni. Youth (Homecoming) non cerca mai la semplificazione, alterna momenti di gioia giovanile a momenti di sconforto e di duro lavoro in modo che appaia coerente internamente, ricercando la complessità, le zone grigie della vita in queste persone.
La scena della marcia nuziale, in questo senso, rappresenta la sintesi perfetta dell’intera operazione: nella lunga sequenza, a momenti di gioia e festeggiamento legati ad un evento importante per la vita di queste persone si alternano piccoli sprazzi di malinconia – per dello spray sul vestito bianco della sposa, per la paura della vita da quel momento in poi, fino a giungere alla chiusura, in cui si suggerisce il rientro dei due neo-sposi in città, per ricominciare immediatamente a lavorare per sostenere la neonata famiglia.
Ed è proprio in momenti come questo che è possibile notare il talento documentaristico di Wang Bing: costruisce un’opera senza pietismi né retorica, senza fronzoli a livello estetico con la sua regia asciutta, capace di sintetizzare un’intera generazione e, di conseguenza, un’intero impianto sociale. Youth (Homecoming) riesce dunque a colpire ed emozionare proprio grazie all’intelligenza e alla sensibilità – documentaristica e umana – del suo regista, che conferma così il suo status di grande documentarista nel panorama contemporaneo.
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