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Il Nibbio

Il Nibbio, un film per i vent’anni dalla morte di Nicola Calipari

15 minuti di lettura

Più di vent’anni fa, uno degli eventi geopoliticamente importanti che ha coinvolto anche il nostro Paese è stato il conflitto in Iraq, iniziato dagli Stati Uniti governati dall’allora presidente George W. Bush per contrastare l’allora dittatore Saddam Hussein, accusato di detenere armi di distruzione di massa e di appoggiare i terroristi di Al-Quaeda, responsabili dell’attentato dell’11 settembre.

Ad appoggiare gli Stati Uniti di Bush ai tempi furono, fra i tanti, il Regno Unito con l’allora premier Tony Blair, l’Australia e la Polonia. Anche il nostro Paese, ai tempi guidato da Silvio Berlusconi, prese parte ad alcune azioni militari in quel periodo in Iraq. Dei tanti eventi di quella che è stata definita la Seconda Guerra del Golfo e che hanno coinvolto direttamente il nostro Paese, il rapimento avvenuto il 4 febbraio 2005 della giornalista Giuliana Sgrena, recatasi in Iraq per conto de «Il Manifesto», è stato sicuramente il più significativo.

Ci sono voluti ventotto giorni, fino al 4 marzo, per liberare la giornalista. Responsabile della liberazione è stato Nicola Calipari – nome in codice “il nibbio“-, alto dirigente del SISMI (Servizio per l’informazione e sicurezza militare, sostituito nel 2007 dall’AISE e dall’AISI) che, per riportarla a casa, ha perso la vita a causa del fuoco amico americano. Vent’anni dopo, Alessandro Tonda dedica alla figura di Calipari Il Nibbio, suo secondo film dopo il debutto con The Shift, uscito nelle sale italiane a marzo, prodotto e distribuito da Rai Cinema e Notorious Pictures con produzione italiana e belga.

La trama di Il Nibbio

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Il Nibbio si apre a Baghdad nel 2005. Nella scena iniziale del film vediamo Nicola Calipari (Claudio Santamaria) su un aereo militare in procinto di incontrare i rapitori della giornalista Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco) per dare loro il riscatto destinato a riportare a casa la giornalista de «Il Manifesto», ovvero un passaporto italiano per il manager sunnita che ha fatto rapire la giornalista e una valigetta con circa 15 milioni di dollari americani.

Come si è arrivati, però, a questa scena? È quello che inizia successivamente a raccontarci Alessandro Tonda partendo dal lontano 4 febbraio 2005 quando Giuliana Sgrena, dopo aver intervistato delle donne irachene per raccogliere testimonianze sulla guerra, viene rapita da un gruppo di persone armate e condotta in una località segreta dove resterà per ventotto giorni. Nel mentre, il SISMI, con sede a Forte Braschi a Roma, chiama Nicola Calipari, costretto ad annullare la vacanza promessa a moglie e figli per occuparsi di quello che sarà il suo ultimo incarico.

Il Nibbio non ci mostra soltanto i risvolti ad alta tensione che hanno portato Calipari a mediare per la liberazione di Sgrena e la sua visione diversa rispetto agli americani che di mediare con gli iracheni non ne volevano sapere, ma fa emergere il ritratto umano di un uomo che ha sacrificato la vita per fare, come reciterà Claudio Santamaria, «un piccolo passo verso la fine della guerra», che poi avverrà soltanto sei anni dopo il rapimento di Giuliana Sgrena con il ritiro delle truppe americane voluto da Barack Obama.

Il Nibbio fra biopic, thriller politico e spy story

Il Nibbio

Parlare di Il Nibbio significa parlare di un film che non è una semplice biografia di un eroe delle istituzioni del nostro Paese che ha contribuito a dare una svolta a un importante conflitto geopolitico con la sua visione delle cose, ma è anche un film che sa essere più di un semplice biopic. Il Nibbio, infatti, è anche un thriller politico e una spy story che, vista la co-produzione italo-belga, assume un respiro più internazionale costituendo un unicuum nel suo genere, regalandoci un film che del sensazionalismo americano non ha nulla, ma sa essere molto autentico e documentaristico allo stesso tempo.

Affrontare in un film la vicenda di Nicola Calipari, però, non è stato sicuramente facile, in quanto Alessandro Tonda ha dovuto cercare un equilibrio fra il racconto della biografia di un uomo e il racconto di una situazione geopolitica molto complessa. Se da un lato certi critici hanno accostato il film alla filmografia di Katherine Bigelow – fra tutti The Hurt Locker, naturalmente –, dall’altro, invece, hanno rimproverato a Tonda un trattamento superficiale dell’aspetto politico del film.

Per spezzare una lancia a favore del regista, guardando il film c’è da dire, in realtà, che Il Nibbio non solo è riuscito a parlare in maniera antiretorica e con poco sentimentalismo della figura di Nicola Calipari – cosa assai rara per un film prodotto dalla Rai –, ma a modo suo è riuscito, anche se vi si focalizza poco, a darci la sua visione delle cose sul conflitto in Iraq. Il Nibbio, infatti, si è assunto il rischio di mettere in discussione il ruolo degli americani all’interno di certe dinamiche geopolitiche e così facendo, ha ridisegnato l’immaginario della spy story di stampo occidentale.

Uno sguardo diverso sul conflitto iracheno

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Anche se a detta di molti è poco approfondita, Il Nibbio ci mostra comunque bene la situazione geopolitica delineatasi ai tempi del conflitto iracheno, e lo fa attraverso la figura di Nicola Calipari e le sue difficili negoziazioni per riportare Giuliana Sgrena a casa. Quello che vediamo, innanzitutto, è un Paese lacerato non soltanto dall’invasione americana, che ha causato morti di civili e ha privato loro di risorse necessarie per sopravvivere, ma anche dai crescenti dissidi fra sciiti e sunniti che il film ci racconta essere voluti proprio dagli americani per dividere gli iracheni e controllarli meglio.

Nelle trattative con il manager sunnita che conduce Calipari assieme ai suoi colleghi del SISMI, ma anche nelle scene che ci mostrano Giuliana Sgrena in prigionia, assumiamo sempre più consapevolezza del fatto che non sono stati gli iracheni stessi a volere questa guerra, ma gli americani. Oltre a questo, Il Nibbio riesce a mostrarci la rabbia dei rapitori e del manager sunnita per i danni che ha provocato questa invasione, della quale rimproverano anche l’Italia, di cui, dunque, si fidano poco, nonostante i grandi sforzi di Calipari nelle trattative.

Qui emerge, allora, la diversa visione delle cose da parte di Nicola Calipari: se da un lato gli americani non sono disposti a pagare nessun riscatto, a trattare, come dice uno dei colleghi del SISMI di Calipari, «con chi rapisce i giornalisti e gli taglia la gola» al punto che preferiscono direttamente fare un raid nel luogo in cui molto probabilmente si trova Sgrena anche a costo di causare delle morti, dall’altro abbiamo Nicola Calipari, che invece crede in un dialogo con gli iracheni, vuole dargli fiducia, perché dialogare con loro è fondamentale per poter sperare di portare a casa la giornalista e fare un piccolo passo verso la fine delle ostilità.

Nicola Calipari, l’umanità dietro “il nibbio”

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Che tipo di eroe è, però, Nicola Calipari, o meglio, “il nibbio”? Quest’ultimo è una persona divisa fra il proprio dovere di militare e il suo essere padre di famiglia. È colui che mette a rischio la propria vita per salvare gli altri – fra cui, oltre Sgrena, le volontarie Simona Pari e Simona Torretta nel 2004 –, ma che, allo stesso tempo, non vuole, ad esempio, che la figlia partecipi alle proteste di pace contro la guerra in Iraq e per la liberazione di Sgrena perché sa che potrebbe essere pericoloso.

Come padre e come militare, il nome in codice “il nibbio” gli si addice. Sappiamo tutti che il Nibbio è un personaggio dei Promessi sposi, il capo dei bravi dell’Innominato che rapisce Lucia e che avvia il processo di conversione del proprio signore, ma in realtà Calipari sceglie questo nome in onore del rapace dal portamento nobile che sorvola i cieli dell’Aspromonte – terra di sequestri dove Calipari ha iniziato la sua esperienza di scout nel 1965 per poi entrare in polizia -, e che garantisce protezione con la sua rapidità e acutezza.

Come il rapace da cui ha preso ispirazione, Nicola Calipari è sempre stato considerato l’uomo capace di dare protezione e di intervenire nel modo giusto e con rapidità, ponderando con criterio ogni passo da compiere senza avere fretta, ma provando, attraverso il dialogo, a trovare una soluzione che arrecasse meno danni possibili. Sebbene non abbia preso ispirazione dal personaggio manzoniano, come il Nibbio, Calipari sa che dall’altro lato ha a che fare con esseri umani, con persone che in fondo provano compassione, e in quanto tali sa che non bisogna imporsi a tutti i costi con la violenza.

Trattandosi in fondo di un biopic, parlare di spoiler in Il Nibbio ci sembra fuori luogo. Calipari, infatti, come ben sappiamo, muore a causa del fuoco amico americano iniziato dal mitragliere Mario Luis Lozano, una morte che a distanza di anni – come ci ricorda Tonda prima dei titoli di coda – ha tante ombre e poche luci, al punto che si sospetta che forse il fuoco amico, in fondo, fosse voluto dagli americani perché in contrasto con la strategia di mediazione attuata da Calipari.

Questo episodio tanto ci racconta della vera natura degli americani che, nel film, per il capo del SISMI, Nicolò Pollari, mantengono la facciata di un Paese che mantiene la linea dura, ma che vuole che siano gli altri Paesi a fare il lavoro sporco per loro. La liberazione di Sgrena, infatti, ha mostrato le crepe della linea americana e la straordinarietà di Nicola Calipari, un eroe che in fondo era un uomo normale, ma che con l’intelligenza che lo contraddistingueva aveva capito già allora che i conflitti si risolvono se si cerca un dialogo con l’altro cercando di salvare più vite possibili.

Il Nibbio, una spy story italiana poco sensazionale, ma autentica

Con Il Nibbio, Alessandro Tonda realizza una spy story tutta italiana come poche sono state fatte finora. Una spy story poco sensazionale, ma autentica: poco sensazionale in quanto della spettacolarità delle spy story hollywoodiane non c’è nulla, ma autentica perché sincera e onesta in quanto prova a documentare i fatti come sono realmente accaduti. Alessandro Tonda non vuole stupire nessuno con scene d’azione mozzafiato, ma vuole darci un racconto obiettivo e realista di una situazione geopolitica complessa e di un uomo che è stato capace con la sua intelligenza di fare ciò che in tempi di guerra pochi Paesi sono in grado di fare.

A vent’anni dalla sua morte, Nicola Calipari ci insegna come in tempi di guerra sia ancora possibile e necessario cercare di dialogare con tutti i protagonisti di un conflitto, di come sia importante comprendere le ragioni delle parti chiamate in causa e fare breccia in esse per compiere dei piccoli passi verso la risoluzione dei conflitti. Questo perché, anche in tempi di guerra, non dobbiamo dimenticare che ci sono delle persone le cui vite vanno difese e protette fino alla fine, e quelli che consideriamo nemici sono tanto umani quanto lo siamo noi.


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